lunedì 31 agosto 2015

Kes - Kenneth Loach

al secondo film, quando Ken Loach era ancora Kenneth, ha girato Kes, che è al settimo posto nella lista dei cento migliori film britannici del XX secolo stilata dal British Film Institute (qui).
impossibile descriverne la grandezza senza guardarlo, Billy è un bambino senza amici, offeso dalla vita, senza padre, e trova una via di fuga e di bellezza , allevando un falco, che diventa suo amico e anche più, il sogno della sua vita.
c’è un insegnante come quello di “Un anno a Pietralata”, e Kes è stato il film preferito di Krzysztof Kieslowski.
cercatelo, non ve ne pentirete - Ismaele






…Il film racconta la vicenda di Billy Casper, un ragazzino di 15 anni che vive in una città mineraria dello Yorkshire e soffre a causa della solitudine e dei maltrattamenti sia a casa che a scuola, finchè trova un senso alla propria esistenza nel prendersi cura di un uccello selvatico (in inglese si chiama "kestrel", abbreviato in kes, in italiano si dovrebbe chiamare gheppio) e nel processo di addestramento dell'animale, che sopperisce a tutte le carenze affettive del ragazzo. E' un film all'insegna di un realismo cronachistico che probabilmente deriva dalla grande scuola documentaristica britannica e che Loach avrebbe gradualmente perfezionato nelle opere successive, anche se, a mio avviso, è proprio qui che il cineasta trova i suoi accenti più sinceri, efficaci e persuasivi. E' un dramma sull'emarginazione e gli abusi subiti da certi adolescenti in famiglie disfunzionali che non può non ricordare "I 400 colpi" di Truffaut, ma che indubbiamente sarà tenuto in considerazione da altri registi che torneranno sull'argomento (soprattutto il britannico Terence Davies, ma forse perfino i Dardenne in Rosetta, film piuttosto affine con questo). Il cast, pieno di attori non professionisti diretti con scrupolo neorealistico, è decisamente all'altezza (bravo lo smilzo protagonista David Bradley, poi sparito dalla circolazione come attore) e molto bella la sobria fotografia del futuro regista Chris Menges. Film sul ruolo dell'educazione e i fallimenti che si riscontrano in sua assenza, senza cedimenti al sentimentalismo o al ricatto emotivo. La scena più bella mi è sembrata quella in cui Billy descrive l'addestramento dell'uccello in classe davanti ai compagni e a un insegnante, Mr. Welland, che riesce a vincere per una volta la sua riluttanza e a valorizzare positivamente questo suo hobby: una volta tanto, un esempio di qualcosa di positivo che la scuola può fare per i ragazzi.

We didn't come from a very filmy family. I'd only seen two movies before Kes. One was The Poseidon Adventure – all I can remember is going in my pyjamas (I was ill) and being cold – and the other the film of Steptoe and Son. It was a friend's birthday, and I think (my memory might be playing a sick trick here) Albert Steptoe takes a bath in a tin tub and I found it weirdly thrilling.
Then came Kes. By now I was 12 years old, and at a special school, Crumpsall Open Air – or, as we pupils called it, Crumpsall Open Air for Mongs (no, I won't attempt to defend that). The pupils were an unlikely mix of juvenile delinquents, chronic asthmatics, kids with learning difficulties, cerebral palsy, Down's syndrome, and those who had rare diseases.
I was never sure why it was called an open-air school. But we certainly spent a lot of time in the open air – every afternoon playing football outside except for when the weather was too bad. One day it was pissing down, and we were forced inside. The teacher put on a film to keep us quiet. This was 1974, and the movie was already ancient (five years old); it had been made by a man who called himself Kenneth Loach. Didn't sound promising…





Cutter’s way – Ivan Passer

un film (quasi) sconosciuto, amato dai fratelli Coen, un regista che ha lasciato Praga qualche mese dopo l'invasione sovietica del 1968 (qui il racconto della sua vita e del film con le sue parole), già bravissimo allora, una storia contro il potere, la guerra e la violenza, cinema politico, attori bravissimi (Jeff Bridges, Lisa Eichhorn, John Heard).
il risultato è un gioiellino che non si può trascurare, se vi volete bene - Ismaele







Ricordavo John Heard per qualche tv-movie, o in ruoli da comprimario o da borghese giacca-e-cravatta. Fa sensazione trovarlo qui nei panni di un reduce dal Vietnam storpio, rozzo e astioso, con benda nera sull’occhio, un incrocio tra un iracondo Jack Nicholson e il Kurt “Snake Plissken” Russell. Anche un Jeff Bridges mai qualunque, qui in versione damerino, non può far altro che lasciargli il palcoscenico. Il film può apparire fatuo e inespresso, ma al contrario è un precisa condanna del “sistema”, inteso come un potere economico-politico-industriale che si percepisce come presente, appiccicoso, opprimente, ingiusto, criminale quasi per definizione, ma anche astratto, intoccabile, indefinibile, inafferrabile, ben mimetizzato e coperto, forse dopotutto persino operante nei confini della legalità. Da qui l’ossessione che diventa pura paranoia, mossa da indizi più che da prove di rilevanza penale, di perseguirne l’abbattimento, per poi constatare la propria piccolezza di fronte ad esso, l’assoluta incapacità di venirne a capo e infine il proprio annientamento, in una perfida beffa servita dal destino. Film da (ri)scoprire.

Cutter’s Way es, más de treinta años después de su estreno, un título de culto, la clase de película casi desconocida que unos cineastas como los hermanos Coen adoran (se dice que sirvió de inspiración a su genial El gran Lebowski, a pesar de las obvias diferencias). Y es que hay muchos aspectos y pequeños detalles que hacen que sea muy fácil enamorarse de Cutter’s Way: los hipnóticos títulos de crédito mostrando un desfile a cámara lenta en blanco y negro, la melancólica música de Jack Nietzsche, las conversaciones entre Mo y Bone de madrugada, los diálogos certeros y lacerantes… Son algunas de las características que hacen de esta obra una experiencia cinematográfica atípica y memorable, un neo-noir que utiliza el hecho del crimen como desencadenante para indagar en las vidas de sus maltrechos protagonistas.

Rarement un film a mieux reflété la transition entre les années 1970 et la décennie suivante que celui-ci. Les vestiges du passé y coexistent avec les signes annonciateurs d’un état d’esprit, qui anéantira à peu près tout ce qui rendait si irrésistible, d’un point de vue américain, l’époque du libertinage sous le signe du traumatisme de la guerre du Vietnam. Cutter’s way ne tente pourtant pas le grand écart entre ces deux courants diamétralement opposés, autant en termes d’idéalisme que d’esthétique. C’est au contraire un film plutôt intimiste et avant tout fidèle au ton doucement mélancolique que la narration de Ivan Passer impose sans jamais forcer le trait. Les deux personnages principaux ont beau y être les représentants d’un style de vie dépourvu du moindre point en commun, leur relation conflictuelle se nourrit admirablement de cette incompatibilité pour mieux sonder les profondeurs de l’âme humaine. Ce qui ne signifie nullement que le récit cultive des ambitions éthiques disproportionnelles. Il réussit juste à tirer profit d’une intrigue policière nébuleuse pour dresser des portraits poignants de deux hommes et d’une femme, qui ne profiteront jamais des bienfaits supposés du rêve américain.

C’est un film confidentiel qui comme les autres bénéficie toujours, quand les circonstances les font sortir de l’ombre, d’une aura particulière, d’un cachet en quelque sorte, qui influence plus ou moins la perception du public et des critiques à leur égard.
Flop à sa sortie, le film est maintenant considéré comme un film-culte et même un chef d’œuvre. Contemporain de son époque il convoque, en filigrane ou de manière explicite la guerre du Vietnam.
Maladif comme son personnage principal, le film interroge sur le retour après un tel conflit. Il ne faut pas oublier que pour les États-Unis se fût un échec cuisant; qu’ils ont du mal encore aujourd’hui à digérer. C’est en ça que le film d’Ivan Passer est fort. Ce sont les blessures (auxquels le titre français d’exploitation faisait référence) qui ont stigmatisé le peuple américain.

domenica 30 agosto 2015

Seconds (Operazione diabolica) - John Frankenheimer

cambiare faccia e cambiare vita è questione di poco tempo, lo scegli o sei scelto, e si ricomincia, nuovi amici, nuove donne, si riparte.un'organizzazione impersonale ed efficiente riesce nell'impresa, c'è una lista d'attesa, devi dimenticare tutto.
regista come pochi, attori bravissimi (Rock Hudson perfetto), fotografia straordinaria, film inquietante, troppo avanti per i suoi tempi.
un film da recuperare senza alcun dubbio - Ismaele




Oggi riverito e amato, il compianto Frankenheimer, all'epoca della presentazione a Cannes di Operazione diabolica, venne preso a pesci in faccia dalla critica, con conseguente scarsa distribuzione nelle sale e sostanziale fiasco. Il che, per un film con protagonista Rock Hudson all'apice della carriera, rappresentò un fallimento non male, con rimorsi e rimpianti del caso da parte del regista. Ovviamente, i critici che fischiarono a Cannes meritavano solo una gran bella raffica di schiaffi…

Réalisé en pleine période de contre-culture hippie et de contestation de la guerre du Vietnam, le film de Frankenheimer se fait en outre un plaisir de dénoncer, implicitement, certaines dérives du pouvoir politique et économique des États-Unis, symbolisé ici par la redoutable compagnie dirigée par le maléfique Mr. Ruby (Will Geer). Il faut par ailleurs souligner la qualité de l’équipe technique et artistique. Saul Bass au générique, Jerry Goldsmith à la musique ou James Wong Howe à la photo contribuent à la réussite de l’ensemble, et le casting a été particulièrement bien choisi…

La música y las imágenes que encabezan la película y sirven de background a los créditos iniciales no auguran precisamente una bonita historia. Es más, presagian claramente algo inquietante, opresivo… y así va a ser Seconds; angustiosa. El hecho de que imágenes y música (de Jerry Goldsmith, por cierto) sean coherentes con el contenido argumental se mantendrá durante todo el film, donde nos toparemos con travellings en primerísimo plano inauditos para la época (de esos que tanto sorprendieron en Requiem for a Dream, de Darren Aronofski), con angulaciones de cámara aberrantes y, por momentos, incluso un montaje bastante sincopado capaz de producir un cierto desasosiego en el espectador…

…Muchos comparan esta obra con el Fausto de Goethe. Puedo ver por qué, por ejemplo, en el hecho que les acabo de ilustrar. ¿Qué tan distinto puede ser perder el alma en aras de cumplir un contrato a dejar de ser lo que uno supone que es, como en este caso? Pasa uno a convertirse entonces en combustible de una maquinaria insaciable, que tritura en nosotros todo dejo de humanidad y nos vuelve a nosotros mismos un producto de consumo, en aras de la supuesta comodidad que la tecnología nos proporciona, y que incluso nos libra de la molestia de pensar mientras corremos sin hacer ningún esfuerzo por la banda automática de la línea de producción. Todo parece tan al alcance de la mano, que se nos olvida que pensar es una facultad, aunque como actividad implique esfuerzo, lo cuál en la sociedad moderna se nos ha condicionado a temer y a evitar. Esto queda ilustrado en una escena en donde Wilson es trasportado de la manera descrita, mientras un clérigo lo sigue a través de la banda preguntándole por su denominación religiosa. Al no hallar respuesta, éste justifica su presencia diciéndole “no importa, estoy certificado en tres distintas.” De esta manera, podemos ver cómo pierden relevancia incluso las doctrinas espirituales que practiquemos, e incluso éstas se estandaricen en una “denominación,” un puro número o nombre desprovisto de todo significado, excepto el que tengan dentro del funcionamiento de la “máquina.”..

Seconds is like an episode of The Twilight Zone in which a farfetched sci-fi notion is rendered unsettlingly plausible. Like a good Twilight Zone episode, the implications of the fantastic gimmick are more important than the mechanics of the gimmick itself. More than a futuristic thriller, Seconds turns out to be a character study, or an examination of happiness, consumerism, and the American dream.
It is also a brilliantly-told parable, from the great John Frankenheimer (The Manchurian Candidate, Ronin) whose use of long shots, long takes, wide-angle lenses, and always-just-a-little-skewed framing gives Seconds the uncomfortable feel of a Kafkaesque nightmare…

«Je voulais dire que le rêve américain, c’est du vent...Vous êtes ce que vous êtes. Vous devez vivre avec cette idée et l’accepter. Cela ne sert à rien de vouloir rêver que vous changez complètement à l’intérieur de la même société. Au contraire, vous devez apprendre à vivre avec vous-même, à vous accepter tel que vous êtes. Ensuite vous pourrez essayer de progresser et de faire progresser le monde autour de vous, à condition que vous acceptiez votre passé. Si vous éliminez votre passé, vous êtes foutu. Le rêve que caresse le héros est une échappatoire. Vous n’avez pas le droit d’échapper à ce qui vous entoure, à vos responsabilités. Vous ne pouvez pas y échapper, contrairement à ce qu’on vous enseigne en Amérique. Il faut les accepter et essayer de progresser intérieurement (...) Seconds est un film terriblement pessimiste, mais je n’arrive pas du tout à croire au thème de la seconde chance. Ce n’est pas seulement un thème américain, il devient important en France : je lis vos journaux, vos magazines, et là, je crois que vous vous américanisez dangereusement»
da qui




inizia così:

sabato 29 agosto 2015

Lama tagliente (Sling Blade) – Billy Bob Thornton

Billy Bob Thornton, grande attore, qui è al suo primo film come regista ed è anche il protagonista.
con questo film nel 1997 ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura e ha ottenuto la nomination come miglior attore protagonista.
la trasformazione di Billy in Karl è straordinaria, se non leggessi che è lui mica ci crederesti.
è una storia di bambini, Karl li capisce, e sta dalla parte di Frank.
le musiche sono di Daniel Lanois, e fra gli interpreti c’è Vic Chesnutt.
un piccolo capolavoro da non perdere - Ismaele




Quello che si definisce un autentico capolavoro. Una delle opere più intime, genuine ed emozionanti che abbia mai visto, supportata interamente da un fenomenale Billy Bob Thornton che oltre a regia e sceneggiatura ci offre un'interpretazione intensa e impegnativa come poche altre. Thornton ci racconta una storia di giustizia ed eticità, di amicizia e coraggio, di grettezza e tolleranza senza sbagliare un solo colpo; bravissimi anche John Ritter e il bambino, stupende le inquadrature, magnifica la colonna sonora. Impresso nel cuore.

… Reputavo già Billy Bob Thornton un grande attore, ma qui mi ha veramente lasciato a bocca aperta. Inizialmente, non ero nemmeno convinto che fosse lui! Bravissimo nella postura e nell'espressività di Karl - bisognerebbe sentirlo in lingua originale per confrontarlo con il comunque buon doppiaggio di Mario Valgoi, ma che magari ha fatto perdere qualcosa. Particolarmente apprezzabili alcune piccole cose come diversi dialoghi o i cameo di Robert Duvall e Jim Jarmush. Finale piuttosto prevedibile. Musiche assenti.
Valutazione finale? Beh, ho trovato "Lama tagliente" un buon film anzi, per dirlo alla maniera di Karl Childers: «In verità, mi è piaciuto. Mmm-mmmh ...e così sia».

“Sling Blade” begins with a remarkable monologue delivered straight to the camera. A man with a raspy voice, an overshot jaw and a lot of pain in his eyes says he reckons we might like to hear about his story, and so he tells it. His name is Karl Childers, he is retarded, and he has been in a state facility since childhood, when he found his mother with her lover and killed them both. But now, he says, “I reckon I got no reason to kill no one. Uh, huh.” Karl is talking to a reporter about his release from the institution. They reckon he has been cured. They are probably right. He is not a killer, would not kill without good and proper reason, and now understands how, as a child, he misinterpreted the situation. As he talks, we are struck by his forceful presence; he is retarded, yes, but he is complex and observant, and has spent a lot of time thinking about what he should and shouldn't do.
If “Forrest Gump” had been written by William Faulkner, the result might have been something like “Sling Blade.” The movie is a work of great originality and fascination by Billy Bob Thornton, who wrote it, directed it and plays Karl Childers. He says that the character “came to him” one morning while he was shaving, and he started talking to himself in the mirror, in Karl's voice…

martedì 18 agosto 2015

Buone notizie – Elio Petri

l'ultimo film di Elio Petri, considerato da alcuni come un'opera minore, secondo me solo perché gli altri film sono grandissimi.
la tv invade e pervade la vita, le buone notizie del titolo non esistono.
nessuno è felice, la realtà fa schifo, i dialoghi sono veri e crudeli, a volte surreali.
si vive alla giornata, nessuno ha un progetto di vita, come se si aspettasse una qualche fine, l'allarme bomba è finto, ma qualcosa dovrà pur scoppiare.
Giancarlo Giannini qui è bravissimo.
un film che merita molto, come tutta l'opera del regista.
guardatelo, decidete voi quanto vale - franz




QUI il film completo


Un'opera sarcastica e amara che riflette sulla società dello spettacolo in cui la vita e la realtà sono annullate dalla simulazione di se stesse. La decostruzione del racconto, una sorta di esperimento à-la Derrida, è anche una decostruzione di idee. Petri rende tangibile la sua disperazione con un film volutamente sgradevole. "Nella società dello spettacolo, non c'è più lo spettacolo della vita. C'è solo lo spettacolo che la società preordina, programma, elabora per darti l'impressione che tu vivi, mentre tu non vivi più da molto tempo. Io credo che la realtà non ci sia più [...]. Io credo che la nostra sia un simulacro di vita"

L'ultimo film di Petri non è il suo più riuscito, ma mi sembra sbagliato e ingiusto considerarlo, come fanno anche critici affermati, un'opera minore dell'autore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Todo modo. Come con quest'ultimo film aveva anticipato tragedie che di lì a poco avrebbero sconvolto il mondo politico e segnato profondamente il paese, anche Buone notizie è anticipatore di situazioni che non tarderanno a verificarsi: del resto, il compito - direi quasi la missione - dell'artista (e Petri era sicuramente un artista/polemista) è quello di suscitare un dibattito su argomenti che non ne sono ancora oggetto. Qui gli spunti di riflessione sono parecchi, ma emerge prepotente il tema della televisione e della sua pervasività nella società italiana (ma occidentale in senso lato): la televisione

Buone Notizie è un film ferocemente pessimista dipinto come un affresco ambiguo e surreale (debitore del cinema di Buñuel) ambientato in una Roma irriconoscibile, minacciosa e decadente, straziata e violentata dal consumismo i cui resti immondi marciscono ai piedi di monumenti millenari e popolata da una serie di personaggi nevrotici che si esprimono con un linguaggio frantumato e incomprensibile, pervaso da una vena di malinconico sarcasmo…
Buone Notizie, film-testamento di Elio Petri, contiene città sommerse dalla spazzatura, una volgarità dilagante ed esibita, un susseguirsi di episodi di cronaca nera, l’acuirsi dell’insicurezza delle persone, i continui allarmi-bomba (con cui viene puntualmente evacuato il palazzo della tv), una famiglia disgregata e assente, l’incomunicabilità eletta a sistema di vita, la ricostruzione televisiva di fatti di sangue: sembra girato in questi giorni, in realtà Petri, come tutti i grandi aveva già capito tutto prima che tutto accadesse. Buone Notizie è un film dimenticato, sottovalutato e maltrattato dalla critica, irreperibile (se non per una vecchia registrazione satellitare), appartiene di diritto a quelle opere in grado di dividere il pubblico, di suscitare il dibattito, di interrogare (criticamente) lo spettatore. Un cinema, rischioso e provocatorio, di cui ci sarebbe assoluto bisogno, compresso in un film che ad una prima visione può sembrare approssimativo, e sovraeccitato, ma che in realtà è una delle più lucide analisi di una società al collasso, mentre l’asfissia si sta ancora diffondendo.

Buone notizie si apre in un panorama in cui la società è in pieno disfacimento e decadenza. La sporcizia e i rifiuti che ricoprono la città sembra una naturale continuazione del finale di Todo Modo. Una società nevrotica, come il suo protagonista, circondato e influenzato dagli status symbol, incapace di comunicare con il mondo esterno, ossessionato dalla paura della morte (come il protagonista de I giorni contati) ed insicuro sul sesso. Il finale è piuttosto enigmatico, ma in quei bigliettini con scritto "Da non aprire" c'è forse la soluzione (già prospettata in Un traquillo posto di campagna) dell'unico rifugio possibile ad una società che fagocita tutto e tutti: la follia.
Come in tutto il suo cinema, anche in questo suo ultimo film, sono disseminati intuizioni notevoli a dimostrazione della capacità di Petri di essere un osservatore acuto della società e della sua evoluzione. Non è un film di facile fruibilità, grottesco e sopra le righe come è nel suo stile, ma non è un film banale, riuscendo ad offrire qualche ottimo spunto di riflessione.

lunedì 17 agosto 2015

Unknown Chaplin (Alla ricerca di Charlie Chaplin) – Kevin Brownlow, David Gill

documentario su Charlie Chaplin, regista e attore, una storia tutta filmata attraverso alcuni rari pezzi di film, girati a suo tempo, ma mai entrati in un film di o con Charlie Chaplin, rari perché a quei tempi si buttava tutto.
se qualcuno non l'ha capito Chaplin era un genio, e anche più, un infaticabile lavoratore, un perfezionista, un tombeur de femmes, fra le altre cose.
che amiate Charlie Chaplin o ancora no, cercate questo film, pura gioia e delizia per tutti, poi sarà solo amore - Ismaele






La pellicola, come si evince dal nome, raccoglie il materiale scartato da Chaplin al montaggio durante tutta la sua carriera, recuperato e rimontato dagli studiosi di storia del cinema Kevin Brownlow e David Gill, ai quali la vedova del grande regista, Oona O'Neil, ha messo a disposizione gli archivi personali del marito, ai quali nessuno aveva mai avuto accesso precedentemente. Da questo archivio emerge quanto Chaplin fosse un perfezionista nel suo lavoro…

È un 'laboratorio' tormentato e inesauribile quello che Kevin Brownlow e David Gill svelarono trent'anni fa nel loro film "Unknown Chaplin". Quel film nasceva da un ritrovamento che per gli storici divenne "la scoperta del secolo": le ricerche di Brownlow e Gill avevano portato alla luce una quantità di materiale insospettato e stupefacente sui metodi di lavoro di Charlie Chaplin. Tra scene tagliate, copie lavoro, prove filmate, sequenze "di famiglia", lo spettatore viene ammesso ai segreti di un irripetibile universo creativo, per la prima volta coglie tutta l'immensa complessità, il tormento dei ripensamenti, la luce delle intuizioni, il ferreo controllo che sta dietro la semplicità universale del cinema di Chaplin. Pietra miliare per gli studi chapliniani, esperienza emozionante per chiunque ami il cinema di Chaplin, questo film unico e da trent'anni introvabile viene riproposto in una edizione DVD, sottotitolata e arricchita di extra. Il libro che lo accompagna, e che ci restituisce ogni passaggio della realizzazione del documentario, è un diario di bordo e una detective-story, narrata da Brownlow con squisita ironia britannica e illustrata da cinquanta rare fotografie d'archivio.

Indispensable for any Chaplin fan and important and highly intriguing for anyone who cares about film history, this three-volume series offers the outtakes and unreleased tracks of the Little Tramp's storied career. Archivist Kevin Brownlow and David Gill meticulously and ingeniously piece together previously unseen footage from Chaplin's private collection, demonstrating in part 1 how painstakingly the director developed gags in such short films as The Cure and The Immigrant.Part 2 is less essential, but offers the famous behind-the-camera intrigue of the making of his classic City Lights, a film in which pokey perfectionist Chaplin makes Stanley Kubrick look like a caffeinated, indie tyro rushing through production. Part 3 demonstrates how Chaplin recycled ideas he discarded early in his career for use in later film. It includes a historic first--one of the first extended sequences Chaplin shot trying to break out of the Little Tramp mold. Doubly amazing is how fresh and funny and effective Chaplin's filmmaking remains today, nearly a century later.
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This is an in-depth UK documentary series examining the film making methods and techniques of Charles Chaplin narrated by James Mason. Silent film historians Kevin Brownlow and David Gill show us never before seen out-takes from Chaplin's films, and other rare footage including pratfalls edited out when Chaplin became injured. Unknown Chaplin gives a valuable insight into the creation of Chaplin's films and the behind the scenes meticulous preparation and production. Included are interviews with relatives and other people who knew and worked with Chaplin (Geraldine Chaplin, Sydney Chaplin, Virginia Cherrill, Jackie Coogan, Alistair Cooke etc. ). The documentary is in three 52 minute segments: My Happiest Years; Hidden Treasures; and The Great Director. Accompanied by excellent music by Carl Davis, much adapted from Chaplin's own musical scores


qui la terza parte:

domenica 16 agosto 2015

Dzien swira (La giornata di uno svitato) - Marek Koterski

qualcuno come Adas lo hai conosciuto, almeno per certe cose, a magari certe volte lo vedi allo specchio, per questo ti trovi un po' a casa, in un film così.
una giornata della vita di Adas, ripetizioni, fissazioni, contrarietà, decisioni e indecisioni, mamma, figlio, donne, lavoro, tutto lo tiene legato, impotente, come un Gulliver nelle mani dei lillipuziani.
solo nel sogno Adas trova la libertà di scegliere, ma la vita non è sogno, nonostante Pedro Calderón de La Barca.
guardatevi allo specchio, cercate questo film - Ismaele




Marek Koterski (Cracovia 1942) appartiene a quella generazione di cineasti che si sono formati alla Accademia di arte Cinematografica, Televisiva e Teatrale di Łódź, la stessa da cui uscirono Kieślowski e Polański – per limitarmi a un paio i più conosciuti dal pubblico internazionale…

Dzień świra [La giornata di uno svitato] è il resoconto di una “giornata” che la macchina da presa trascorre insieme ad Adaś Miauczyński, da quando egli apre gli occhi la mattina fino al momento di coricarsi. Le virgolette che ho impiegato si giustificano per il fatto che il regista forza il concetto di tempo all’interno della narrazione: è logicamente impossibile che tutto quello che vediamo sullo schermo accada in una sola giornata: il protagonista si sveglia, va a scuola a fare lezione, ritira lo stipendio, pranza dalla madre, va da un paio di psicanalisti, litiga con la ex moglie per poi passare del tempo con il figlio; fa la spesa, assiste a una surreale manifestazione politica, rientra a casa, dove prima legge il giornale e poi tenta di fare un pisolino pomeridiano… Non ci riesce e lo ritroviamo sul lettino di una specialista di agopuntura, poi su quello di un dentista e infine in uno studio medico a farsi controllare la prostata. Non basta: andrà anche da un fisioterapista per poi ritornare a casa e ritentare di fare un pisolino pomeridiano. Infine si decide a prendere un treno verso il mare della costa baltica, nella speranza di trovare finalmente un luogo in cui poter riposare (è ossessiva – lungo tutto il film – la rivendicazione da parte di Adaś di un luogo e di un tempo da poter dedicare al riposo). È soltanto dopo questo ultimo fallimento che sopraggiungono – mi si permetta una citazione da De Andrè – “la sera ed il buio”; solo alla fine del film dunque. Perché questo espediente narrativo? Credo che tale scelta stilistica abbia almeno due chiavi di lettura: la prima è quella che dice l’ossessiva, snervante ripetitività delle giornate del protagonista: “togliere” dal film la presenza della notte equivale a dare un senso tormentoso (e surreale) di “continuità” al narrato; la seconda è che la notte e il riposo tanto agognato che questa porta con sé restano un letterale oggetto del desiderio; desiderio perennemente frustrato. Va inoltre detto che il protagonista, nei suoi monologhi, rimpiange spessissimo Ela – il suo primo amore – convinto com’è che se solo la ritrovasse, tutto potrebbe “ricominciare da zero”, che tutte le possibilità che ha perduto nella propria vita (da quelle affettive a quelle accademiche a cui ha rinunciato) potrebbero ripresentarglisi…

…If The Day of the Wacko were played out as a drama, it'd be depressing and morbid, but no less intriguing. That Koterski manages to make a story so negative outright hilarious is a testimony to the talent he has both with the pen, and behind the camera. Not for many years have we seen a film so heartfelt, political, dramatic and gutbustingly funny. the Poles have a real knack for dark humor, but it takes a writer/director of exceptional talent to tie that into a film of meaning.
That in itself would be enough to recommend the film, but the performance of Marek Kondrat in the lead role is brave, polished and perfect. This entire film hinges as much on his talent as on the director's flair, and both parties prove themselves to be consummate professionals as well as artists. A wrong step anywhere along the course of this film by either of the two could have seen the entire affair go an entire different way, but there isn't a bad note hit in the entire 95 minutes.
A stunning surprise and certainly among the best films of the Vancouver Festival to date, The Day of the Wacko is a film that deserves a wide release stateside. Whether it gets one, of course, is up to those with traditionally far less taste than this very happy, constantly laughing audience.

Lei e il suo gatto - Makoto Shinkai


sabato 15 agosto 2015

Mój Nikifor - Krzysztof Krauze

una bellissima sorpresa, almeno quanto era stato il film tv di Salvatore Nocita nel quale Flavio Bucci interpretava Ligabue.
Nikifor è interpretato da un'eccezionale attrice, Krystyna Feldman, di 84 anni all'epoca del film.
come van Gogh e Ligabue, Nikifor, mal sopportato dai concittadini, vende i suoi quadri per sopravvivere, per strada, o lo sfrutta qualche mercante d'arte.
la sua storia è straordinaria, e il film, che è bellissimo e commovente, serve anche a far conoscere Nikifor, e i suoi quadri bellissimi.
cercatelo e guardatelo, nessuno se ne pentirà - Ismaele





Il film si apre mostrandoci il paesaggio innevato di Krynica, città di origine di Nikifor, nel 1960. È qui che avviene l’incontro tra il protagonista, incapace di comunicare se non attraverso la sua arte, e Włosiński. Il promettente pittore si ritrova a dover condividere il suo studio con questo strambo vecchino, non senza essere terribilmente infastidito dalla sua presenza e dalla sua fissazione per la musica da ballo alla radio.
Nikifor è escluso da tutto e da tutti a Krynica, si aggira trascinandosi lentamente per la città cercando di vendere le sue opere e dedica tutto se stesso alla sua arte. I dialoghi tra Marian e il vecchietto spesso si trasformano in mologhi, infatti Nikifor non risponde mai direttamente alle domande che gli vengono poste, lascia parlare al posto suo un silenzio interrogativo o bofonchia qualcosa di inarticolato e spesso incomprensibile. Krauze preferisce mostrare le vere risposte attraverso la cinepresa, che inquadra in successione i dipinti dell’artista

…My Nikifor rises above the average biopic because it seems to have a real purpose to the telling of its tale, a purpose which goes beyond simply documenting the life of a famous person. Nikifor's example and the lessons he provides simply by living have a relevance which goes beyond art. Also important is Nikifor's deep religious faith, which gives him the confidence to persist with his own purose no matter what life throws at him. Nikifor is portrayed by the famous Polish stage actress Krystyna Feldman, whose highly affected yet intense performance gives him dignity without hiding his shabbiness or his general state of decay. It is an obsessive performance which gives us an insight into the mind of a man for whom art was the whole reason for being.
My Nikifor is a film not only for admirers of the artist but for anyone with an interest in creative work, or, indeed, for anyone who admires the beautiful landscapes of rural Poland. It is a human drama which reminds us of the essential humanity of others, no matter how different or distant they may seem.

Nikifor, conosciuto anche come Nikifor Krynicki o Epifaniusz Drowniak (21 maggio 1895 – 10 ottobre 1968), è stato un pittore polacco.
Fu un pittore folk e naïf, che dipinse il popolo dei Lemko, una popolazione e gruppo etno-linguistico di origine ucraina diffusa nelle aree carpatiche della Polonia. Nikifor dipinse più di quarantamila disegni - su fogli di carta, pagine di bloc-notes, cartoni di sigarette e anche su scarti di carta incollati assieme. Gli argomenti della sua arte includono auto-ritratti e panorami di Krynica, con le sue terme e le chiese ortodosse e cattoliche. Sottostimato per la maggior parte della sua vita, nei suoi ultimi giorni divenne uno dei più famosi pittori primitivisti.

Biografia
Poco è conosciuto della vita privata di Nikifor. Per la maggior parte della sua vita visse in estrema povertà a Krynica e fu considerato una persona con poca capacità mentale. Ebbe difficoltà a parlare ed era quasi analfabeta. Non fu troppo tardi nella sua vita che si scoprì che, di fatti, la sua lingua era attaccata al palato, ragion per cui la sua parola non era molto comprensibile. Nel 1930 i suoi primi dipinti sono stati scoperti da Roman Turyn, che li portò a Parigi. Ciò fece conquistare a Nikifor un po' di fama tra i Kapist, un gruppo di giovani pittori polacchi capeggiati da Józef Pankiewicz. Comunque, ciò non cambiò il suo fato e la sua arte continuò ad essere sottostimata in Polonia. Nel 1938 Jerzy Wolff pubblicò una recensione entusiastica dell'arte di Nikifor nel mensile Arkady e comprò alcuni dei suoi lavori. Comunque, la Seconda guerra mondiale impedì a Nikifor di conquistare una qualunque notorietà.
Nel 1960 Nikifor incontrò Marian Włosiński, un pittore che viveva a Krynica. Quest'ultimo decise di dedicare la sua carriera e la sua vita nell'aiutare il vecchio artista e propose i suoi lavori nelle maggiori gallerie polacche. Ciò portò ad una grande esibizione nella galleria d'arte Zachęta, a Varsavia, che divenne un enorme successo. Dopo la morte di Nikifor nel 1968, la maggior parte dei suoi lavori fu preservata da Włosiński e donata a vari musei. La più completa collezione risiede nel Museo Regionale di Nowy Sącz e nel museo di Nikifor di Krynica.
Gli ultimi anni di Nikifor sono stati il tema base del film Mój Nikifor (Mio Nikifor) di Krzysztof Krauze (2004).

Nome

Il nome e il cognome di Nikifor sono stati motivo di disputa per più di mezzo secolo, dato che l'artista non conobbe i suoi parenti, né tantomeno documenti e fu anche analfabeta. Egli stesso firmava i suoi lavori con nome di NikiforNetyfor o con quello dell'artista Matejko. Nel 1962 le autorità comuniste di Polonia scelsero arbitrariamente il nome di Nikifor Krynicki (Nikifor di Krynica) in modo da far ottenere all'artista un passaporto. Questo atto fu dichiarato nullo da una corte nel 2003, seguendo una richiesta dell'Associazione Lemko della Polonia. I Lemko affermano che Nikifor fu battezzato Epifaniy Drovnyak (pronunciato Epifaniusz Drowniak in polacco) e che i suoi genitori fossero Eudokia Drowniak, una sordomuta Lemko ed un padre sconosciuto. Seguendo la decisione della corte il nome sulla tomba nel cimitero di Krynica fu cambiato. Ad oggi la sua tomba riporta due nomi: "Nikifor Krynicki" (in lettere latine) e "Epifaniy Drovnyak" (in cirillico).


qui e qui molti suoi quadri

giovedì 13 agosto 2015

The secret of Kells - Tomm Moore, Nora Twomey

mai passato al cinema, eppure sarebbe stato uno dei migliori film.
una storia bellissima, fra sacro e profano, barbarie e civiltà, obbedienza e disobbedianza, divinità degli uomini e divinità della foresta.
disegni bellissimi disegnano un mondo medievale, e il potere e la volontà e la custodia del libro, la scrittura e i disegni sono lo sfondo e il tappetto del film, dove tutto può succedere, e molto succede.
vogliatevi bene, cercatelo e guardatelo (e riguardatelo) - Ismaele 







Dal punto di vista tecnico questo film è grandioso: ogni immagine è un quadro, e va visto animato. Le semplici immagini non rendono, e si mangia a colazione tanti spettacolari film in CG: è poetico e ha una fantasia incredibile nella gestione delle scene. Per non parlare della colonna sonora.
Guardatelo (coi sottotitoli si trova), e passate parole. Non esiste che lo conoscano in quattro.

Si on est surpris dans un premier temps par le graphisme du film, c’est peut être à cause de l’habitude des Walt Disney et des films d’animation made in Pixar. Mais on ne tarde pourtant pas à tomber amoureux et à se laisser aller dans l’univers merveilleux de Tomm Moore. Les images sont impressionnantes et le mariage de celles-ci avec la musique suscite beaucoup d’émotion. Par exemple, la représentation des Vikings : des colosses noirs sur fond rouge avec un thème musical bien particulier, ou bien le petite Schelling que la peur transfigure un instant et dont la voix change furtivement, sont autant de portraits délicieux.
On soulignera cependant qu'en dessous de 6 ans, les images pourront être impressionnantes. Mais comme les adultes, ils seront fortement séduits par les images d’enluminures qui donnent toute la dimension du merveilleux de ce film. De plus l’histoire véhicule des thèmes forts comme l’amitié, la mort, le courage… Et lorsque l'on sort de « Brendan et le secret de Kells », on a simplement envie d’une seule chose... c’est de le revoir!

Originale e fresco nella direzione artistica, densissimo e di ritmo impeccabile nel racconto, dinamico e capace a tratti di suscitare una commozione puramente estetica (le sequenze della scalata della quercia, coi suoi giochi di prospettive e sezioni, e della canzone di Aisling costituiscono amalgami audiovisivi sbalorditivi) eppure capace di mostrare caratteri memorabili nella loro classicità a dispetto di un tempo di apparizione relativamente breve, The Secret of Kellsè una gemma di levigata bellezza, capace di condensare in appena un’ora e un quarto di riproduzione una cornucopia di invenzioni visive con pochissimi rivali nel campo dell’animazione odierna; un risultato superlativo ottenuto con un decimo dei costi di una produzione Pixar (senza nulla togliere a lavori del calibro di WALL-E e Up, sia chiaro!) e col valore aggiunto di provenire da un paese come l’Irlanda, marginalizzato a dispetto del fascino che esercita eppure evidentemente vitale. Da vedere e da amare, qualsiasi età abbiate.

…il gatto Pangur Bán è anch'egli una citazione, questa volta letteraria, da un poemetto il cui autore è un anonimo monaco irlandese. Un migliaio di anni fa il monaco volle simpaticamente paragonare la sua attività di amanuense a quella di cacciatore di topi del suo gatto bianco di nome Pangur Bán cioè "Pangur il bianco".

Io e il mio gatto Pangur Ban 
lo stesso compito eseguiam: 
lui a caccia di topi lieto corre intorno 
io a caccia di parole sto seduto notte e giorno. 

È molto meglio di ogni onore ricevuto 
con libro e penna starmene seduto; 
rancor verso di me Pangur certo non ha, 
e del suo semplice mestier buon uso fa. 

Un topo smarrendosi finisce spesso 
tra i piedi dell'eroico Pangur messo; 
spesso il mio pensier si tende, 
ed un significato nella sua rete prende. 

Gli occhi posa lui contro il muro, 
grande e grosso e scaltro e sicuro; 
contro il muro del sapere metterò 
a dura prova quel poco che so. 

Il costante allenamento ha fatto 
di Pangur un perfetto gatto; 
notte e giorno sapienza io apprendo 
in luce l'oscurità volgendo...

martedì 11 agosto 2015

Peeping Tom (L’occhio che uccide) – Michael Powell

Mark ha un piccolo difetto, filma le vittime, che poi uccide, e conserva e riguarda i filmati.
film per psichiatri e psicoanalisti, e per tutti noi.
Michael Powell ha rotto qualche tabù, con questo film, e l'ha pagata, regista troppo scandaloso (perché fa vedere gli omicidi o perché l'assassino è uno come noi, chissà).
Mark è un bravo ragazzo, e le sue pulsioni voyeuristiche/omicide sono una malattia, e l'affetto/amore di Helen, lo aiuterà, forse, a guarire.
precursore di molto grande cinema che verrà dopo, Peeping Tom colpisce ancora oggi.
un capolavoro da vedere e rivedere - Ismaele







The movies make us into voyeurs. We sit in the dark, watching other people's lives. It is the bargain the cinema strikes with us, although most films are too well-behaved to mention it.
Michael Powell's "Peeping Tom," a 1960 movie about a man who filmed his victims as they died, broke the rules and crossed the line. It was so loathed on its first release that it was pulled from theaters, and effectively ended the career of one of Britain's greatest directors.
Why did critics and the public hate it so? I think because it didn't allow the audience to lurk anonymously in the dark, but implicated us in the voyeurism of the title character.
Martin Scorsese once said that this movie, and Federico Fellini's "8 1/2," contain all that can be said about directing. The Fellini film is about the world of deals and scripts and show biz, and the Powell is about the deep psychological process at work when a filmmaker tells his actors to do as he commands, while he stands in the shadows and watches…

questo film gioca con il voyeurismo (o scopofilia) dello spettatore e finisce per ribaltargli contro questa tendenza; entrando nello specifico si potrà apprezzare la cura con cui Powell realizza tutto ciò. In prima istanza abbiamo il protagonista Mark, interpretato dal Carl Boehm (o Karlheinz Böhm) poi pupillo di Fassbinder, che Powell scelse a partire dal fatto che l'attore fosse figlio di un noto direttore d'orchestra; molto del film, infatti, ha a che fare con il rapporto del figlio con un padre "importante". La performance di Boehm crea un killer a doppia faccia, timido e letale, sadico ma fragile al punto che è difficile non simpatizzare con lui. Uomo solo, Mark abita in una casa che, come lui, è divisa in due: una parte è modesta ed essenziale, un letto, un tavolo, ... L'altra parte, dietro il pesante telo (che è quello del cinema e della coscienza), nasconde la camera oscura, le telecamere e tanti di quei macchinari che si potrebbe aver l'impressione di guardare il laboratorio di un mad doctor. Ma la cine-filia di Mark non si ferma qui, è una specie di psicosi che lo porta ad indentificarsi con la macchina da presa nel momento in cui tocca il proprio corpo specularmente a come fa Helen mentre sceglie il posto dove appuntare la spilla. Il feticcio di Mark è la mdp ed è per questo che bacia la lente in risposta al bacio di Helen, ed è agitatissimo mentre un poliziotto tocca la mdp come se fosse geloso, o ancor più, come se quella fosse estensione del suo stesso corpo. In tutto questo gioco di specchi, di chi guarda e di chi è osservato, la persona che per prima si accorge che qualcosa non va nella vita di Mark è la madre di Helen, cieca e senza un nome. La donna, interpretata dalla brava Maxine Audley, è, per il suo difetto fisico, ovviamente fuori dai giochi e tale cosa le permette per prima di accorgersi dell'inghippo anche se non sembra aver nessun potere sulle dinamiche dei protagonisti. A livello tecnico il film sorprende fin dalla prima magistrale scena (qualcosa di simile si vedrà in Marnie, film del 1964 di Hitchcock), realizzata in una strada volutamente artificiale immersa in un insieme innaturale di colori; la ripresa è la soggettiva di una ripresa di Mark. Poco dopo nel film avremo la possibilità di rivedere la stessa scena proiettata sul telo nella camera di Mark con lui girato di spalle a guardare (con e come noi) le immagini. L'Occhio che uccide, film contemplativo e molto limitato nella ricerca dell'effetto, è non solo un horror-thriller di grande modernità e intelligenza, precursore di molte pellicole moderne che hanno come nucleo uno psicopatico con il quale il pubblico "empatizza" (e altri elementi accessori: trauma infantile, ...), ma è uno dei pochi horror che obbliga lo spettatore a pagare un pegno psicologico per la visione. Sono tantissime le pellicole di orrore estremamente violente ma che creano una distanza enorme fra esse e chi le guarda, tanto che si può ridere di ciò che si vede. Con Peeping Tom non si creano distanze e il gioco si fa serio: quanto, dunque, c'è di Mark in ognuno di noi appassionati di cinema? Un capolavoro, e lo si può dire senza timore di smentite.

lunedì 10 agosto 2015

Fengming - A Chinese Memoir - Wang Bing

la signora Fengming racconta la sua vita in tre ore.
lei è seduta, la macchina da presa di Wang Bing è fissa su di lei, per tre ora racconta.e tu, anche per un secondo, non ti annoi, la storia che senti ti interessa, non può non interessarti.
non succede niente, tutto è nelle parole della signora Fengming, e tu la segui, e provi a capire la sofferenza e il dolore, in uno dei tanti buchi neri della storia.
non è un film per indifferenti, cercalo, e ascolta e guarda la signora Fengming e prova a vedere - Ismaele







La commovente storia dell’anziana signora Fengming, una storia compresa nel documentario del regista Wang Bing, ci mostra un’intervista lunga quasi tre ore che parla delle condizioni in Cina durante il movimento anti-destra nel 1957 e più tardi durante la rivoluzione culturale. La fragile signora Fengming rivive i momenti terribili del periodo in cui con il suo primo marito Wang Jingchao erano stati giornalisti e dediti socialisti, confrontati con terribili minacce e con pressioni governative ed allo stesso tempo obbligati ad accettare un’umiliazione pubblica, staccarsi dai propri figli e andare in un campo di concentramento, dal quale il marito non è mai più ritornato.
Il tragico racconto della Fengming si intreccia in un nero scenario di terribili condizioni disumane, allo stesso tempo però anche di piccole azioni che salvano la vita. La testimonianza della narratrice, che, rassegnatasi al destino della propria strada di vita, svela la storia di una famiglia distrutta e di continui tentativi di fare dei piccoli pezzi della vita un mosaico incompleto, nonostante la posizione statica della telecamera durante tutta l’intervista (la telecamera rimane al proprio posto anche quando la signora Fengming deve andare in bagno), ci svela le terribili immagini della situazione cinese di allora. L’iquadratura iniziale, l’unica ripresa all’aperto, ci fa vedere la narratrice che in silenzio passeggia verso casa e tal modo metaforicamente presenta la situazione attuale del governo in Cina, ancora oggi sotto il potere degli stessi pensatori che hanno commesso i reati negli anni cinquanta, ed è per questo che, secondo il parere del regista Wang Bing, la verità non può ancora essere svelata al pubblico.

»Incontrai He Fengming per la prima volta nel 1995. Scoprii come lei e la sua famiglia, insieme ad altre con simili destini, vissero i movimenti politici che si susseguirono in Cina in tutti questi lunghi anni. Queste memorie non possono sbiadire, ma vivono in lei ancora oggi, come uno spettro che incessantemente ritorna per riportarci nel tempo dell’estremismo e del terrore, riempiendomi di una crescente ansietà.« (Wang Bing)

Night is falling as an elderly Chinese woman sits down in her armchair, faces the camera, and begins recounting her life story. In the Fifties, He Fengming was a journalist who had turned down a promising academic career to become a revolutionary. At the height of Mao’s Hundred Flowers Campaign, during which intellectuals were advised to contribute their opinions and let “a hundred schools of thought contend,” her husband wrote an essay criticizing the corruption of bureaucracy, which led to the couple being branded as rightists. A long period of darkness ensued, separating the family, and transporting the woman from one state of persecution to another in China’s labor camp system…

…Il y a ainsi, dans Fengming, chronique d’une femme chinoise, un effet de cinéma d’une simplicité désarmante et pourtant proprement hallucinant, et dont nous ne saurons jamais s’il a été voulu ou pas.
Il décuple en tout cas l’amour que nous pouvons éprouver pour le cinéma quand il devient un art et pour ses fabricants quand ils lui font tellement confiance.
Au fur et à mesure du témoignage de Fengming, la lumière du jour commence à baisser dans la pièce. La vieille dame n’y prête pas attention. Nous non plus tout d’abord : son témoignage est tellement prenant, envoûtant, édifiant. Qu’avons-nous à faire de la lumière ?
Et plus elle faiblit, plus nous nous enfonçons dans l’histoire de la vieille dame, et plus les fantômes chinois viennent à notre rencontre. Juste avant que nous ne criions au procédé, Wang Bing interrompt He Fengming et lui demande avec une profonde politesse si ça la dérangerait qu’on allume la lumière.
Elle accepte. Et la lumière jaillit.