sabato 30 settembre 2023

La donna esplosiva – John Hughes

lo stesso anno di Breakfast club John Hughes dirige La donna esplosiva, un'accoppiata che da sola basta per diventare indimenticabile.

certo, La donna esplosiva non è un capolavoro come Breakfast club, ma ha la stessa dose di follia e tenerezza.

un film da vedere, senz'altro.

buona (esplosiva) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, in italiano

 

 

…Ecco, probabilmente La donna esplosiva, pur tenendo conto degli inevitabili freni morali imposti dalla grande produzione cinematografica, è tra le opere di Hughes, regista e sceneggiatore specializzatosi in teen-movies, quella che meglio ne rappresenta l’indole camaleontica e la sua propensione a divertire lo spettatore col ricorso ad una comicità che preme simpaticamente l’acceleratore sul tema sessuale in un’ottica tutta adolescenziale, affrontando le delicate questioni del passaggio verso la maturità e la piena consapevolezza di sé, delle urgenze e dei primi approcci fisici con l’altro sesso. Probabilmente, insieme al precedente Breakfast Club, rappresenta il suo lavoro cinematografico più ispirato.

Il film, la cui sceneggiatura fu realizzata dallo stesso Hughes insieme ai due autori di fumetti Al Feldstein e William M. Gaines, prende ironicamente spunto dal filone degli science film la cui trama era legata alle prime esperienze di hacking computing: titoli usciti soli pochi anni prima quali Tron, Electric Dreams e Wargames che tematizzavano il nuovo mito dei giovani geek esperti di computer e capaci di comprendere le profonde logiche binarie dei sistemi informatici, magari fino ad introdurvisi fantasiosamente all’interno, o che in alcuni casi asservivano quei sistemi a strumento di potere e addirittura di intermediazione con l’altro sesso.

Secondo la definizione dello stesso Hughes “Un geek è un ragazzo che ha tutto quello che gli serve, ma è semplicemente troppo giovane. Al contrario, un nerd sarà un nerd per tutta la vita”. In questo caso i geek sono il finto-spaccone Gary (Anthony Michael Hall) ed il timido Wyatt (Ilan Mitchell-Smith), incapaci di concretizzare la prima sveltina della propria vita ed oggetto di stupidi ed umilianti scherzi da parte di un paio di odiosi coetanei oltre che di continue vessazioni, fisiche e monetarie, di Chet (Bill Paxton), fratello di Wyatt…

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Gli anni 80 hanno sfornato film e canzoni indimenticabili. ...forse all'epoca erano ritenuti squallidi, ma poi, fortunatamente, sono stati rivalutati! Questo film è il più spassoso che abbia mai visto, ed è anche pieno di ritmo perchè ricco di susseguirsi di avvenimenti strani, ma piacevoli. E' fatto per trascorrere una serata in piena allegria.

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Cult assoluto. Teen-movie ottantiano contaminato dalla sci-fi, entrato nell'immaginario di quasi tutti coloro i quali erano ragazzini durante gli Anni Novanta. Rivisto oggi rimane un film piuttosto divertente, leggero e ricco di situazioni assurdamente geniali. Fantastica l'interfaccia del pc di uno dei protagonisti, un pezzo di modernariato tipicamente Anni Novanta. Gustosissimo il cammeo, tra i motociclisti "demoniaci", del grandissimo Michael Berryman. Kelly LeBrock, poi, ha indubbiamente turbato il sonno di tanti adolescenti alle prese coi primi pruriti.

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venerdì 29 settembre 2023

Soleil Ô - Med Hondo

il film è del 1967, ma potrebbe essere l'Europa di oggi, che non si è evoluta, è solo peggiorata.

prima fanno loro il lavaggio del cervello, sono tutti figli dei Galli, la religione è quella della croce, che rovesciata è anche la spada.

come Borrell oggi, gli si dice che non hanno cultura,  che l'Europa è un paradiso, che non valgono niente, mentre i colonialisti rubano tutte le risorse economiche.

e loro ci vanno, in Europa, fidandosi dei colonizzatori, a cui serviva carne da cannone negli eserciti francesi del novecento, e poi manodopera sotto qualificata, e sotto pagata, quasi schiavi, felici di esserlo, braccia, ma non persone.

un film che sembra girato oggi, pieno di amara ironia, saturo del razzismo dei poveracci contro gli ultimi arrivati, che usano le terribili parole dei governanti d'oggi, il tempo si è cristallizzato, l'invasione africana, il furto dei posti di lavoro, la negritudine, ecco qualche colpa di questi africani, le parole d'ordine sono quelle, è un film che disvela i meccanismi di dominio imperiale, culturali ed economici.

il film termina con la speranza e la disperazione degli eroi antirazzisti, anticolonialisti, rivoluzionari, già ammazzati come Lumumba, e con i giorni contati come Che Guevara.

un film da non perdere, se vi volete bene. 

buona (ringraziando Scorsese) visione - Ismaele

 


QUI il film completo, con sottotitoli in italiano, su Raiplay

 

 

 

“Soleil Ô” intona l’urlo di resistenza, un attacco al capitalismo occidentale e alle radici del colonialismo. Il debutto del mauritano Med Hondo figura un exploit doloroso, stilisticamente detonante, intriso di rabbia e grottesca ironia; racconta le paturnie burrascose di un immigrato (Robert Liensol) che abbandona il continente d’origine espatriando in Francia alla cerca di arricchimento culturale e benessere; scopre presto una nazione ostile ove la stessa esistenza suscita paura e amarezza. Lo svolgimento della vicenda indice i segni di una civiltà universale incarnata nella metropoli e la consapevolezza inquietante di una tensione irriducibile; è difficile trovare un’occupazione, i sogni si rovesciano in delusione. Lo straniero vive l'esilio come un susseguirsi di incontri: una conversazione con il titolare di una fabbrica che conferma il pregiudizio e la discriminazione degli autoctoni; una cena assieme a un locale, il quale discerne il problema della segregazione; una breve relazione legata a una donna caucasica, stemperata in una serie di deprimenti constatazioni impregnate di stereotipi. L’educazione e le capacità pratiche, effettivamente, non contano, giacché, secondo la gente del posto, l'avventizio “visitatore” ha un’etichetta, e tutte le altre caratteristiche (appartenenza territoriale, eredità intellettuale, credenze, professione) rientrano in questa classificazione. Nella babelica orchestrazione dei risvolti sono palpabili effetti di straniamento brechtiano, un rifiuto di personaggi psicologizzanti a favore di un'attenzione alle sovrastrutture collegate, in modo da consentire allo spettatore di appurare chiaramente i fenomeni in questione senza esserne direttamente interpellato. Il virtuosismo artistico fluisce in un'ampia gamma di tecniche che rinnovano e riformulano la grammatica narrativa, dalla digressione agli improvvisi scarti extra-diegetici (bellissimo il prologo animato che vira verso la condensazione astratta rispetto alla consueta rievocazione letteraria): queste “devianze” stornano le comuni proprietà associative del pensiero umano. Quando ad esempio l’umile crociato consulta un sociologo che sta indagando sullo status e sul valore dell’operato dei migranti nell'economia, la scena diventa un’analisi ficcante dell'estrema violenza nascosta nel linguaggio tecno-burocratico; invece di essere riprodotta interamente, la traccia viene estesa in quasi mezz'ora, lasciando ripetutamente esplorare altri intrecci vagamente o apertamente correlati: un'illustrazione potente e schiacciante sulle stentate condizioni di chi sta ai margini. Un altro dei segmenti più iconici setaccia, come accennato, la possibilità di una storia interrazziale. La rappresentazione fonde finzione e saggistica. I partner camminano sugli Champs-Elysées e i passanti lanciano occhiate indignate, avvertendo shock, incredulità e rifiuto di accettare; gli strimpelli degli animali da cortile fanno da contrappunto ai fotogrammi, postulando un illusorio apogeo cosmopolita. Il taglio sperimentale dell’audio, ripartito in dialoghi, percussioni energiche e rumore asincroni, innescherà pertanto il climax agli incresciosi avvenimenti. Impreziosiscono la visione d’insieme il bianco e nero graffiante in formato 16mm, e ovviamente uno scavo drammatico degno di lode nel ruolo del pacato Liensol. L'intenzione di Hondo, in questo excursus afro-diasporico che ribatte l’utopistica idea di un ”impero evoluto”, era di trasformare l'esperienza del singolo individuo senza nome in conoscenza collettiva: un’impresa trionfante da assimilare lentamente.

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Ci siamo trovati a essere artisti ‘di colore’, come si dice di solito, per puro caso. Insieme a Parigi sostanzialmente per le medesime ragioni, Bachir, Touré, Robert e io ci siamo trovati nel bel mezzo di un paese, di una città, nella quale rimediare di che vivere, in parole povere, dove lavorare: essere un attore, un musicista, un cantante. E dove, però, ci si è subito resi conto che le porte erano chiuse […]. Allora, per uscirne, abbiamo pensato di formare tutti insieme un gruppo teatrale e, nell’attesa, abbiamo realizzato tutti insieme Soleil Ô. Per fare il film abbiamo dovuto scavalcare tutti gli ostacoli burocratici e materiali, in altri termini trovare un produttore e dirgli: “È il miglior soggetto che ci sia, perché ci crediamo”. Per sentito dire, “se si è bravi a parlare, si è bravi anche a fare un film”. Ebbene, abbiamo fatto Soleil Ô senza un centesimo […]. Tutte le scene sono ispirate alla realtà. Perché il razzismo non s’inventa, soprattutto al cinema. È una specie di mantello che ti mettono addosso, con cui sei obbligato a vivere. Anche la scena della confessione, all’inizio: in effetti, nelle Antille dove sono nato, ai bambini, quando andavano a confessarsi, insegnavano a nominare come peccato il fatto che sapevano parlare il creolo. Ma so bene che il cinema da voi definito cinema-verità ha sempre evitato di dire cose del genere. L’unica cosa che ha fatto in questo senso è stato prendere dei volti di neri e mescolarli alla folla. Per mostrare che più l’Occidente tenderà economicamente a espandersi, più avrà bisogno di manodopera nera. E così l’Africa resterà un continente sempre più sottosviluppato: dire il contrario è dire il falso […]. L’idea iniziale era quella di far vedere tutti i luoghi deputati, privilegiati dai turisti, gremiti unicamente di neri. D’improvviso si vedeva il Sacré-Cœur e si vedevano solo neri. Sarebbe stato un bell’impatto cinematografico. Solo che l’idea è rimasta sulla carta, non si è riusciti a tradurla in immagini.

Med Hondo, “Jeune Cinéma”, giugno-luglio 1970

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A furious howl of resistance against racist oppression, the debut from Mauritanian director Med Hondo is a bitterly funny, stylistically explosive attack on Western capitalism and the legacy of colonialism. Laced with deadly irony and righteous anger, SOLEIL Ô follows a starry-eyed immigrant (Robert Liensol) as he leaves West Africa and journeys to Paris in search of a job and cultural enrichment—but soon discovers a hostile society in which his very presence elicits fear and resentment. Drawing on the freewheeling stylistic experimentation of the French New Wave, Hondo deploys a dizzying array of narrative and stylistic techniques—animation, docudrama, dream sequences, musical numbers, folklore, slapstick comedy, agitprop—to create a revolutionary landmark of political cinema and a shattering vision of awakening black consciousness.

SOLEIL Ô was restored as part of the African Film Heritage Project, an initiative created by The Film Foundation’s World Cinema Project, the Pan-African Federation of Filmmakers (FEPACI), and UNESCO, in collaboration with the Cineteca di Bologna, to help locate, restore, and disseminate fifty African films with historic, artistic, and cultural significance. Restoration funding was provided by the George Lucas Family Foundation and The Film Foundation’s World Cinema Project.

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mercoledì 27 settembre 2023

Gli occhi nella notte - Terence Young

il film è tratto da un testo teatrale, quasi tutto è girato in un appartamento, con pochi attori, davvero bravi, Audrey Hepburn (Susy) per prima.

tre delinquenti cercano di trovare una bambola, ripiena di eroina, con l'aiuto di Susy, con tranquillità, ma le cose peggiorano, Susy capisce, le cose  diventano violente, non solo psicologiche.

e per fortuna che c'è Gloria.

un film da non perdere, nessuno se ne pentirà. 

buona (cieca) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, in italiano

 

 

Masterpiece. Spettacolo per 107 minuti, la parte finale è da vedere e rivedere. Audrey Hepburn oltre i confini, strabiliante.

Sam, un fotografo, e sua moglie Susy, rimasta cieca in seguito ad un incidente, vengono casualmente in possesso di una bambola imbottita di droga che viene attivamente ricercata da tre delinquenti. Costoro, allontanato con un trucco Sam, si recano da Susy spacciandosi rispettivamente per un intimo amico di Sam, un poliziotto, ed un uomo alla vana ricerca della moglie. Susy non sa però dove si trovi la bambola e, con la sensibilità propria dei ciechi, riesce a rendersi conto dell'inganno. Resta tuttavia alla mercè dei banditi che la isolano totalmente dall'esterno...

Audrey Hepburn (Susy) ha ricevuto la nomination all'Oscar '68 come Miglior Attrice. 

Il film è stato uno dei più popolari dell'anno, guadagnando nel Nord America 7.350.000$.

Film poco conosciuto che io stesso ho visto in maniera quasi casuale. Thriller-Giallo molto hitchcockiano, ben diretto ma soprattutto con una Audrey letteralmente clamorosa. Una prova straordinaria, dal primo all'ultimo minuto. Mi è piaciuto molto anche Richard Crenna, il falso amico di Sam.

Mi viene difficile trovare lati negativi, mi ha preso completamente. Credo sia un film assolutamente da riscoprire.

Voto 10/10 Uno dei più belli che abbia mai visto.

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...Se prima la tensione era stata seminata e gestita in modo sapiente, il regista la fa' esplodere alla grande negli ultimi 20 minuti; e così passiamo da un ottimo film con derivazioni Hitchockiane, all'originalità che riesce a rendere questo film un qualcosa di mai visto sino ad allora. Suzie Hendrix ci porta nel suo mondo fatto di tenebre ed oscurità totale; dove lei è in vantaggio e gli altri hanno l'handicap. Questa maturazione è esemplificata da una frase della protagonista, che alla minaccia di Mike, uno dei tre criminale, risponde "Ma come no; io faccio quello che voglio"; come dire... questo è il mio mondo e qua comando io.
Terrence Young negli ultimi 10 minuti compie una riflessione interessante; se il sonoro ha invaso il cinema riducendo spazio all'immagine, egli invece compie l'operazione inversa, elimina l'immagine e riduce tutto a suono. Ci sentiamo spaesati e senza alcun punto di riferimento; cechi ed impotenti nonostante non abbiamo alcun handicap; ma tutto questo perchè non abbiamo mai affinato altra capacità che non sia quella di vedere. Auspichiamo quindi una luce (che ribaltando ogni concezione iconografica, in questo caso sancirebbe la sconfitta per la nostra protagonista) che possa darci quanto meno un riferimento temporaneo.

Onore al merito và dato anche al grande direttore della fotografia Charles Lang (forse è un altro dei motivi per cui Young è riuscito a fare un film di questa portata), che riesce a creare un'atmosfera plumbea, soffocante ed opprimente, dimostrando poi nel finale tutte le sue notevoli doti in materia con un lavoro fotografico pazzesco, mettendo in scena l'eterno scontro tra immanenza e trascendenza in modo sbalorditivo…

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Credo che Hitchcock non avrebbe saputo fare di meglio. Questa vicenda, diretta da un Terence Young in stato di grazia, nonostante sia piuttosto 'teatraleggiante', è manovrata con un'abilità incredibile e c'è un crescendo di suspense magistrale (al punto da farci dimenticare qualche incoerenza nella trama) che culmina in un finale veramente da urlo. Lo spettatore è cosciente di tutto fin dall'inizio; anche se la Hepburn (qui nel ruolo di una cieca) non vede, lui vede tutto ciò che le sta accadendo, compreso il modo in cui ella sta essendo ingannata da tre banditi che vogliono rubarle una bambola piena di droga. E mano a mano che la Hepburn capisce ciò che le sta realmente succedendo, lo spettatore, nonostante sappia tutto fin dall'inizio, comincia a fremere, il suo battito cardiaco aumenta e la tensione diventa paralizzante, soffocante. E' come se anche chi guarda fosse stato accecato, perché riesce totalmente ad identificarsi con la protagonista. E quando la suspense raggiunge lo zenit nel finale ed anche chi guarda viene (stavolta sul serio) accecato, non sembra esistere più certezza e pare impossibile fare qualche previsione. Ma poi le luci si riaccendono ed il battito decelera e ci si rende conto di aver visto un film che seppure abbia, lo ripeto, delle incoerenze, è riuscito a trasmettere un'ansia angosciosa magistrale e credo sia questa la cosa più importante in un thriller…

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Mirabile sceneggiatura per un film quasi perfetto, sostenuto da un trio di attori d’eccezione: Richard Crenna, prossimo colonnello Trautman in RAMBO, Alan Arkin (non si vede moltissimo, ma dimostra eccezionali capacità recitative) e Audrey Hepburn, vera protagonista del film, intensa e credibile come non mai nel ruolo della cieca Susy Hendrix, che si trova a dover fronteggiare (col solo aiuto della sua intelligenza e di una piccola vicina di casa) le truffe combinate di tre loschi individui (a Crenna e Arkin si aggiunge John Weston) decisi a tutto pur di riprendersi la bambola imbottita di droga pervenuta a lei per caso. Il regista Terence Young dirige con sicurezza un film di derivazione hitchcockiana, con molti momenti di vera suspense e un finale quasi horror che regge benissimo il passo coi tempi. La sceneggiatura non perde un colpo (i pignoli potranno trovare qualche piccola ingenuità, ma è ben poca cosa rispetto alla complessità dell'intreccio, spiegato con grande chiarezza) e fa sì che praticamente non esistano punti morti. L'impronta è teatrale, con la vicenda totalmente ambientata, se si esclude il breve prologo, nella casa di Susy (specificatamente nel salotto) e raccontata quasi in tempo reale (come lo fu NODO ALLA GOLA per Hitchcock, quindi). Ottima la fotografia, con contorni nitidi e capace di esaltare gli interni dell'appartamento, ben scenografati. WAIT UNTIL DARK, il titolo originale, è ben più azzeccato della traduzione italiana, che peraltro è la stessa di altri tre o quattro film diversi (evviva la fantasia!). Per essere un film del 1967 è incredibilmente moderno e scorrevole e Stephen King ha ragione ad amarlo (lo cita tra i migliori nel suo saggio “Danse Macabre”).

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martedì 26 settembre 2023

Driver, l’imprendibile – George Roy Hill

un bravo autista (anche un po' autistico) è sul mercato per chi offre di più, purché sia affidabile.

attori in forma, un poliziotto che parla molto (con le sue teorie e sicuro di sé), un collega che lo affianca, un pilota quasi muto, una ragazza che sembra uscire da un altro film (è un complimento).

un film tutto di corsa, ma anche una partita a scacchi, un film da non perdere, promesso.

buona (automobilistica e misteriosa) visione - Ismaele


 

 

 

 

Purtroppo, al momento dell’uscita, The Driver è un fiasco commerciale che recupera a malapena il modesto budget di 4 milioni di dollari grazie quasi solo alla distribuzione internazionale. Nelle interviste, Hill è molto sportivo al riguardo (il successo strepitoso di I guerrieri della notte, di appena sei mesi dopo, aiuta a mettere le cose in prospettiva) mentre Gordon non ha dubbi: ad affossare il film è il suo cast, sgangherato e privo di nomi di richiamo.

Nel ruolo del protagonista si era pensato a Steve McQueen o a Charles Bronson. Il primo si farebbe detonare piuttosto che fare l’ennesimo film di macchine, il secondo si farebbe detonare piuttosto che lavorare di nuovo con Hill (ne parlavamo la settimana scorsa). Si ripiega così su Ryan O’Neal, che nonostante un passato da pugile nessuno riesce a concepire in un ruolo da duro: ha appena finito di fare Barry Lyndon con Kubrick, un drammone in costume di seicento ore ambientato durante la Guerra dei sette anni, ed è famoso soprattutto per Love Story e la commedia romantica What’s Up, Doc?. Recita, come si dice dalle loro parti, against type offrendo un’interpretazione fenomenale che nessuno capisce.

Isabelle Adjani, poco più che 20enne e appena lanciata da Truffaut con Adèle H. (che le frutta la sua prima nomination agli Oscar), è un nome più o meno calato dall’alto. Hill ha scritto la parte della Giocatrice con in mente Tuesday Weld (che poi finirà in una pellicola molto simile, Thief di Mann, nel 1981) ma chi mette i soldi, la EMI Films, vuole un’attrice europea come gancio per la distribuzione all’estero. Hill e Adjani si incontrano: lui pensa di aver fatto tombola perché un’attrice in quel momento popolarissima è disposta a lavorare con lui; lei si sente pressata ad accettare qualsiasi ruolo in una produzione americana perché deve fare “il salto”. Ma The Driver non porterà alcun beneficio alla carriera di Adjani negli Stati Uniti, né avrà tutto questo successo in Europa. Hill ricorderà la loro collaborazione con garbata indifferenza, ma, a rivederla adesso, anche l’interpretazione di Adjani è fantastica: misteriosa, affascinante, occhi che bucano lo schermo. È difficile immaginare chiunque altro al suo posto.

L’unico su cui nessuno ha da ridire, all’epoca come oggi, è Bruce Dern, che ha sempre dato il meglio in parti da viscido o da matto. Ma è un caratterista che non ha ancora mai ricoperto ruoli da protagonista in film importanti: è in grado di caricarsi sulle spalle un intero film (non che in The Driver ce ne sia bisogno) ma non è il motivo per cui la gente va a vedere un film…

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Lotta senza esclusione di colpi fra un autista che si mette al servizio di bande criminali senza però farne parte e un poliziotto che gli dà la caccia. Personaggi archetipici, senza storia e senza nome (nell’originale “Driver” significa semplicemente “guidatore”, diversamente da quanto lascia intendere il titolo italiano): Ryan O’Neal ha un ruolo melvilliano, di delinquente puntiglioso, impassibile e fedele alla propria morale; Bruce Dern è uno sbirro con la tendenza a filosofeggiare; Isabelle Adjani fa la sfinge. Un film asciutto, senza fronzoli, che fila liscio come l’olio. Le prolungate sequenze in auto (due inseguimenti, uno all’inizio e uno alla fine, più un’esibizione dimostrativa nel mezzo) sono una vera goduria. E alla fine, come vuole la tradizione, tutti gabbati: che poi è anche l’unico modo per far sì che non ci sia un vinto e un vincitore.

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Driver l’imprendibile è un film che vive di varie anime, mai però in conflitto, bensì in simbiosi fra loro, grazie a una regia solida e sicura, la regia di un autore che conosce bene il genere e dimostra di saper dirigere un noir coi fiocchi: da una parte, c’è la componente più spettacolare dei forsennati inseguimenti automobilistici; dall’altra, c’è invece l’elemento più squisitamente noir – cioè lo scavo nella psicologia dei protagonisti e la rappresentazione del milieu criminale – un elemento che è predominante nella narrazione ed è piacevolmente intercalato dalle sequenze d’azione; infine, c’è il fattore visivo, quello formato dalle imponenti scenografie naturali della città (predominanti rispetto agli interni) e dalla fotografia contrastata di Philip H. Lathrop, nel quale ancora una volta lo sguardo del regista si rivela lungimirante e anticipatore di un certo tipo di cinema del decennio successivo.

Come si è detto più volte, il cinema di Walter Hill risente spesso dell’influenza di Sam Peckinpah, colui che fu in un certo senso il suo ispiratore – e ricordiamo che Hill scrisse la sceneggiatura del crime Getaway! (1972), uno tra i più rappresentativi film di Bloody Sam. Questo, fin da I guerrieri della notte, che trabocca di scene al ralenti durante i combattimenti, e via via proseguendo fino a quell’action-western mai abbastanza celebrato che è Ricercati: ufficialmente morti. Eppure, in The Driver non sembra esservi traccia alcuna del cinema di Peckinpah. La storia, che potrebbe in parte richiamare quella di Getaway!, è in realtà agli antipodi rispetto al precedente lavoro scritto da Hill: la regia fugge da ogni suggestione legata all’heist-movie o alla messa in scena delle rapine, tant’è vero che le medesime sono riprese soltanto nei loro momenti iniziali o conclusivi, lasciando volutamente fuori il momento clou dell’azione dei rapinatori.

Di ralenti non ce n’è nemmeno uno, e anche i mirabolanti inseguimenti in auto, ricchi di soggettive, inversioni di marcia e car-crash, sono girati in modo asciutto, essenziale, proprio in virtù di quel coté realistico che il Nostro ha voluto imprimere a questo suo film, decisamente più un noir che un film d’azione. Un carattere secco ed essenziale che permea ogni istante del film, sostenuto da una sorta di struttura archetipica che conduce Hill addirittura a non chiamare i protagonisti per nome, ma solo con l’etichetta del ruolo che rivestono, come se The Driver volesse essere una sorta di prototipo del cinema noir…

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domenica 24 settembre 2023

Rollerball – Norman Jewison

l'avevo visto da ragazzino, un film che non ti dimentichi più, per la violenza, il messaggio e le musiche.

adesso non è come la prima volta, ma resta sempre un signor film.

il Sistema (un Grande Fratello che tutto controlla) usa questi atleti come valvola di sfogo per le pulsioni del popolo, qualcuno in alto decide cosa devono fare gli atleti, ma Johnatan non ci sta più, cosa succederà è un incognita, intanto il popolo è con lui.

buona (rollerball) visione - Ismaele

  

 

QUI il film completo, su Raiplay

 



Pellicola che aveva profondamente soggiogato la mia fantasia di ragazzo. La prova della "revisione" me l'ha restituita decisamente meno "tough", forte e "ricca" di quanto promettesse il ricordo. A venire a galla sono soprattutto i limiti di Jewison, regista del "vorrei ma perché devo?", spesso fermo alla superficie delle sue ambizioni liberal. Resta comunque un apologo forse striminzito ma efficace sulla perdita di centralità dell'individuo, cui lo script ellittico di Harrison alla fine giova. Caan centratissimo, ma restano impressi Houseman e Richardson.

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Ottimo film di fanta-politica, cult e capo-stipite di un genere per gli anni in cui uscì. La regia viene affidata ad un Maestro. E questo ne fa guadagnare in spettacolarità nelle immagini delle partite/scontri. La sceneggiatura a volte balbetta e qualche scena può risultare noiosa. Ma nel complesso, visti anche i mezzi a disposizione ad inizio anni 70, è sicuramente una pellicola più che riuscita. Buona prova di Caan e bravissimo Beck che, grazie alla sua perizia sui pattini, rinunciò alla controfigura per quasi tutto il film.

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Lo spunto viene da piuttosto lontano, dal romano "panem et circenses", nutrisci il popolo e dai a esso lo spettacolo, violento, anzi sanguinario, per dare uno sfogo controllato agli istinti più brutali che albergano nell'uomo. Non troppo fantascientifico in questo senso. Realizzato stupendamente, nelle riprese, nella fotografia, nei suoni e nella colonna sonora classica, come andava di moda allora. Interpretato ottimamente con un Caan credo al suo meglio e un notevole gruppo di stunt. Molto pulito e chiaro nei significati, direi universali.

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Il Grande Fratello vede tutto, sa tutto e pensa per noi. Per farci felici. In cambio chiede solo di non rompere le palle. Non chiede molto in fondo.

In un futuro orwelliano le guerre sono un ricordo, ma l'animale Uomo deve pur sfogare la violenza insita in lui. Ecco allora il Rollerball, gioco truculento e spettacolare. Jonathan ne è il grande campione, ma sta diventando troppo grande, piu grande del gioco stesso. E questo non deve accadere. Le Corporazioni non lo possono permettere. Così lo invitano a ritirarsi, per il suo bene. Ma lui non ne vuole sapere così cercano di farlo fuori in una partita ad hoc. Ma ahimè sarà l'unico superstite. E adesso per le Corporazioni saranno cazzi. Un ribelle pensante non era previsto; le masse potrebbero seguirlo.

Grande James Caan , malinconico e combattuto.

Grande colonna sonora classica Bach, Albinoni.

Grande film a sfondo sociopolitico.

Un cult.

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Rollerball è un capolavoro da massimo dei voti per il semplice motivo che è l'unico film che racconta in maniera plausibile uno sport del futuro.

Jewison ha dichiarato apertamente che il suo modello visivo è stato "Arancia Meccanica" e bisogna ammettere che il trasferello filmico gli è riuscito, si ha come l'impressione che le due storie accadano nello stesso universo, è quindi facile per lo spettatore immaginare che nella stanza di qualche drugo poteva stare tranquillamente appeso alla parete un poster di Johnatan E con la sua maglia numero 6 arancione, allo stesso tempo non è da escludere che in una delle ville isolate dei ricchi e viziati amici di Johnatan E sia stato eseguito il numero visita a sorpresa per mano di Alex e la sua banda di drughi.

La descrizione di una società futura in cui le corporazioni sono a capo di tutto è a mio avviso l'aspetto più marginale del film anche se in effetti ne rappresenta il cuore narrativo, rimangono più impresse certe abitudini sociali come le feste dell'alta società durante le quali ci si droga legalmente scambiandosi pillole come figurine e all'alba si da sfogo alla sete di violenza incendiando alberi con una pistola lanciafiamme, un mondo asettico dove tutto è registrato in un cervello elettronico centrale a mo di grande fratello ma soprattutto c'è il rollerball e la sua brutale realtà sportiva.

Il film si apre proprio sulla prima grande sfida fra la squadra del nostro eroe ovvero Houston e il Real Madrid che storicamente è più noto per il giuoco del calcio ma sembra essersi adeguato a questo sport globale che fonde le seguenti discipline: pattinaggio e motociclismo visto che le squadre si muovono su di una pista circolare e sono formate per tre quarti da pattinatori e con i numeri 1-2-3 da motociclisti addetti al traino e lo sfondamento, baseball e basketball dato che da un cannone laterale viene sparata una boccia d'acciaio poi raccolta da un ricevitore e consegnata ad un attaccante che ha il compito di infilarla in un canestro magnetico e segnare il punto, football americano da come le squadre sono equipaggiate con caschi robusti e guanti chiodati e infine tutti gli sport di contatto dalla box alla lotta e perfino le arti marziali: uno spettacolo per gli occhi vedere una partita montata a regola d'arte apparire come reale con il ruggito della folla e i clangori degli scontri, il sangue che schizza sullo schermo mentre Johnatan E ancorato al retro di una moto plana letteralmente davanti alla difesa spagnola per infilare il bersaglio che risuona come un pugno di ferro in colonna sonora, le riprese furono così efficaci che gli spettatori comparse vociferavano sull’organizzare dei veri tornei di rollerball destando un certo sgomento in Jewison…

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venerdì 22 settembre 2023

Le due sorelle – Brian de Palma

due sorelle siamesi, dopo l'operazione, vanno ognuna per la sua vita.

solo che una è un'assassina e l'altra la protegge.

una giornalista capisce che c'è un problema serio, la polizia non le crede, lei rischia la vita, ma è la sua natura, la ricerca della verità.

appare e scompare un investigatore privato, le cose si complicano, forse c'è troppa carne al fuoco, alla fine si scopre qualcosa, ci fa credere il regista.

buona (doppia) visione - Ismaele

 

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

 

Piu' hitchcockiano di cosi'c'è solo Hitchcock.De Palma gira una perfetta macchina da spavento citando apertamente due capolavori del maestro del brivido inglese,Psyco,col suo tema della schizofrenia e del doppio,e La Finestra sul cortile col suo bravo voyeurismo che genera malintesi(sembra che è colpa di chi guarda,non di chi perpreta il crimine).Il film è interessante la suspense sostenuta lungo tutto il racconto anche se si intuisce quasi subito quale sia il problema.Il finale è abbastanza curioso e rasenta il sarcastico.In epoca di cellulari film come questo non sarebbero esistiti....

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Secondo lo psicologo Otto Rank il doppio è intimamente legato e strettamente connesso con la morte. Non è quindi un caso se, poco prima di morire, Philip incontri alla pasticceria una coppia di commesse lebische. Non lo è se l’omicida Danielle– in questo il film è leggibile anche come perverso aggiornamento del classico Lo specchio scuro [The Dark Mirror, 1946] di Robert Siodmak –  soffre di una schizofrenia che ha scisso la sua personalità in due, la sua e quella della gemella/doppelgänger Dominique. Non lo è nemmeno se gli ultimi, concitati istanti della morte di Philip vengano raccontati attraverso uno split screen che, per l’appunto, raddoppia il punto di vista bisecando (scindendo) l’immagine in due parti uguali (per la quantità di spazio occupata sullo schermo) e complementari (lo split screen si sostituisce tanto al campo/controcampo – creando un’ideale continuità dell’azione nello spazio e nel tempo – quanto al montaggio parallelo, mantenendo inalterata la continuità nel tempo ma producendo una discontinuità spaziale). Questa sequenza inoltre sancisce un avvenuto transfert nel ruolo di protagonista tra Philip e Grace (per accentuare l’effetto sorpresa, il regista avrebbe voluto scritturare Sidney Poitier e Marlo Thomas, ma dovette desistere per questioni di budget…

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Non mi ha conquistato. Stento a trovarci tutte quelle raffinatezze che in tantissimi hanno esaltato, addirittura elencato, per cui sarà certamente colpa mia. Ma mi pare che il meccanismo non conquisti più di tanto e credo pure che, se lo si vedesse ignorandone l’autore, lo si giudicherebbe con maggiore severità, per via specialmente di quelle divagazioni che sottraggono, anziché aggiungere.

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Due sono le sorelle e aprono la strada al concetto di doppio per un’ambiguità diffusa che De Palma utilizza come spina dorsale per la sua opera. Non restringe il campo a una mera questione fisica, ampliando il significato a un fattore psicologico e di personalità dalla quale scaturisce un intreccio in grado di farsi seguire, spinti dalla curiosità. Tuttavia non sembra intenzionato a voler andare troppo a fondo, dando l’impressione di preferire i dettagli e le sfumature necessarie a plasmare uno stile estetico dalle caratteristiche precise e dai richiami che conducono a Hitchcock.

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Che questo film, a quanto leggo, faccia parte dei 100 migliori film di sempre mi lascia piuttosto basito. Se questo è uno dei migliori cento meglio smettere di guardare film...

E' un film interessante, ma oltre che datato non è realizzato nel migliore dei modi.E' tutto troppo chiare ed evidente, a volte la realtà dirompente stride con l'eccessiva 'brillantezza' della polizia come degli altri personaggi. I colpi di scena sono bruciati ogni volta da qualche rivelazione. Solo la scena dell'ultima telefonata è valida.

Ben in 3 non vedono la macchia sul divano, la torta che cade, porti la torta all'amata con un bel coltellino, polizia che non fa nemmeno un controllo degno di questo nome. Ma a proposito... come ha fatto la torta a rimanere intera mentre il giuovine veniva accoltellato... Nel dubbio avrà almeno messo in salvo quella tra un rantolo e l'altro.

E' un film fatto d'espedienti che ha il solo merito di una storia mediocremente interessante, scarna eredità di un'idea iniziale valida, ma soprattutto, rovinata dalla messa in scena e da un gruppo di attori non particolarmente all'altezza.

Le sbinocolate fanno davvero sorridere... provate a mettervi in un'auto con un binocolo... e contate i secondi che impiegherà la gente a notarvi...

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mercoledì 20 settembre 2023

Beretta's island - Michael Preece

Ollolai  è il centro della produzione di droga nel mondo.

Franco Columbu indaga, torna in Sardegna, inizia da schifo, poi peggiora, sceneggiatura di merda, recitazione schifosa, poi non so cosa succede, ma la prima mezz'ora mi è bastata.

una cagata assoluta.

e non dite che non vi avevo avvisato 

buona (non) visione - Ismaele

 

 

 

Pazzesco. Con i 5 minuti iniziali (Franco e Arnold che "pompano i bicipiti") si crede di aver già toccato il fondo; in realtà il meglio deve ancora arrivare. Dopo la suddetta sequenza Schwarzy sparisce nel nulla e ci si sposta in Sardegna. Qui si entra nel vivo: azione ultratrash, scenari tristissimi, feste paesane con comparse che guardano in macchina (e se la ridono), dialoghi assurdi, un Columbu con fisico, espressioni e movenze al di là di ogni immaginazione. Topless a sorpresa nel finale: un piccolo premio per chi riesce a raggiungerlo.

MEMORABILE: Ogni frame in cui compare Franco Columbu, che per l'occasione spara, picchia, balla, canta, marpioneggia e ovviamente pompa i bicipiti. Un grande!

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 Film che ispira una certa tenerezza per l'ingenuità del buon Columbu, dalla trama risibile fino alla prova attoriale dell'atleta stesso, qui cinquantenne e dall'aspetto non proprio credibile come eroe e sciupafemmine, nonostante un fisico ancora prestante. Si segnalano le presenze della Kaitan, sempre bella, nonché quella inaspettata di Schwarzenegger in un cameo amichevole; il resto è un disastro in odor di trash, tra ripetute riprese di feste paesane sarde, momenti action ridicoli e un'atmosfera da telefilm regionale ai limiti dell'amatorialità. Imperdibile per i trashofili.

MEMORABILE: L'interminabile allenamento iniziale con Schwarzy; Columbu che ci prova con la Kaitan; Columbu che canta alla sagra di paese.

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 Prima dell'inarrivabile Dreamland, Columbu mette anima e corpo (non solo metaforicamente) in quest'assurdo action che ha nella componente nostalgica una delle caratteristiche principali. Il nostro alle prese con combattimenti che rasentano il ridicolo, inseguimenti di una lentezza inimmaginabile e sparatorie inverosimili sfodera una prestazione trash che lo colloca senza dubbio nella Hall of fame degli attori meno cinematografici del globo. Imperdibile l'allenamento con l'amico Schwarzy. Da vedere almeno una volta nella vita!

MEMORABILE: Columbu l'attore meno cinematografico del globo; La festa patronale; Il tuffo spettacolare che mette in secondo piano il seno dell'amata.

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 Franco detto "Beretta" è un poliziotto implacabile, i cui infallibili metodi consistono nell'andare a cavallo, cantare alle sagre, pomparsi in palestra e in definitiva farsi i cavoli propri per tutto il film, aspettando che succeda qualcosa. Davvero mozzafiato le scene d'azione, con Fiat Uno lanciate a 20 all'ora, scazzottate al rallentatore e spericolate acrobazie in moto dello stesso Columbu (a cui devono aver insegnato a guidare la sera prima). Della trama non ho capito nulla ma va bene così. Da vedere assolutamente.

MEMORABILE: Franco che accende la dinamite col sigaro, alla Tex Willer; L'esibizione canora, la messa e il palio di Ollolai (inutili ma almeno interessanti).

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 Ollolai è la cittadina in collina che vide i natali del grande Franco Columbu. L'omaggio non privo di suggestioni, la festa di San Bartolomeo, il mare (a 80 km circa da Ollolai sia ben chiaro), action in giusta dose e la faccia di un emigrante che ha saputo fare fortuna con l'aiuto del suo grande amico Arnold Schwarzenegger. La trama è banalotta, ma le premesse c'erano tutte.

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 Franco Beretta è un agente Interpol a riposo che riprende l'attività, dopo l'uccisione di una sua collega, per sgominare una banda di narcotrafficanti che operano tra Los Angeles/Sardegna (!). Nei primi minuti vediamo Franco e Schwarzenegger che si allenano, segue il delirio totale... Sceneggiatura scritta da Columbu, film prodotto dallo stesso, una sorta di "regalo" alla sua Sardegna, il resto è da sorvolare... per gli amanti del trash merita un 10 e lode!

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martedì 19 settembre 2023

Il colpo della metropolitana - Joseph Sargent

un colpo grosso alla metropolitana di New York, un convoglio sequestrato, il Pelham 123, 17 ostaggi, il rilascia in cambio di un milione di dollari.

sceneggiatura ad orologeria, quando tutto sembra andare bene per i ladri sequestratori le cose si complicano, per colpa/merito dell'ispettore Garber (Walter Matthau).

non mancano i morti, il sequestro non è uno scherzo, il piano è perfetto, ma l'ispettore Garber è più che perfetto, per intuito più che per astratta logica.

una corsa contro il tempo che non deluderà nessuno, promesso.

buona (milionesca) visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo, in italiano


 

… Molto probabilmente è un thriller poliziesco con qualcosa in più: una feroce satira sociale e anche politica che si mescola con un gusto grottesco per i dialoghi e soprattutto in alcune scene. Questo rende il film non solo un semplice noir ma un’evoluzione di quest’ultimo. Il colpo della metropolitana è una commistione di generi che sfilano immagine dopo immagine. Robert Shaw e Walter Matthau, i protagonisti dell’opera di Sargent, rappresentano appunto questo mix di categorie. Da una parte c’è il freddo e spietato criminale e dall’altra il poliziotto cinico e pigro che comunque riesce ad avere la meglio sulla malavita.

E tutto il film è un continuo andirivieni dal dramma all’action movie, dalla commedia nera al thriller fino a quel finale tanto ironico quanto monumentale che si prende gioco dei classici, seriosi e a volte anche lagnosi film della stessa matrice. Una rivoluzione del genere crime e anche dei film d’azioni che da quel momento si avrà su moltissime altre opere. Tuttavia Il colpo della metropolitana si burla della stessa società americana che prende di mira tutti, dalle alte sfere fino agli stessi poliziotti lasciando i poveri ostaggi a fare da simbolo ad una società omogenea ma solo sulla carta: multiforme e classista…

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Ricordato spesso dai più giovani unicamente per essere stato una delle tante fonti di “ispirazione” (termine gentile) per Quentin Tarantino al momento della scrittura de Le iene, il film di Sargent merita di essere rivisto per motivi più validi dello stratagemma dei nomi dei criminali, a partire da una regia solida e potente come la storia richiede, perfettamente nel solco tracciato da Don Siegel.

Dopo un’ottima partenza, con il silenzioso sequestro del treno da parte dei quattro uomini, il film procede in crescendo, rendendo benissimo la costante presenza della scadenza fissata per l’esecuzione degli ostaggi e gli infiniti inconvenienti di percorso cui tutti quelli impegnati nella trattativa o nelle azioni di forza devono far fronte. In particolare il personaggio di Garber (Walter Matthau), inizialmente distratto e svogliato, acquisisce sempre più peso all’interno dell’operazione e diventa il principale referente dell’autorità per i sequestratori e il vero “eroe” del film, contro figure teoricamente più titolate di lui (sindaco, capo della polizia) ma di minore valore morale. Il ritrarre Garber come un uomo comune, forse solo un poco più intelligente della media, ma che in realtà risolve la situazione facendo affidamento principalmente sul proprio buon senso mentre tanti intorno a lui non sanno che fare nel contesto di elevata tensione in cui si trovano, è un altro punto a favore della scrittura del film…

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Un thriller come pochi, capace di alternare sapientemente scene di alta tensione con diversivi di alleggerimento, tipo la carrellata iniziale di Walter Matthau con i colleghi giapponesi e la signora che nel finale si risveglia da un bel sonnellino, inconscia di tutto ciò che le è capitato. Tutto avvincente ed emozionante, ottime interpretazioni e finale perfettamente in linea con la vena sarcastica del film. Sicuramente sottovalutato.

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Un ottimo film sotto ogni punto di vista, ma è la sceneggiatura che lo fa emergere rispetto ad altri dello stesso genere. Il divertente incipit prepara il terreno illustrandoci (assieme ai "babbuini" giapponesi) la sede operativa della metropolitana di NY, piuttosto scarna per la verità, con personaggi di ogni tipo (dai nervosi direttori ai rilassati membri della sicurezza); poi il fattaccio che coglie tutti di sorpresa e suscita le reazioni più diverse, dove primeggiano la calma e la razionalità di Matthau. Buon sviluppo fino al perfetto finale.

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E' una vergogna che questo splendido film venga classificato sul Mereghetti con due palle e mezzo.
La trama è un gioiellino ingegnoso, i dialoghi sono meravigliosi, oscillano tra il comico e il drammatico, e così le situazioni, tutti gli attori, comparse comprese, sono bravissimi.
Matthau eccezionale, Martin Balsam straordinario, regia eccellente. Girato nel '74, è un film pressoché perfetto, che come tutti i veri capolavori mantiene immutata la sua forza.

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Grande film, un poliziesco anni 70 come ormai non se ne fanno piu':veloce,senza fronzoli con un gruppo di rapinatori che non esita ad usare la violenza, un ritmo indiavolato e protagonisti affiatatissimi.I 4 rapinatori fanno veramente paura e nonostante l'ambientazione claustrofobica e sostanzialmente rispettando l'unita' di spazio,c'è una suspense che si taglia col coltello.il finale è assolutamente memorabile come la faccia di Matthau. Una vera delizia per gli amanti del genere...

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domenica 17 settembre 2023

Wild river (Fango sulle stelle) - Elia Kazan

Pessimo titolo italiano, per un film che affronta la lotta per il progresso, ma non tutto è così semplice.

Le dighe sul fiume Tennessee eviteranno alluvioni, ma a costo di espropriare le terre che saranno sommerse.

Una vecchietta non cede la sua isola, (ex) schiavi inclusi.

E' una partita a scacchi, nella quale non tutto è bianco e nero, il funzionario che arriva dal nord deve risolvere un problema, in quello Stato dove ancora la segregazione e il razzismo sono la regola.

E l'amore ci mette lo zampino, in una storia di ordine pubblico, dove bisogna raggiungere i risultati, lo sgombero e l'esproprio, senza la forza pubblica.

E Montgomery Clift ci riesce.

Il progresso, il razzismo, le disuguaglianze si scontrano, una lotta tutta da vedere.

C'è l'insopportabile retorica del progresso, a qualsiasi costo, che asfalta tutto il resto.

A parte questo, un gran bel film, Lee Remick e Montgomery Clift sono proprio un bel vedere, e tutti sono bravi, Elia Kazan sa come si fa il cinema.

buona (non razzista) visione - Ismaele


ps: il vedovo di Carol si chiama James Baldwin, sarà un omaggio allo scrittore?

 

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

Per consentire la costruzione di una diga nel Tennessee che metterebbe fine alle periodiche inondazioni che colpiscono la zona, un ingegnere di città cerca di convincere una vecchia signora a vendere la sua terra, destinata ad essere sommersa... Melodramma sudista intriso di passioni che si impernia sul contrasto tra la spinta del progresso e l'attaccamento alle proprie radici sostenuto da un individualismo di stampo pioneristico. Kazan mostra come entrambe le parti abbiano le proprie ragioni e questa complessità rende il film contradditorio ma anche interessante. Grande cast.

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Quando i sentimenti, la libertà (in un paese libero), la vita stessa vengono sepolti da inappellabili scelte "in nome del progresso". Grande sceneggiatura - tratta da due romanzi - e grande direzione di Kazan, Wild River riesce a coinvolgere per i diversi temi trattati, sentimenti, interessi piccoli e superiori, discriminazioni razziali e la bellezza selvaggia di una natura che l'uomo tenta di dominare. Un notevole cast dove spiccano figure femminili determinate più che mai, con le ottime interpretazioni della Van Fleet e della Remick.

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L'azione non è la particolarità di Kazan, ma quello che più gli interessa è affrontare i temi sociali e morali attraverso i suoi personaggi, e qui ce ne sono importanti, come il New Deal ed il razzismo nel sud. Lo scavo psicologico dei personaggi è quello che incide meglio nella storia, la stessa fotografia, abbastanza insolita, di una provincia realisticamente ritratta è assoltutamente di primo piano.La storia d'amore non annacqua il tutto, anzi lo sottolinea in maniera determinata. I problemi vissuti dal di dentro riescono ad acchiapparci la mente senza ricorrere a mezzucci del caso.

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Elia Kazan è stato tra i più controversi autori hollywoodiani:sul giudizio circa la sua figura pesa fortemente il comportamento moralmente condannabile che lo vide commettere un'abiura coinvolgente personalità dello spettacolo che si videro rovinare carriere ed esistenze anche grazie alle sue delazioni.Dal punto di vista artistico,negare la sua importanza sarebbe assurdo:è stato, come è risaputo, uno dei più grandi direttori di attori, e comunque un cineasta spesso capace di saper raccontare storie intense, come questa di "Fango sulle stelle". Una pellicola profondamente americana,che mette in scena molte conflittualità:dal conservatorismo ottuso degli abitanti sul fiume Tennessee che rifiutano di trasferirsi per far posto ad una diga che porti migliorie nell'ambiente e che risparmi vite strappate via dal fiume,alle tensioni razziali, e dall'uomo di Stato che si ritrova coinvolto anche nei sentimenti e nella difficile missione di convincere i più recalcitranti tra gli autoctoni. Se può sembrare un film in cui l'azione latita, drammaturgicamente non cerca il facile effetto del melodramma,ma porta le proprie argomentazioni in fondo con un senso della Storia e del raccontare un aspetto se si vuole marginale ma essenziale della crescita di una nazione.Notevoli sia Monty Clift che Lee Remick, tra i maggiori talenti del cinema americano dell'epoca.

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