martedì 31 marzo 2020

Formula per un delitto (Murder by Numbers) - Barbet Schroeder

un film avvincente, in un gioco che al cinema tira sempre, quello del delitto perfetto, e qualche volta ci si riesce.
i poliziotti fanno la figura degli ingenui, dei polli da fregare, che non capiscono, ma non sempre.
è una forma di duello, fra guardie e assassini, un gioco a scacchi che non finisce mai in pareggio, dove alla fine vinche chi scommette di più.
non sarà un capolavoro, ma si fa vedere bene - Ismaele





secondo il mio modestissimo parere questo è un film sottovalutato in maniera ingiusta e ingiustificata. Schroeder conosce bene il cinema altrui e conosce bene il suo mestiere e questo si è sempre visto nella sua alterna carriera.Qui sotto la scorza del poliziesco banale c'è una ricerca quasi affannosa del delitto perfetto da parte dei due ragazzi,un anelito quasi soffocante che è senza dubbio il motore del film.Come quasi sempre succede in questo tipo di film il poliziotto interpretato dall'equina Bullock è il personaggio meno riuscito di tutto il film nonostante lo sforzo di zavorrarlo con tutte le classiche derive esistenziali del bravo poliziotto americano.Invece i due assassini,il cui rapporto come dice il recensore di Filmtv è sostanzialmente irrisolto nonostante la presenza di un netto dominante,sono molto piu'sfaccettati,sono personaggi a tutto tondo.La loro ricerca del delitto perfetto è qualcosa che travalica la realta',sembra quasi un che di filosofico,non conta che tipo di delitto ,l'importante è che sia perfetto.Il film è efficace anche se non proprio stringato e risente di qualche debolezza nell'intreccio pero'secondo me è assolutamente da vedere....

L'elemento più interessante, originale e riuscito è l'analisi dell'ambiguo rapporto di forza tra i due rampolli, ragazzi viziati e sprezzanti, eccitati dalla "frenesia del delitto", forse, in fondo, profondamente attratti l'uno dall'altro (la componente omosessuale in più occasioni pare evidente tra il genio di Justin e la sregolatezza di Richard). Schroeder riesce così a regalare qualche gradevole sorpresa, capovolgendo le aspettative del pubblico, fin dall'incipit che non è quello che sembra. L'indagine poliziesca invece scorre lungo coordinate fin troppo prevedibili e telefonate

Un giallo-thriller di ottima fattura e non a caso diretto da Barbet Schroeder..
All'epoca presentato a Venezia, Formula per un delitto guarda alla lezione hithcockiana (tra tutti tornano alla mente Nodo alla gola e Delitto perfetto) conquistandosi però uno spazio di autonomia e di identità.
Le uniche piccola stonature sono solo da imputarsi alla confezione hollywoodiana (approfondire il passato traumatico del protagonista, cosa che per esempio ad un Hitchcock interessava quasi per nulla): indugiare su alcune situazioni intime e la presenza del classico countdown nell'epilogo . Ma per il resto, è uno degli esempi pù apprezzabili di thriller moderno. Proprio come il maestro Alfred, Schroeder non punta su facili allettanti colpi di teatro e strattoni:
Sappiamo già la verità, l'enigma è il meccanismo che la racchiude e nasconde. Comunque, anche una piccola sorpresa in fine non manca.
Promosso.
Sugli attori: Gosling e Pitt nel ruolo dei due ragazzi mitomani e disturbati, sono semplicemente perfetti ! Bravi anche la Bullock e Chaplin.

Bullock does a good job here of working against her natural likability, creating a character you'd like to like, and could like, if she weren't so sad, strange and turned in upon herself. She throws herself into police work not so much because she's dedicated as because she needs the distraction, needs to keep busy and be good to assure herself of her worth. As she draws the net closer, and runs into more danger and more official opposition, the movie more or less helplessly starts thinking to itself about that cliff above the sea, but at least the climax shows us that Bullock can stay in character no matter what.

lunedì 30 marzo 2020

Archimède, le clochard - Gilles Grangier

un divertente film con protagonista uno strepitoso Jean Gabin, è un barbone (clochard, dicono i francesi) e tira avanti senza far del male a nessuno.
gli piace il vino e chiacchierare, vorrebbe passare l'inverno al caldo, in prigione, ma la giustizia è troppo buona.
conosce un po' di gente, ha una casa (in realtà una cameretta in un palazzo in costruzione, che dovrà purtroppo essere costruito, e si riparte.
Jean Gabin è un attore di serie A, in un piccolo film fatto solo per lui, è presente praticamente in ogni scena.
nessuno resterà deluso - Ismaele





French film "Archimède Le Clochard" is a comical tale of unendurable hardships experienced by homeless people in Paris. It is quite natural to think that any film dealing with the sad plight of homeless people would maintain a serious tone. However, this is not the case with this film as director Gilles Grangier and his screen writing associates Albert Valentin and Michel Audiard have included numerous comical situations in the film which point to the conclusion that not all tramps (clochards) are bad as they are portrayed by media and society as a whole. The most perfect example to illustrate this point is the case of our eponymous hero 'Archimède' , a tramp who cannot be called an ordinary 'clochard'. He is a stylish 'clochard' who knows perfectly well what does he expect from life and how can he get it ? The perennial superstar of French cinema monsieur Jean Gabin is the perfect reason for experiencing how a 'clochard' can be equally at ease in expressing his anger, drinking champagne with other persons of his clan or being chivalrous with graceful women. An intelligent viewer would feel regaled just by watching the manner in which he dances and quotes lines from Apollinaire. It is rather unfortunate that Truffaut ranted against Gilles Grangier and his films but "Archimède Le Clochard" would continue to inspire many viewers as it takes them closer to the sufferings experienced by homeless people in France.

domenica 29 marzo 2020

Franklyn - Gerald McMorrow

un film composto da quattro storie che hanno degli (sconosciuti) legami tra di loro.
le storie sono ambientati in tempi diversi, tutti riconducibili all'oggi, con personaggi che hanno dei problemi con se stessi e col mondo, ma che cercano dei modi per affrontare i problemi, senza nascondersi e rischiando molto.
non saperne troppo prima, entra nel film, è un diamante grezzo, di sicuro non te ne pentirai - Ismaele
     



Diciamolo meglio: non è un film che tutti sono disposti a comprendere. Questo soprattutto per una pubblicità e un trailer sbagliati. Ciò che è stato esaltato della pellicola è la sua ambientazione quasi da cyberpunk, alla Matrix, per intenderci, con un mondo popolato da strani personaggi e un tipo in maschera che va alla ricerca di un killer. E devo confessare di essere rimasto piacevolmente colpito dal film dopo averlo visto e orrendamente disgustato dall’operazione di promozione che ne hanno fatto.  
In realtà è la storia di quattro persone. Un padre alla ricerca del figlio scomparso, ossessionato dalla figura di Dio; il figlio del vecchio bigotto, che è impazzito dopo essere tornato dalla guerra in Iraq ed aver assistito alla scomparsa della sorellina piccola (per cui comincia a prefigurarsi un delirante e grottesco mondo, dove tutti gli abitanti della “Città di Mezzo” devono seguire una religione); una giovane artista che usa la morte come massimo mezzo di espressione artistica e un ragazzo alla ricerca di un amore ideale... 

…. McMorrow ha una padronanza impressionante del mezzo cinema ed ha evidentemente ambizioni artistiche notevoli.
Se imparerà anche ad amare i suoi personaggi e a non usarli solo come pedine per mettere in luce la sua indubbia capacità nel costruire arzigogolate trame narrative, non correrà il rischio di diventare una sorta di versione emo di Inarritu (il mondo non potrebbe sopportarne un secondo).
Franklyn è tanto bello e appagante da vedere, quanto algido, ma la visione può valere la pena soprattutto se per una sera, come antidoto alla sciatteria che ormai invade le sale, vi accontentate di respirare un perfezionismo promettente e sempre più raro. E’ un gioco di specchi troppo narciso per appassionare e che lascia in superficie le sue stesse tematiche, tipiche del filone della distopia fantascientifica, ma non mi stupirei se per qualcuno diventasse un cult.

Franklyn è un film religioso, un elogio della fede, cioè del credere nell’esistenza di un’entità superiore (Dio, il destino o comunque si voglia chiamarla) i cui disegni non ci è dato comprendere né giudicare, ma che possono prevedere degli esiti per noi positivi pur facendoci passare attraverso il necessario scatenarsi di eventi negativi. O almeno, questo è ciò che il film sembra dirci all’apparenza. In ogni caso, per svolgere il suo discorso filosofico-religioso, Franklyn si serve del tema del disagio mentale, che caratterizza almeno tre dei suoi quattro personaggi principali, le cui vicende, inizialmente parallele, finiranno per entrare drammaticamente in contatto.
La pellicola appare divisa spazialmente tra una Città di Mezzo non ben collocata cronologicamente, buia e caratterizzata da una grottesca iconografia gotico-steampunk, e la Londra contemporanea, in cui predominano i valori cromatici chiari…

Quando uscì nei cinema italiani, tutti pensarono che Franklyn fosse l'ennesimo film sui supereroi. Il trailer non faceva intendere altrimenti, la locandine idem, quindi per lo più il film fu snobbato e scartato a priori. E qui apro una parentesi per chi considera normale giudicare un film dal trailer: il trailer quasi sempre non è un sunto né una presentazione (come lascerebbe supporre il termine) quanto, piuttosto, uno specchietto per le allodole montato ad arte con il puro scopo di incuriosire. Può essere indicativo ma non è mai esplicativo. 
Ecco, Franklyn è incredibilmente lontano da quanto tanta pubblicità aveva lasciato intendere e questo, al momento del lancio, scoraggiò alcuni e deluse molti, spingendo il pubblico a decretare il fallimento di un film che brutto non è…

Padri, figli, padri, figli, probabilmente il film ha un forte ascendente psicanalitico difficile da cogliere. Rimane un Thriller fantascientifico (e psicologico al contempo) molto lento da seguire e molto difficile da capire, insomma, quelli che piacciono a me. Va visto assolutamente una seconda volta e quella sancirà l'odio finale per non averlo capito appieno, o l'amore assoluto per un film che ha tutto, fuorchè l'esser banale.

…Ma, al di là della suggestiva manipolazione cinematografica degli spazi, è la ricercatezza dello sguardo di McMorrow a mettere al riparo Franklyn dall’accusa di sterile derivatività: anziché sacrificare la cura del dettaglio figurativo alla scorrevolezza del racconto, l’esordiente cineasta britannico si sofferma sui particolari visivi, dilatando sì i tempi narrativi ma concentrando d’altro canto in ogni inquadratura indizi sottilmente rivelatori (l’indirizzo Duplex Ride scritto da Esser sulla foto del figlio, lo sguardo rivolto a Milo dall’insegnante nel cortile della scuola), analogie sceniche (il colloquio tra Esser a Tarrant che ha la medesima impostazione di quello avvenuto precedentemente tra Preest e lo stesso Tarrant) e citazioni pittoriche (la caravaggesca Morte della Vergine, riprodotta in due tableaux vivants e la vermeeriana Ragazza col turbante, sveltamente evocata dalla visione di Sarah, la sorellina undicenne di David). Un film che, pur non potendo vantare una forte originalità narrativa e un’implacabile progressione drammatica, si sorregge saldamente su uno sguardo tutt’altro che sciatto e pedestre. Commento musicale di controproducente pervasività.

venerdì 27 marzo 2020

Insignificance (La signora in bianco) – Nicolas Roeg

Albert Einstein, Marilyn Monroe, Joe di Maggio e il senatore Mc Carthy (quello del maccartismo, naturalmente) stanno tutti insieme in un film che è un po' folle, apparentemente, e forse anche dopo.
Albert e Marilyn passano una notte insieme, si conoscono, si vogliono bene, Marilyn è sofferente per essere una donna oggetto, e c'è anche una bellissima spiegazione della teoria della relatività.
Nicolas Roeg è bravissimo, e si vede.
non male, come diversi momenti altissimi, merita la visione - Ismaele


 

 

 

 

…Valiéndose de bellas metáforas vinculadas a la presencia de Mujer y Niño en la Orilla del Mar, pintura de 1921 de Pablo Picasso que corona la cama del cuarto donde transcurre la acción y que se emparda a los sueños deshechos de maternidad de Marilyn y Joe, y la proliferación de relojes a lo largo de la historia con las 8:15 horas como instante preciso del Apocalipsis tanto público como privado, Insignificancia funciona como una lectura maravillosa acerca de -por un lado- la sincronicidad más absurda de todas las etapas de nuestra existencia y -por el otro- el hecho de que los estadistas, investigadores y figuras populares arrastran una trivialidad y un maquiavelismo más que importantes que nunca pueden esconder del todo ya que ese sustrato mundano y bien frágil siempre amenaza con salir sin que importen las jerarquías o máscaras utilizadas: mientras que el Profesor no reconoce a la Actriz ni al Jugador de Béisbol porque cada uno vive en su burbuja y/ o en la idolatría facilista que fabrica tótems para todos los rubros, el único verdadero monstruo social del relato, el Senador, se retroalimenta del oscurantismo general y ejerce los últimos coletazos de una supremacía concedida por el propio pueblo norteamericano, ese que eligió al Roosevelt que fomentó el Proyecto Manhattan y al Harry S. Truman que lanzó las cargas explosivas sobre Hiroshima y Nagasaki, indudablemente uno de los mayores crímenes de lesa humanidad de la historia.

da qui

 

Now comes a film in which almost all the audacity is contained by the premise - that these four most famous figures of the 1950s met during one long night. Grant Roeg that much, and he gives us a fairly realistic film most of the rest of the way. The characters are never actually given their real names in the film, but there seems to be little doubt who they're meant to be, especially when Einstein and Monroe work out the theory of relativity together, using a flashlight, a few simple props and some almost perfect dialogue…

… I am not quite sure, however, what the point of the movie is. It's more of an acting and writing tour de force than a statement on sports, politics, sex symbols or relativity. It begins by imagining its remarkable meetings, and ends by having created them. It's all process, no outcome. I think in this case that's OK.

da qui

 

La signora in bianco è un film postmoderno, non tanto per la sua vicinanza al Storia del Cinema – il film inizia sul set de Quando la moglie è in vacanza. Piuttosto, l’approccio di Roeg (e dell’autore del testo teatrale Terry Johnson) sembra rifarsi alla romanzo postmoderno. Il miscuglio quasi stridente di cultura pop, le numerose digressioni incentrate su questioni specifiche in materia scientifica, non possono che richiamare l’universo postmodernista e apocalittico di Thomas Pynchon. Ascoltare Marilyn e Enstein che discutono della forma dell’universo alle tre del mattino in un’anonima camera d’hotel potrebbe benissimo essere frutto di un paradosso pynchoniano, uscito dalle pagine dell’Incanto del lotto 49 o dell’Arcobaleno della gravità. Persiste la teoria del complotto, diluita al limite dell’inconsistenza, attraverso le pressioni del senatore McCarthey (kubrickianamente ossessionato tanto dal comunismo quanto dall’impotenza sessuale) nei confronti di Einstein. È assolutamente inconsistente (ancora, l’insignificanza), la storia stessa che (non) racconta La signora in bianco: tutte spinte narrative che si spengono velocemente. Flashback e flashfoward (quasi delle premonizioni apocalittiche) che si risolvono in un nulla di fatto.
Anticipando il Don De Lillo di 
Underworld, Roeg realizza un’opera sull’immaginario americano. Un carosello di volti, di copie e di superfici, liquido e impermeabile, che nelle sue continue allusioni non sembra portare da nessuna parte. Oppure forse, dove conduce, è totalmente irrilevante. O, per meglio dire, insignificante.

da qui

 

Lui tutto arruffato con la sua testa di capelli grigi ed incolti, lei vestita di un sexy abito di raso bianco con gomma molto aperta e soggetta a risultare molto sensibile agli sbalzi di corrente.
I riferimento ad Einstein, Marilyn e Joe Di Maggio sono sin troppo evidenti, plateali, ma entusiasmanti ed il film, geniale e machiavellico nella sua folle e compulsiva smania di intersecare mondi e personaggi che più lontani non si potrebbero, risulta davvero bizzarro ma accattivante.

da qui

 

 

giovedì 26 marzo 2020

Cible émouvante - Pierre Salvadori

Jean Rochefort da solo vale sempre qualsiasi visione. 
qui è un killer davvero affidabile, ma l'ultimo omicidio proprio non riesce a farlo.
Marie Trintignant è una ladra gentildonna, simpatica e bravissima.
un film da non perdere.
si astengano i non amanti del cinema francese (se esistono) - Ismaele




Jean Rochefort est un des plus grands comédiens de la planète. Qu'on ne se le dise pas est pour moi une aberration. Il crève l'écran : ses airs ahuris, mal à l'aise, son angoisse existentielle devant ces sentiments qu'il éprouve pour la première fois de sa vie est jouée à la perfection…

Un de mes films français préférés, et pourtant je ne l'ai vu qu'une seule fois.
J'aimais déjà Jean Rochefort d'amour vrai, parce qu'il a bercé mon enfance quand il était le narrateur de Winnie l'Ourson, parce que personne ne m'a fait aimer l'équitation comme lui quand il la commente, et parce qu'il a une voix merveilleuse, et qu'il a la classe et le talent. Il est formidable, Jean.
J'ai découvert Guillaume Depardieu avec ce film, et j'ai apprécié sa timidité, son manque d'assurance, qui font de ce rôle d'apprenti-tueur un rôle de semi-composition. J'ai cru à cet acteur même si lui n'y croyait pas et que sa carrière sera constituée de pas mal d'échecs, dommage, un talent gâché.
J'ai découvert Marie Trintignant avec ce film et j'avoue ne pas l'avoir vue dans beaucoup d'autres long-métrages, pourtant à l'annonce de sa mort j'ai été triste, triste parce que l'actrice que j'ai pu apercevoir dans ce film m'avait touché, ému, bouleversé, et je regrettais de ne pas l'avoir vue dans d'autres films de cette qualité.
J'ai adoré cette histoire de vieux tueur désabusé, qui tombe amoureux de sa cible et décide de former son successeur.
Finalement, je n'aurais jamais imaginé que de ces trois-là Rochefort serait le dernier survivant, alors j'ai peur pour lui maintenant.

…A tout seigneur tout honneur, Jean Rochefort fait profit de son physique de gentleman pour interpréter à merveille un tueur à gages vieillissant et écrasé par une mère tout aussi indigne que son rejeton, qui voit le socle de ses certitudes se dérober sous lui depuis qu'il a rencontré Antoine et la fantasque Renée. Marie Trintignant comme à chaque fois que je la vois me fait regretter sa disparition prématurée et me fait perdre ma capacité à pardonner son assassin. C'était un diamant brut que chaque réalisateur pouvait transformer en joyau parfait. Pierre salvadori n'y manque pas. Marie Trintignant fait des étincelles et nous éblouit de tout son talent en voleuse compulsive et toute de charme. Enfin Guillaume Depardieu lui aussi mort prématurément en apprenti tueur à gage un peu naïf est d'une belle justesse.
La musique tango de Philippe Eidel avec son rythme chaloupé donne bien de l'allure à cette superbe comédie.

mercoledì 25 marzo 2020

Cinema per tutti


Sapessi come è strano (e piacevole) il cinema al tempo del virus – Michele Emmer

Domenica 22 sono andato al cinema. Sì, sono andato in sala insieme ad alcune migliaia di persone. E c’ero stato anche i tre giorni precedenti. Anzi la domenica 22 di film ne ho visti due. Naturalmente ho prenotato prima i posti, odio stare vicino alle altre persone per vedere un film che mi interessa. Preferisco stare in fondo e laterale e quindi sono contento di poter scegliere perché quando si va a fare il biglietto alla cassa del cinema il computer (che pure se ne intende di virus) raggruppa tutti al centro nelle file centrali perché secondo il software inventato da qualcuno che non ama il cinema, quelli sono i posti migliori, magari con il vicino che mangia il popcorn, che oltre a puzzare fa un rumore bestiale. Dovrebbero fare le sale per quelli che mangiano e per quelli che non mangiano.
Dunque ho prenotato il postoanzi due, non mi piace andare al cinema da solo. E con M. abbiamo gli stessi gusti (decido io). Sono andato al cinema per la prima volta qualche giorno prima a rivedere Ralf Fiennes in The Costant Gardener, poi il giorno successivo ho rivisto Sean Penn in Milk. Domenica abbiamo visto La tortue rouge (La Tartaruga rossa) il pomeriggio e Masquerade alla sera. Il primo film d’animazione, rigorosamente in 2D, con disegni, del regista olandese (ma francese nello spirito cinematografico) Michael Dudok de Wit che ha faticato molto a farsi produrre e distribuire il film, non solo in 2D ma senza una parola. L’ha poi prodotto la casa cinematografica di quel grande virtuoso dell’animazione 2D Miyazaki(con sconfinamenti in computer animation). Era la terza volta che lo vedevo. Candidato all’Oscar per il miglior film d’animazione del 2017, gli è stato preferito per mancanza di coraggio e fantasia un filmone Disney. Vi ricordate chi l’ha vinto? Io no e non guardo Wikipedia. Masquerade bel filmone romantico, senza duelli con spadoni e salti acrobatici (meno male), film Sud Coreano del 2012 di Choo Chang-min.
Per ogni film sono dovuto andare al sito per prenotare un posto, anzi due. Sito rodato che funziona molto bene da tanto tempo. Ho scelto il film (tutta la programmazione sino a gli inizi di aprile è già in rete e non ci sono problemi di posti, un solo film era sold out, per una prima nazionale, non si rischia quello che succede volendo fare la spesa in rete!). Ho ricevuto subito i miei due posti ma sono rimasto seccato perché nella pianta della sala (anzi delle sale, sono più di una) non erano vicini. Il prezzo era molto conveniente come per tutti gli altri film: assolutamente gratis! Già, è chiaro che non sono uscito, ma ho fatto quello che faccio da anni. Prenoto il film nel sito di mymovies.it/cinema/roma. E dopo aver prenotato i posti sono stato invitato ad entrare in sala qualche minuti prima della proiezione per scambiare qualche parola con amici o altri spettatori. La proiezione inizia all’ora precisa, non c’è alcuna pubblicità né interruzione. E siamo in migliaia a guardare il film. E alla fine della proiezione si scambiano commenti sul film, troppi commenti perché troppi sono gli spettatori. Ma non c’è problema, siamo vicini ma siamo ognuno a casa sua. E mi sono reso conto che quando ho prenotato due biglietti la prima volta avevo fatto una cosa ridicola, ognuno vede il film sul suo computer! Ma sembra di essere, la sensazione è quella di essere in una grande sala con Il pubblico e siamo insieme. Non mi interessano commenti su queste parole vagamente sentimentali . Abbiamo ogni sera (tranne quelle in cui andiamo a ballare) appuntamento con tanti altri per vedere e commentare alla fine un film.
Una iniziativa geniale di mymovies.it/iorestoacasa. Sono molto seccato perché ieri sera, 23 marzo, c’erano due film e quello che abbiamo scelto noi era in sala 2 più piccola. Peccato.
PS: è morta Lucia Bosé che avevo conosciuto da piccolo quando girava con mio padre. Solito commento dei cosiddetti critici: A questi film più autoriali seguono le commedie rosa di Luciano Emmer (Parigi è sempre Parigi, Le ragazze di piazza di Spagna)



Il patrimonio cinematografico Aamod al servizio della scuola - Letizia Cortini
Da tempo l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico ha messo a disposizione gratuitamente migliaia di film sul proprio canale YouTube, consultabili anche, corredati di schede con le descrizioni integrali, sul sito specifico. L’Aamod propone alcuni percorsi, sulla storia del Novecento in particolare, attraverso i film documentari del ricco e unico patrimonio che custodisce.
I film, organizzati per grandi temi relativi alla storia del Novecento, potrebbero essere  utilizzati con maggiore efficacia in questo periodo in cui è necessario ricorrere alle risorse e alle lezioni sul web nelle scuole e nelle università.

Per gli insegnanti che vorranno usufruire di queste fonti, si rinvia alla lettura di una guida di base, L’uso delle fonti audiovisive per lo studio della storia (Cortini, Medici, 2016),  per la comprensione della specificità del linguaggio filmico, documentario, delle sue forme ed evoluzioni storico-produttive, nonché dei loro contesti di realizzazione. Il contributo potrà fornire indicazioni metodologiche utili per impostare una lezione di storia, a partire da un film che racconta la storia. 
Inoltre segnaliamo il più recente contributo Un approccio metodologico alla fonte audiovisiva per il suo uso didattico, su questo sito.

Per quanto riguarda il patrimonio filmico dell’aamod va tenuto presente che si tratta  di documenti di militanza nella rappresentazione “del reale”; l’archivio si costituisce infatti nel 1979 ereditando il patrimonio cinematografico dell’allora Partito comunista italiano. Nel tempo, ha acquisito molta documentazione cinematografica proveniente non solo dall’Italia, ma da tutto il mondo. Si tratta di un cinema documentario di inchiesta, denuncia, testimonianza delle lotte politiche sociali culturali, di liberazione, avvenute anche in altri paesi; inoltre di rappresentazioni della cultura e del costume, dei movimenti collettivi in Italia e in altri stati.

Lo sguardo è quello in parte della propaganda, della militanza, ma anche della partecipazione forte, convinta, etica, oltre politica, allo svolgersi della storia per rappresentare i fenomeni di protesta, di lotta per i diritti umani, sociali, politici, del lavoro, sindacali, per le loro conquiste.

Nell’uso di queste fonti va dunque tenuto presente il contesto di produzione,  di distribuzione, ma anche il fatto di essere fonti produttrici di immaginari diversi in periodi storici e sociali differenti (come ha ben evidenziato la regista Costanza Quatriglio in questa sua lezione all’Aamod nel 2016). Naturalmente nell’uso di queste fonti si parte dal punto di vista sia di chi li abbia “commissionati” (il partito, il sindacato, un collettivo, un ente, un’associazione…), sia delle persone che li hanno realizzati, militanti nel caso dei film dell’Aamod, al tempo stesso autori di cinema, alcuni anche molto noti (Lizzani, Scola, Birri, Giannarelli, Montaldo, Taviani…).
Altra avvertenza è quella di tener sempre presente che qualsiasi film è fonte per lo studio della storia, fonte che racconta la storia, agente di storia, considerando che ogni film restituisce innanzitutto la storia del suo presente, anche quando l’argomento è riferito al passato, e nel corso del tempo produce, come già evidenziato, immaginari sempre nuovi e diversi, a seconda del periodo e della società in cui è fruito.

Ecco dunque alcune playlist tematiche di film del patrimonio Aamod, in costante incremento
***
In questi giorni stiamo pubblicando sulla nostra pagina Facebook un film alla volta con una proposta di approccio metodologico per il suo uso didattico. Seguiteci!


lunedì 23 marzo 2020

Bait - Mark Jenkin

ci sono tante cose in questo film, in un bianco e nero antico e pieno di futuro.
un villaggio di pescatori viene sempre più abitato nelle vacanze da ricconi, che mettono ai margini gli abitanti del luogo.
è la gentrificazione, modello economico antico, che cambia pelle, si tratta dell'esproprio e del furto da parte dei potenti contro i più deboli.
il film è davvero potente, una piccola storia ignobile che diventa una storia di resistenza, nelle mani di un regista con occhi e tecnica ottimi, e con una sceneggiatura sempre viva.
cercatelo e godetene tutti - Ismaele





…«Fishes live in the sea, as men do a-land; the great ones eat up the little ones», scriveva Shakespeare molti secoli fa, in una legge che pare ancora vigere oggi nella terra d’Albione, sulle sue rive scoscese. E Bait è esattamente questo, un turbine ciclico di primi piani strettissimi e campi infiniti, un montaggio estremo e di attrazioni vorticose, un rutilare di libere associazioni, figlie dell’avanguardia che fu e nuove rappresentanti delle tensioni sociali dell’oggi. Il rituale della pesca, filmato copiosamente in ogni dettaglio, riflette quasi la forma del documentario etnografico o d’inchiesta, quasi come fosse il necessario (e forse unico possibile) punto di partenza per tornare a far film in maniera politica nell’Inghilterra post-industriale, ora nelle briglie ancora sconosciute della Brexit e nelle sue derive incontrollabili. Jenkin guarda a Kuleshov più che a Ejzenstejn, cerca una primitività dello specifico filmico donandoci immagini graffiate e scintillanti, che tremolano costantemente attraverso la luce e che finiscono dissolte nelle tenebre. Per un’opera assai (e dichiaratamente) derivativa, che però trova il suo essere in un’impossibile classificazione (soprattutto attuale), cruda e straniante anche nell’uso del suono forzato ed extra-diegetico, anch’esso pienamente espressionista. Bait è un film che respira lo stesso disorientamento che vivono i suoi protagonisti, aggrappati costantemente a un filo in attesa del disastro, del naufragio (metaforico) in cui è incapsulato questo dramma narrativamente classico e minimale. Anche l’emotività così è stilizzata e sospesa, quella di chi vive il dramma come quella di coloro che lo guardano smarriti, come davanti a un oggetto misterioso ed estremamente affascinante, difficile da decifrare. Un’odissea il low-fi che lascia interdetti e attoniti, un’estetizzazione anti-spettacolare tra le più radicali degli ultimi tempi, filmando la realtà per costruirne un’altra apparente in cui lo spazio-tempo è deformato e piegato ai nostri deliri come alle nostre ossessioni. Un piccolo gioiello che, in poco più di un’ora, ci riporta indietro ad un’altra società (come a un altro cinema). A noi volerci accedere.

Da dove cominciare a elogiare Mark Jenkin per Bait? In qualità di sceneggiatore, ha intrecciato insieme un’illuminante racconto sulla Gran Bretagna contemporanea che si svolge subito dopo il referendum per la Brexit a Charlestown e Penzance, ruotando attorno alla fiorente industria della pesca, alla gentrificazione e alle divisioni di classe. In qualità di regista, Jenkin ha un’incredibile maestria del linguaggio filmico e osa nell’uso della recitazione iperrealistica per stabilire e ottenere un tono comico. Quale direttore della fotografia, ha creato sequenze squisite in bianco e nero utilizzando una Bolex 16 mm a carica manuale degli anni ‘70 del secolo scorso e ha elaborato manualmente la pellicola Kodak utilizzando il caffè, tra gli altri materiali naturali, per produrre un aspetto che fosse come la caffeina per la cornea. L’editing è ottenuto dallo stesso tessuto di Sergei Eisenstein, utilizzando il montaggio per costruire un mondo ricco, produrre tensione e giustapporre i diversi stili di vita conflittuali, creando un mosaico di personaggi sfacciati. E inoltre ha gestito la musica, realizzando un quadro con un paesaggio sonoro impressionante, dove una borsa per terra può suonare come un terremoto e il vento ululante è come il crescendo di un’orchestra…

Cornish film-maker Mark Jenkin’s breakthrough feature is a thrillingly adventurous labour of love – a richly textured, rough-hewn gem in which form and content are perfectly combined. A refreshingly authentic tale of tensions between locals and tourists in a once-thriving fishing village, it’s an evocative portrait of familiar culture clashes in an area where traditional trades and lifestyles are under threat. Shot with clockwork cameras on grainy 16mm stock, which Jenkin hand-processed in his studio in Newlyn, Bait is both an impassioned paean to Cornwall’s proud past, and a bracingly tragicomic portrait of its troubled present and possible future. It’s a genuine modern masterpiece, which establishes Jenkin as one of the most arresting and intriguing British film-makers of his generation…




sabato 21 marzo 2020

The Whisperers - Bryan Forbes

la signora Ross (Edith Evans) vive sola, aiutata dai servizi sociali.
è una solitudine pesante la sua, parla con qualcuno che non c'è, riceve la visita, dopo molto tempo, di un figlio che ha bisogno in un nascondiglio per i suoi soldi (sporchi?), fa credere di essere una donna importante, viene a casa il marito, dopo anni (è un sogno?), litiga con la vicina, che la minaccia, insomma non è una bella vita.
il film, in bianco e nero, è ambientato nella periferia di Manchester, dove i btutti sporchi e cattivi abbondano.
se vuoi ridere, questo non è un film per te, ma se vuoi conoscere una grande attrice il film (un gioiellino sconosciuto ai più) ti aspetta.
buona visione - Ismaele








La réussite de “The Whisperers” doit beaucoup à l’incroyable prestation d’Edith Evans, impressionnante et touchante dans le rôle de cette vieille femme qui se créé un monde rien qu’à elle pour échapper à une dure réalité. Sa prestation lui a d’ailleurs valu un Bafta, un golden globe, un ours d’argent à Berlin, et sa troisième nomination aux Oscars (pour la première fois pour un rôle principal).
La banlieue de Manchester des années 60, vérolée de terrains vagues est un cadre parfait pour ce drame. La très belle photo de Gerry Turpin et la superbe musique de John Barry font le reste. “The Whisperers” dégage une véritable ambiance.

…For years we have been brainwashed into expecting "significance" and "a story" every time we go to the movies. Only occasionally does a director reject conventional plots and melodramatic adventures in order to give us all of the depth of common human life. Satyajit Ray's splendid "The Big City," which closed at the Hyde Park after only a week's run, was such a film. "The Whisperers" could have been another.
Still, it is well worth seeing exactly as it is because of the superb performance by Dame Edith. She is a beautiful woman and a great actress. Eric Portman plays her husband, reunited with her after a long separation, and brings a delicate mixture of pride, anger and diffidence to their marriage relationship.
I wish Forbes had been content simply to work out the conflicts between those two people and the daily threats of poverty and old age. Instead, he inserted some cops and robbers. They serve the purpose of bringing the old lady briefly into the outside world. But at the end of the film, abandoned once again by her husband, she is still peeking into corners and whispering, "Are you there?" And those private fears are really what the film is about.

What distinguishes The Whisperers from many archetypal cinematic representations of ageing is the utter refusal of an emotional outlet for the character’s central predicament and consequently, for the audience. The story features no companionship as in Harold and Maude (Hal Ashby, 1971) and The Sunshine Boys (Herbert Ross, 1975); no heroism such as in Ikuru (Akira Kurosawa, 1952) or Gran Torino (Clint Eastwood, 2008); and no discernible emotional or physical journey such as in Wild Strawberries (Ingmar Bergman, 1957) or The Straight Story (David Lynch, 1999). Even in a punishingly melancholy film like Amour (Michael Haneke, 2012) which depicts two birds in a cage growing old, while outside the cage is a wasteland, at least the birds have each other. In The Whisperers, when the government blackmails Mrs Ross’s husband into moving back in with her, he accepts purely on financial grounds, using her meagre funds to sleep with prostitutes. Their marital interaction, beyond one or two banalities about money, is completely void. On one occasion he climbs into bed with her, saying, icily: “are you awake?….never mind, you’ve got nothing I want”…

giovedì 19 marzo 2020

La habitación del niño - Álex de la Iglesia

una casa stregato, una coppia con un bambino, e un fantasma.
non c'è niente da ridere.
e trovare il bandolo della matassa non è facile.
ma Álex de la Iglesia ci riesce, per nostra fortuna.
buona visione - Ismaele

mercoledì 18 marzo 2020

Chere inconnue - Moshe Mizrahi

film poco conosciuto, con un trio di attori di serie A.
i due fratelli convivono da sempre, lei gli fa da mamma e badante, in una villa isolata di fronte al mare bretone. 
i cari sconosciuti sono quelli che si scrivono lettere d'amicizia e di sostegno e di affetto, ma non sappiate di più, cercate il film e poi giudicherete voi, per me un piccolo grande film da non perdere - Ismaele




Louise, dévouée à son frère paraplégique, souffre cependant de sa solitude affective. Elle passe une petite annonce dans un journal local, mais c'est son frère qui, sans le savoir, lui répond.
Simone Signoret est formidable et les autres acteurs aussi.
EXCELLENT !!!

Chère inconnue est un film plutôt singulier. L'action est presque uniquement centrée au sein d'une maison qui a presque les pieds dans l'eau. Pourtant on ressent un profond enfermement plutôt qu'une ouverture vers la nature. Les 2 occupants, frère (handicapé) et sœur, y vivent d'ailleurs un peu reclus. Un peu déprimés tous les 2, vieux garçon et vieille fille, ils n'aspirent qu'à trouver l'amour et à partir. Par un hasard, ils vont tous les 2 échanger une correspondance amoureuse. L'un manipulant l'autre, mais c'est ce second qui va s'en tirer le mieux. On retrouve une Signoret égale à elle même, sans surprise presque et un Rochefort, plein de fougue et de verve malgré son handicap. Le film est un peu lent, mais finalement ça va, une fois que l'intrigue s'est mise en place.
da qui

Comme je ne connaissais pas du tout ce film, ni entendu parler, j'avoue que j'ai été surpris de voir autant d'émotions, dans le genre des sentiments rentrés, d'un homme qui croit ne pas pouvoir tomber amoureux à cause de son handicap et d'une femme qui tend à maintenir l'illusion de l'amour pour que son frère puisse s'enflammer, et par la même occasion de se dévoiler elle aussi dans ces lettres.
Les deux acteurs principaux, Jean Rochefort et Simone Signoret, sont magnifiques, jamais dans l'outrance ou le cabotinage, et gardent ces réflexes de vieux (garçon et fille), et découvrent en quelque sorte l'amour dans ces conversations à sens unique. Nul inceste là-dessous, mais le maintien d'une flamme passionnelle, de l'ardent désir…