venerdì 29 settembre 2023

Soleil Ô - Med Hondo

il film è del 1967, ma potrebbe essere l'Europa di oggi, che non si è evoluta, è solo peggiorata.

prima fanno loro il lavaggio del cervello, sono tutti figli dei Galli, la religione è quella della croce, che rovesciata è anche la spada.

come Borrell oggi, gli si dice che non hanno cultura,  che l'Europa è un paradiso, che non valgono niente, mentre i colonialisti rubano tutte le risorse economiche.

e loro ci vanno, in Europa, fidandosi dei colonizzatori, a cui serviva carne da cannone negli eserciti francesi del novecento, e poi manodopera sotto qualificata, e sotto pagata, quasi schiavi, felici di esserlo, braccia, ma non persone.

un film che sembra girato oggi, pieno di amara ironia, saturo del razzismo dei poveracci contro gli ultimi arrivati, che usano le terribili parole dei governanti d'oggi, il tempo si è cristallizzato, l'invasione africana, il furto dei posti di lavoro, la negritudine, ecco qualche colpa di questi africani, le parole d'ordine sono quelle, è un film che disvela i meccanismi di dominio imperiale, culturali ed economici.

il film termina con la speranza e la disperazione degli eroi antirazzisti, anticolonialisti, rivoluzionari, già ammazzati come Lumumba, e con i giorni contati come Che Guevara.

un film da non perdere, se vi volete bene. 

buona (ringraziando Scorsese) visione - Ismaele

 


QUI il film completo, con sottotitoli in italiano, su Raiplay

 

 

 

“Soleil Ô” intona l’urlo di resistenza, un attacco al capitalismo occidentale e alle radici del colonialismo. Il debutto del mauritano Med Hondo figura un exploit doloroso, stilisticamente detonante, intriso di rabbia e grottesca ironia; racconta le paturnie burrascose di un immigrato (Robert Liensol) che abbandona il continente d’origine espatriando in Francia alla cerca di arricchimento culturale e benessere; scopre presto una nazione ostile ove la stessa esistenza suscita paura e amarezza. Lo svolgimento della vicenda indice i segni di una civiltà universale incarnata nella metropoli e la consapevolezza inquietante di una tensione irriducibile; è difficile trovare un’occupazione, i sogni si rovesciano in delusione. Lo straniero vive l'esilio come un susseguirsi di incontri: una conversazione con il titolare di una fabbrica che conferma il pregiudizio e la discriminazione degli autoctoni; una cena assieme a un locale, il quale discerne il problema della segregazione; una breve relazione legata a una donna caucasica, stemperata in una serie di deprimenti constatazioni impregnate di stereotipi. L’educazione e le capacità pratiche, effettivamente, non contano, giacché, secondo la gente del posto, l'avventizio “visitatore” ha un’etichetta, e tutte le altre caratteristiche (appartenenza territoriale, eredità intellettuale, credenze, professione) rientrano in questa classificazione. Nella babelica orchestrazione dei risvolti sono palpabili effetti di straniamento brechtiano, un rifiuto di personaggi psicologizzanti a favore di un'attenzione alle sovrastrutture collegate, in modo da consentire allo spettatore di appurare chiaramente i fenomeni in questione senza esserne direttamente interpellato. Il virtuosismo artistico fluisce in un'ampia gamma di tecniche che rinnovano e riformulano la grammatica narrativa, dalla digressione agli improvvisi scarti extra-diegetici (bellissimo il prologo animato che vira verso la condensazione astratta rispetto alla consueta rievocazione letteraria): queste “devianze” stornano le comuni proprietà associative del pensiero umano. Quando ad esempio l’umile crociato consulta un sociologo che sta indagando sullo status e sul valore dell’operato dei migranti nell'economia, la scena diventa un’analisi ficcante dell'estrema violenza nascosta nel linguaggio tecno-burocratico; invece di essere riprodotta interamente, la traccia viene estesa in quasi mezz'ora, lasciando ripetutamente esplorare altri intrecci vagamente o apertamente correlati: un'illustrazione potente e schiacciante sulle stentate condizioni di chi sta ai margini. Un altro dei segmenti più iconici setaccia, come accennato, la possibilità di una storia interrazziale. La rappresentazione fonde finzione e saggistica. I partner camminano sugli Champs-Elysées e i passanti lanciano occhiate indignate, avvertendo shock, incredulità e rifiuto di accettare; gli strimpelli degli animali da cortile fanno da contrappunto ai fotogrammi, postulando un illusorio apogeo cosmopolita. Il taglio sperimentale dell’audio, ripartito in dialoghi, percussioni energiche e rumore asincroni, innescherà pertanto il climax agli incresciosi avvenimenti. Impreziosiscono la visione d’insieme il bianco e nero graffiante in formato 16mm, e ovviamente uno scavo drammatico degno di lode nel ruolo del pacato Liensol. L'intenzione di Hondo, in questo excursus afro-diasporico che ribatte l’utopistica idea di un ”impero evoluto”, era di trasformare l'esperienza del singolo individuo senza nome in conoscenza collettiva: un’impresa trionfante da assimilare lentamente.

da qui

 

Ci siamo trovati a essere artisti ‘di colore’, come si dice di solito, per puro caso. Insieme a Parigi sostanzialmente per le medesime ragioni, Bachir, Touré, Robert e io ci siamo trovati nel bel mezzo di un paese, di una città, nella quale rimediare di che vivere, in parole povere, dove lavorare: essere un attore, un musicista, un cantante. E dove, però, ci si è subito resi conto che le porte erano chiuse […]. Allora, per uscirne, abbiamo pensato di formare tutti insieme un gruppo teatrale e, nell’attesa, abbiamo realizzato tutti insieme Soleil Ô. Per fare il film abbiamo dovuto scavalcare tutti gli ostacoli burocratici e materiali, in altri termini trovare un produttore e dirgli: “È il miglior soggetto che ci sia, perché ci crediamo”. Per sentito dire, “se si è bravi a parlare, si è bravi anche a fare un film”. Ebbene, abbiamo fatto Soleil Ô senza un centesimo […]. Tutte le scene sono ispirate alla realtà. Perché il razzismo non s’inventa, soprattutto al cinema. È una specie di mantello che ti mettono addosso, con cui sei obbligato a vivere. Anche la scena della confessione, all’inizio: in effetti, nelle Antille dove sono nato, ai bambini, quando andavano a confessarsi, insegnavano a nominare come peccato il fatto che sapevano parlare il creolo. Ma so bene che il cinema da voi definito cinema-verità ha sempre evitato di dire cose del genere. L’unica cosa che ha fatto in questo senso è stato prendere dei volti di neri e mescolarli alla folla. Per mostrare che più l’Occidente tenderà economicamente a espandersi, più avrà bisogno di manodopera nera. E così l’Africa resterà un continente sempre più sottosviluppato: dire il contrario è dire il falso […]. L’idea iniziale era quella di far vedere tutti i luoghi deputati, privilegiati dai turisti, gremiti unicamente di neri. D’improvviso si vedeva il Sacré-Cœur e si vedevano solo neri. Sarebbe stato un bell’impatto cinematografico. Solo che l’idea è rimasta sulla carta, non si è riusciti a tradurla in immagini.

Med Hondo, “Jeune Cinéma”, giugno-luglio 1970

da qui


A furious howl of resistance against racist oppression, the debut from Mauritanian director Med Hondo is a bitterly funny, stylistically explosive attack on Western capitalism and the legacy of colonialism. Laced with deadly irony and righteous anger, SOLEIL Ô follows a starry-eyed immigrant (Robert Liensol) as he leaves West Africa and journeys to Paris in search of a job and cultural enrichment—but soon discovers a hostile society in which his very presence elicits fear and resentment. Drawing on the freewheeling stylistic experimentation of the French New Wave, Hondo deploys a dizzying array of narrative and stylistic techniques—animation, docudrama, dream sequences, musical numbers, folklore, slapstick comedy, agitprop—to create a revolutionary landmark of political cinema and a shattering vision of awakening black consciousness.

SOLEIL Ô was restored as part of the African Film Heritage Project, an initiative created by The Film Foundation’s World Cinema Project, the Pan-African Federation of Filmmakers (FEPACI), and UNESCO, in collaboration with the Cineteca di Bologna, to help locate, restore, and disseminate fifty African films with historic, artistic, and cultural significance. Restoration funding was provided by the George Lucas Family Foundation and The Film Foundation’s World Cinema Project.

da qui

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