sabato 2 settembre 2023

Manodopera – Interdit aux chiens et aux italiens - Alain Ughetto

non è facile vedere questo film senza essere commossi e turbati, sopratutto se tuo nonno (insieme ai fratelli) era emigrato in Francia (e poi in Algeria, che era colonia francese) negli stessi anni dell'emigrazione di Luigi Ughetto e dei suoi fratelli.

e tutti erano, horribile dictu, migranti economici.

non si può essere oggettivi nel vedere e nel parlare di questo film, se provi a immedisimarti negli umiliati e offesi di tutto il mondo, i migranti per primi.

Alain Ughetto, discendente di migranti italiano, fa raccontare la storia della sua famiglia dalle sue creazioni artistiche, i pupazzi in plastilina, vive come non mai.

nonna Cesira racconta al nipote tutte le vicissitudini della loro famiglia, comprese le tristezze e i sorrisi, le speranze e le disperazioni, senza dimenticare quelle merde di preti e fascisti.

alla fine sai che hai visto un film politico, di supereroi, di quelli veri, un film imperdibile.

il film miracolosamente riesce ad arrivare in sala in Italia, in qualche decina di copie, non perdetevelo! - Ismaele


ps: sono andato a controllare su 

https://heritage.statueofliberty.org/passenger  quante volte appaiono i seguenti nomi (presi a caso): 

Meloni 479, Salvini  255, Giorgetti 550, Piantedosi 46, in un arco di una cinquantina d'anni, appaiono sui registri di Ellis Island.

i numeri andrebbero moltiplicati per 3, 4, 5 volte, almeno, tenendo conto anche del Brasile e dell'Argentina.

erano tutti esuli politici o migranti economici?

se esistesse l'inferno, tutti quelli che odiano i migranti economici dovrebbero stare in un girone dove la poca acqua sia salata, non ci siano creme solari, né aria condizionata, e nella zona cineforum possano guardare il film di Alain Ughetto e Il cammino della speranza, di Pietro Germi, per l'eternità.

  

 

 

Una storia che, servendosi della stop-motion, si prende la briga di interferire graficamente con la presunta finzione: c’è questa mano del regista che si intromette nella scena fornendo ai personaggi ciò che occorre affinché ci sia un prosieguo. E fa domande e ottiene risposte da un’anima che si materializza donna e madre, quella della nonna Cesira appunto, a cui presta la voce in lingua originale Ariane Ascaride. Ughetto allora crea rotte che solo apparentemente si localizzano nel passato, nella vita di quei nonni che vanno al di là delle Alpi in cerca di una vita migliore e nel marasma della sopravvivenza si premurano, semplicemente, di amarsi. Ci sono morti, lì nei paraggi, ci sono aerei di guerra, politica e fascismo; c’è il disagio di vivere secondo certe regole, ma a emergere, alla fine dei giochi, è la grammatica elementare di un amore che sconfina oltre il tempo e i luoghi. Come dice Cesira, rispondendo alla domanda se le manca o meno l’Italia: “non apparteniamo a un Paese, apparteniamo alla nostra infanzia”, cioè ai nostri ricordi, a ciò che riconosciamo come “casa”. Manodopera, che è costata all’autore ben sette anni di lavoro, affila poche parole e tanti silenzi, mette in scena poesia intarsiata dalla musica delicatissima e leggiadra di Nicola Piovani e, nello spazio che separa il passato dal presente, infila tutti i presenti e tutto il futuro; tutto l’amore e il dolore di chi parte e chi resta e di chi poi eredita quella vita, quel nomadismo, quelle mani sapienti e quella mania di narrare e creare…

da qui

 

 

 

Ughettera alla fine dell'800. Lì vive la famiglia Ughetto che attraverserà, con la propria condizione di contadini ed operai, la prima metà del '900. Vivranno le guerre a cui gli uomini saranno chiamati e saranno costretti dalla povertà ad andare a cercare il lavoro dove c'è, cioè all'estero, dove però si trova anche la discriminazione per i 'macaroni'.


Quella che con un tono altisonante potrebbe definirsi la 'saga' degli Ughetto viene narrata con profonda dolcezza e partecipazione da un discendente.


La Borgata Ughettera non è un luogo immaginario. È una frazione di Giaveno a poca distanza da Torino ed ai piedi del Monviso. È lì che Alain Ughetto, nato a Lione, è tornato per iniziare a ricostruire le vicende che hanno visto come protagonisti i suoi antenati. Non solo la nonna, con la quale intreccia un dialogo ideale grazie alla calda voce di Ariane Ascaride, ma anche coloro che l'hanno preceduta.

Grazie all'utilizzo della stop motion e di pupazzi in plastilina alti 23 centimetri ha raccontato con dolcezza, ma anche con precisione storica, l'Italia di coloro che vennero definiti come gli ultimi. Di quelli cioè di cui lo Stato si ricordava quando doveva mandarli a morire nelle tante guerre che hanno costellato la prima metà del secolo scorso. Salvo poi non offrire loro altro che la strada dell'emigrazione. Un'emigrazione che li vedeva accogliere perché necessari e al contempo respingere con divieti come quello che compare nel titolo che il padre spiega ai figli con una pietosa bugia. Diventa allora indispensabile chiamare il luogo dove si vive 'Paradiso' per conservare almeno la speranza che lo divenga un giorno.

In un film dedicato allo scrittore partigiano e piemontese Nuto Revelli tornano alla mente le parole di un altro scrittore, lo svizzero Max Frisch che, nel momento di massimo afflusso di emigrati italiani nella sua patria, pronunciò una frase destinata a diventare un monito e un'occasione di profondo ripensamento: "Cercavamo braccia. Arrivarono persone".

Persone e braccia che Ughetto sintetizza mostrando la propria mano in azione nel posizionare oggetti o disporre personaggi. Tante sono state le mani che, di generazione in generazione, hanno duramente lavorato in una sorta di passaggio di testimone. Il regista, tra l'altro, ci ricorda che la storia del lavoro già nel passato non era solo legata al mondo maschile. Quando gli uomini erano in guerra toccava alle donne fare anche i lavori più faticosi.

Un film come questo, grazie alla tecnica adottata e ai toni utilizzati, dovrebbe essere mostrato nella scuola dell'obbligo per ricordare a tutti, sin dalla più giovane età, che il passato del nostro Paese va conosciuto e non dimenticato. Anche e soprattutto quando si pronuncia con disprezzo la parola 'migranti'.

da qui

 

 



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