giovedì 14 settembre 2023

Cobweb - Samuel Bodin

povero Peter, ragazzino maltrattato da tutti (ma non dalla maestra). figlio unico di una coppia perfettina che qualche scheletro nell'armadio (meglio, nelle pareti).

Peter conoscerà la verità su tutto, a rischio continuo della vita.

naturalmente noi parteggiamo per Peter e la maestra Devine, contro la famiglia mortifera.

buona (ragnesca) visione - Ismaele

 

 

 

Ma ciò che rende Cobweb così efficace nell’intrappolarvi tra le sue elusive increspature è la messa in scena di una famiglia perfettamente instabile e snervante. La 41enne Lizzy Caplan (che non bazzicava il genere dai tempi di Cloverfield del 2008) si cala a fondo nel ruolo di Carol, una madre apparentemente da favola che vuole solamente disperatamente apparire come una semplice normale mamma dei sobborghi.

Questo senso di forzata normalità si riflette adeguatamente in Antony Starr, che prende la follia supereroistica del Patriota di The Boys e la avvolge in comode camicie a quadri per poter passare per un bravo padre qualsiasi.

Ma è fin troppo chiaro che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo idilliaco quadretto, qualcosa che sta strisciando piano piano da dietro le pareti di casa e che disturba il loro sogno famigliare accuratamente custodito, qualcosa che sta arrivando proprio per Peter.

Samuel Bodin rivela a poco a poco esattamente quale questa minaccia sia, in un modo che non delude mai (una rarità per i film che si prendono i loro tempi come Cobweb), e impiega le capacità vocali non di uno, ma di due attori esperti – Ellen Dubin e Jesse Vilinsky – per conferire una sottile complessità a ciò che conosciamo solo come ‘la Ragazza’, che sussurra a Peter e gli suggerisce che tutte le sue paure riguardo ai suoi genitori sono corrette.

Il più grande successo di Cobweb risiede così nell’ambiguità, nel condurre per mano la storia verso la sua inevitabile conclusione senza mai sacrificare quella fondamentale qualità per un horror che voglia lasciare un segno.

E anche l’introduzione della centellinata Cleopatra Coleman (vista anche nel recente Piscina Infinita) nel ruolo della Signorina Devine, l’empatica e sospettosa insegnante che cerca di salvare Peter, non appare qui come il solito cliché abusato che potrebbe sembrare all’inizio…

da qui

 

…E non vi è alcun dubbio che, più nel bene che nel male a dirla tutta, un film come Cobweb risulti inevitabilmente fuori dal tempo e, in un certo qual modo, pure fuori tempo massimo; non tanto per la sua voglia di giocare sul pericoloso e tagliente filo degli archetipi – i più cattivoni preferiranno chiamarli cliché -, quanto piuttosto per la sua straordinaria capacità d’incutere una sana, genuina e fottutissima paura. Una paura d’altri tempi, non c’è che dire, di quando, per l’appunto, i beneamati filmacci de paura non volevano far passare a forza (e per forza) subliminali messaggi politici o schierasi pro o contro il dato gruppetto etnico o minoranza offesa, preferendo piuttosto arrivare spensieratamente al nocciolo dell’orrorifca questione evocando quei semplici e onesti brividi che ogni affamato cinefilo, per quanto snob o di palato fino, da sempre brama.

Stavolta ad aver paura non è certo l’ipocondriaco Beau partorito dalla surreale fantasia di Ari Aster, quanto piuttosto il giovanissimo Peter (Woody Norman) messo in scena dal buon Samuel Bodin: un ragazzino fragile, solitario, ferocemente bullizzato e prigioniero delle maniacali cure di due genitori (Lizzy Caplan e Antony Strarr) che, dietro al loro opprimente affetto e al tassativo divieto di racimolare dolciumi di Halloween nello stesso quartiere in cui una pischellina fece misteriosamente perdere le sue imberbi tracce, paiono nascondere qualcosa di losco. Ma il profondo disagio del nostro piccolo protagonista – subodorato lontano un miglio dalla nuova scaltra supplente Miss Devine (Cleopatra Coleman) – non potrà che trasmutarsi in autentico terrore notturno quando, insieme a strani rumori e inquietanti incubi d’ordinanza, una raggelante vocina inizierà a far capolino da dietro una crepa nel muro della solitaria e lugubre cameretta. Una voce da un altro luogo piuttosto che da un altro mondo, la quale accompagnerà il tutt’altro che dolce sonno del terrorizzato fanciullo con disperate richieste di aiuto e la scioccante affermazione di essere nientemeno che la sua mai conosciuta né nominata sorellina Sarah, rinchiusa tempo addietro da quegli stessi Mamma e Papà che paiono ormai sempre più intenzionati a replicare il macabro copione anche con quello che, alla luce dei fatti, parrebbe essere non più il loro primo ma bensì secondogenito. I panni sporchi, dunque, tocca sempre e comunque lavarseli in famiglia; almeno stando a quanto il cinema de paura dell’ultima decade pare averci voluto opportunamente insegnare a forza di pellicole che, come lo svedese The Other Side, il misconosciuto Dreamkatcher e il sorprendente Son di Ivan Kavanagh, sprangata la porta e serrate le imposte hanno permesso al Male di scatenarsi fra e sopratutto dietro le quattro mura di quell’accogliente alcova nella quale ogni sera, al ritorno dalle quotidiane occupazioni, siamo soliti appende borsetta, zaino e cappello…

da qui

 

 

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