lunedì 29 giugno 2020

Trabalhar Cansa - Marco Dutra, Juliana Rojas

i registi di quel grandissimo film che è As boas maneiras girano un film inquietante, nel quale protagonista è uno strano animale, forse una proiezione del malessere dei due protagonisti, o forse una presenza altra nella vita di tutti i giorni.
un negozietto pieno di problemi e di misteri è un altro protagonista del film, c'è un'ombra di minaccia costante, e non è semplice sfuggire.
merita la visione, promesso - Ismaele





…La trama del film ruota intorno alla figura di Helena, una giovane casalinga che decide di dare una svolta alla sua vita, aprendo un’attività in proprio nel suo quartiere: un piccolo negozio di generi alimentari. Così, per occuparsi della casa e della figlia, assume una cameriera di colore. Nel frattempo però, Otávio, il marito, viene licenziato. Ora su Helena non solo peserà tutta la gestione economica della famiglia ma anche lo squilibrio dell’inevitabile inversione di ruoli nella coppia. Per non parlare degli strani fenomeni che accadono nel negozio...

Siamo nelle zone di un cinema grottesco che ha però la capacità di non forzare la mano, di far avvertire effetti straniante, di trasformare un luogo – il locale appunto – come un sepolcro animato che respira, che mette in atto una sorta di vendetta per essere stato invaso e dove l'umidità sul muro potrebbe essere il suo sangue. Al tempo stesso però Trabalhar cansa è anche un film sulla crisi di coppia e su una depressione individuale. Si è sempre sotto l'angolazione prospettica di Helena dove tutto però le sfugge di mano, anche il suo ruolo in famiglia, rimpiazzata dalla madre e dalla domestica che si occupa della figlia. L'ambientazione è spesso tetra ma la pellicola riesce comunque a dosare questa persistente oscurità con una giusta ironia, evidente nella rappresentazione del mondo del lavoro e nel finale (forse) liberatorio, ulteriore esempio di un film dalle molte facce, che va alla ricerca di soluzioni comunque non scontate. Non tutte fanno centro, molte si.

Trabalhar cansa presenta con nitore documentaristico un contesto ultraquotidiano che poi sporca progressivamente di orrorifico attraverso una sequenza di elementi paradigmatici, per collocarsi, infine, in quel genere "fantastico" che è anche uno degli abiti del cinema sociologico. Gli elementi posizionati e reperiti sul luogo del mistero, rigorosamente sempre più buio e freddo nella fotografia, sono un dente, una mano... pezzi di un organismo che cresce fuori vista, alimentato prima dalla fragilità poi dalla paura e infine dall'angoscia dei protagonisti, e macabra proiezione degli oscuri sommovimenti dei loro animi. L'esorcismo, a questo punto, è intonato ma anche prevedibile.

A estréia em longa-metragem da dupla Juliana Rojas e Marco Dutra tem algo de diferente no panorama do cinema brasileiro atual. Enquanto a tendência geral é colocar a afetividade no centro, em geral com certa doçura inocente ou uma afirmação positiva das relações, como se o afeto fosse capaz de salvar as pessoas da tragédia do mundo, Trabalhar Cansa é um filme político, no sentido mais puro que a palavra pode ter – já que o termo “cinema político” desgastou-se como uma grife nos últimos 40 anos – pois coloca as relações humanas como centro de sua problemática, mostrando uma crise. É um filme de pessoas no mundo: pessoas em conflito, o homem como ser social, como um animal num mundo que lhe é hostil e cuja existência harmônica lhe parece estranha. O mal-estar na civilização…

domenica 28 giugno 2020

Boca de Ouro - Nelson Pereira dos Santos

la storia di un delinquente chiamato Boccadoro raccontata da Guigui, una delle sue amanti.
la storie, nel suo racconto, si moltiplicano, diventano tre, ma non sapremo mai se, e quale, una delle tre è vera.
l'apparire nella società dello spettacolo, per Guigui, è una tentazione troppo forte, e di storie ne racconta addirittura tre.
anche nel Brasile degli anni sessanta il fascino dell'informazione (spazzatura?) iniziava a mietere le sue vittime.
un film che merita molto, Nelson Pereira dos Santos è un grande (nel film cita, en passant, il neorealismo italiano).
buona visione - Ismaele



Il quinto film del regista carioca ricompone la personalità di un onnipotente boss malavitoso (Boca de Ouro) con il metodo dell’inchiesta giornalistica retrospettiva (Quarto potere) e della relatività del vero (un medesimo evento è riportato in differenti versioni, come in Rashomon) unita ad una descrizione esplicita dei contesti sociali mutuata sia dal noir statunitense che dal neorealismo italiano (in una battuta è chiamato in causa proprio De Sica). Oltre al titanico Valadão, tra gli altri ottimi attori figurano Filho e Cândido, rispettivamente il futuro regista e l’Anìbal di Dancin’ days.

Essa, que é uma das melhores adaptações da obra de Rodrigues e um dos melhores filmes do cineasta, consegue uma aproximação que, mesmo sem ser completamente destituída de uma certa verve autoral, possui relação direta com a estrutura do filme de gênero. As diversas versões do mesmo fato (que evocam de imediato o célebre Rashomon, de Kurosawa, correspondência ao qual já fora associada à própria peça) não só relativizam a questão da autenticidade da narrativa – questão que pouco importa ao filme – quanto, e mais importante, demonstram que sua construção está diretamente associada aos interesses e ao estado emocional do narrador. Nesse sentido, a primeira versão é extremamente negativa e crua a respeito do personagem, repleta do ressentimento da ex-amante, enquanto a segunda é altamente afirmativa, marcando seu choque inicial com a morte do mesmo e a terceira procura demolir o mito e minimizar sua bravura, selando seu passaporte com a continuidade da vida ao lado de sua família. Nesse sentido, a fuga do casal ao final, é uma estratégia do cineasta para aludir a uma possibilidade de futuro desvinculada da mediocridade moral e ética até então destilada, marcando uma simpatia com os valores do “homem comum” mais próximo dos ideais do Cinema Novo que da dramaturgia de Rodrigues…

Tratto da una storia di Nelson Rodrigues, la storia prende inizio dopo la morte di un importante allibratore. Un giornalista va ad intervistare una delle sue ex-donne, e questa a seconda del suo stato d'animo dà tre versioni differenti della storia dell’allibratore Boca de Ouro. L'ambientazione è tutta nei sobborghi urbani di Rio, dove Nelson Rodrigues era riuscito a ritrarre con molta perspicacia la realtà della marginalità carioca. Anche se differente dai primi due film su Rio, anche in Boca de Ouro, Nelson Pereira dos Santos continua a mostrare l'altro Brasile, dalla povertà della favela alla marginalità del sobborgo urbano.

sabato 27 giugno 2020

Tyrel - Sebastian Silva

come in Magic Magic un gruppo di persone, tutti maschi,  passano un fine settimana in una casa di campagna, in un posto dove neanche il telefonino riesce a funzionare.
non succedono troppe cose, alcool e droga fanno la loro parte importante, il problema è che Tyler (o Tyrel) è l'unico nero, e, anche se nessuno è ostile, lui si sente a disagio, sarà una brutta sbronza, qualche battuta, o il peso di secoli di oppressione che non possono essere cancellati.
non succedono fatti esplosivi, come in Magic Magic, ma niente è sereno, c'è una tensione che non cala mai.
da non vedere in parrocchia o alla Casa Bianca.
buona visione - Ismaele








Paradossalmente, il fatto di non esplodere è ciò che lo fa brillare. Nella sua costante “passività”, Tyrel riesce a risvegliare una sorte di urgenza, una provocazione che ha a che fare non tanto col fatto di mettere insieme delle problematiche attuali come migrazione, razzismo, la politica di Trump e il futuro incerto delle minoranze negli Stati Uniti e nel mondo, ma di renderle quotidiani, vicine, ordinarie. Di farci sentire anche a noi parte del selfie ma allo stesso tempo un corpo estraneo, alieno. Di evidenziare il fatto che ormai la nostra stranezza, il nostro disagio, il senso di appartenenza, non dipende tanto di quale materia siamo fatti, della nostra condizione o sostanza, ma – proprio come nel Cinema – dal punto di vista. Dal nostro sguardo e dallo sguardo degli altri. Ecco la nostra condizione e la bellezza della proposta di Silva, che è allo stesso tempo la scelta di un’immagine, di una parola al volo o un silenzio lungo, di una handycam che non si ferma, di una foto che si scatta e rimane lì, rendendo un attimo infinito, mentre il mondo continua a muoversi.

…Nella stessa situazione in cui un bianco percepirebbe sé stesso semplicemente come a disagio, tra estranei che lo mettono in difficoltà, Tyler percepisce sé stesso come in pericolo e legge la realtà con l'occhio deformato di una paura che rappresenta lo scheletro della vicenda molto più dei singoli accadimenti che la compongono. Tyrel in questo senso delude chi si aspetta le svolte narrative di Get Out, ma ne raccoglie parte del discorso: scompare l'intento didattico ma resta il disagio, scompare la storia ma resta il modo in cui interpretiamo ciò che accade a seconda del posto che sentiamo di occupare in quella situazione. Il fatto che essere un afroamericano significa occupare costantemente un posto un po' più in basso degli altri, vedere il mondo da una posizione più precaria e dunque con una diffidenza che spesso si rivela semplice istinto di autoconservazione non è soltanto una chiave di lettura qui ma la vera sostanza di un film che ragiona brillantemente sui meccanismi del potere sociale che influenzano la nostra visione di noi stessi.

Tyrel e’ il nome del giovane protagonista di questa vicenda che si svolge durante un week end in una casa nei boschi a Catskills, fuori New York. Lui e l’ amico Johnny sono invitati a una festa di compleanno, fa freddo, è quasi inverno. All’arrivo di tutti gli invitati Tyrel scopre di essere l’unico ragazzo di colore tra un gruppo di ragazzi maschi bianchi, che molto probabilmente finiranno per ubriacarsi. Tyrel non vuole darlo a vedere, ma comincia ad avvertire un profondo e crescente disagio nonostante tutti lo accolgano normalmente e dimostrino essere tranquilli e rilassati. Il film ha una sceneggiatura semplice ma si rivela profondo ed elaborato. Attraverso una leggera suspense emergono paure inconsce che risiedono nella psiche umana, specialmente in riferimento ad atti violenti e gratuiti perpetrati dall’uomo bianco verso popolazioni diverse e sottomesse dallo stesso. Il lato psicologico del personaggio principale è approfondito con serietà e il film non è da considerarsi di genere. Risulta anzi essere un’ opera importante che sa far riflettere in modo educativo.

There is probably more religious turmoil here than actually racial, and the story progresses with a nonsensical self-contentment without delivering a single thrill. It doesn’t take us too long to understand Silva’s idea, in the same manner that we realize that the aimless script is populated with under-written characters. Tyrel breaks at the weight of its own ambition, feeling like an undergraduate exercise in tension. Sadly, even that tension is wasted. 
da qui

giovedì 25 giugno 2020

Capitano Kóblic - Sebastián Borensztein

un militare con sensi di colpa, pilota di un aereo dei voli della morte, abbandona il lavoro, e fugge e si nasconde.
e trova anche un po' d'amore e un cane.
vendette su vendette, come se fosse un film western.
Ricardo Darín è perfetto per la sua parte, non si capisce mai se fanno le sceneggiature e poi lo cercano o se scelgono prima lui e poi gli cuciono addosso una sceneggiatura, ma cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia.
buona visione - Ismaele





Capitán Kóblic tiene toda  la estructura del típico Western crepuscular, un personaje misterioso que quiere olvidar su pasado, el sheriff corrupto y como no podía faltar, la chica que está esperando al hombre que venga a sacarla de ese inmundo pueblo. Todo ello en el interior de la Pampa argentina y con la dictadura del militar Videla de fondo…

El guión es correcto, los flashbacks no aportan nada, salvo uno en la parte final y destaca a nivel técnico y artístico y podría tener varias candidaturas en los próximos premios Goya teniendo en cuenta que es una coproducción de Argentina y España. Su fotografía es sobria y su banda sonora y sonido de calidad. El final es convencional y las escenas de acción se resuelven de manera rápida lo que contrasta con el ritmo pausado del resto de la película.
La historia mantiene la tensión y el suspense pese a no sorprender el desenlace de las escenas. Puede gustar a casi todo tipo de público, exceptuando a los adolescentes. Recomendable en especial a los mayores de 40 años…

'Capitán Kóblic' es una película áspera, llena de silencios, de secretos nunca confesados, de tormentos internos, de amores furtivos y dolorosos, y en la que late la violencia como metáfora de una sociedad podrida y esclava del horror. Y es además un magnífico western con resonancias noir, tenso, trágico y solemne, de una contenida crudeza emocional y una perturbadora ambigüedad moral. Una estupenda película acerca del miedo, a los demás, y a uno mismo.

Suele decirse que lo mejor para un héroe es tener un buen villano, y aquí tenemos a un antihéroe en fuga interesante, con una buena historia de pasado que vuelve para atraparle, pero al que le falta más respaldo por parte de sus compañeros de viaje. Sólo el personaje de Inma Cuesta le ofrece ese respaldo, pero en general está como un náufrago en una isla, y eso perjudica al total de la película. Por otra parte, el tema de la culpa es interesante y está manejado de manera práctica con unos flashbacks que no frenan el ritmo del relato, aunque su parcelación acabe por diluir su fuerza en el conjunto del mismo. Finalmente la parte de western está sugerida en toda la película, pero no encuentra pleno desarrollo hasta ese duelo final de manera algo atropellada, lo que la deja convertida en mero guiño cuando en realidad podría haber sido un elemento mucho más contundente en todo el conjunto.

mercoledì 24 giugno 2020

Temporada de patos - Fernando Eimbcke

quattro personaggi che hanno trovato un autore, con una bella storia e un bravo regista.
Moko e Flama sono fue amici lasciati soli in casa, Ulises è il portapizze e Rita la ragazzina dell'appartamento vicino che si introduce per preparare una torta.
e da un'ostilità per niente nascosta nasce un incontro.
non perdetevi questo gioiellino di film - Ismaele




Esta película es la prueba de que lo único que hace falta en el cine es tener una buena idea y saber contarla con un presupuesto que se ajuste a las necesidades de la narración. Temporada de patos es una película de cuatro personajes: dos amigos enfrentados a una larga y aburrida tarde de domingo en un horrible apartamento de clase media; una vecina con problemas de soledad, y el repartidor de pizza que querría ser otra cosa. Se encuentran encerrados con un solo juguete, ellos mismos, en esa surrealista tarde de domingo filmada en blanco y negro y planos fijos…

Una comedia de esas que dejan un regusto amargo a la larga. Risas y después lágrimas (o tristeza o melancolía). Y qué peor que un domingo por la tarde para padecer esos sentimientos. Pocos momentos tan factibles de acabar en suicidio. Unos adolescentes se verán dueños de un departamento a raíz de la salida de la madre de uno de ellos. Una tarde que se presenta libre de mandatos, llena de videojuegos y de la práctica de la nada sin reclamos se verá modificada por dos presencias: una vecina que pretende cocinar una torta para festejar su propio cumpleaños, y el muchacho del reparto de pizza que pretende cobrar –ante la negativa de los chicos– aduciendo que ha llegado a tiempo con el pedido. Como una obra de teatro que respeta tiempo y espacio, todo sucederá en esas horas y en ese ámbito cerrado. Una película del Nuevo Cine Argentino... pero mexicana. Drogas, besos, juegos sexuales, toma de decisiones. Humor absurdo pero que fluye naturalmente. Un cuadro filmado en blanco y negro que habla de migraciones, cambios y solidaridades. Y divide aguas: o te cae simpática (como a mí) o la odiás sin remedio. Quizá le falten algunos ajustes pero resulta fresca, amena y, en su liviandad, meritoriamente, se despega de vanas pretensiones sin volverse light.

Temporada de patos -dirección y guión- es una película clásica, en el sentido de normal: tiene mucho apoyo en los diálogos, en lo que se cuentan ellos, en lo que les sucede, aunque suceso y diálogo sean del género mínimo cotidiano. Hay también algún juego de imagen, expresiva por sí misma. Y desde luego hay un ágil tratamiento del espacio -limitado-, lleno de inventiva en los cambios y en los encuadres. Pero sobre toda esa indudable variedad -a veces sorprende-, lo que pesa es la presentación valiosa de estas cuatro vidas, o de sus situaciones vitales sólo temporales.
Hay poesía verdadera, es decir, lenguaje no racionalizado. Y eso arrastra la sugerencia, la hondura en la mirada a las personas, y hay ternura, la buena, la que surge de una fuente honda de amor.

Yes, some of the dialogue is funny. One or two developments are a surprise. But not real funny, and not a big surprise. When the dispute with the pizza man comes up, it's not so much about the money, more about their gratitude for something to argue about. The title of the movie comes from a painting hanging on the wall of the apartment, the kind of painting that nobody ever buys but that walls seem to acquire. It shows ducks in flight.
Perhaps the migration of the ducks foretells the lives of these four young people who are about to take flight. Whither, midst falling dew, while glow the heavens with the last steps of day, far, through their rosy depths, will they pursue their solitary ways? Sister Rosanne promised us if we memorized a poem we would use it someday. It looks like she was right.

martedì 23 giugno 2020

L'incarico - Christian Duguay


una tripletta di attori navigati (Donald Sutherland, Aidan Quinn, Ben Kingsley) non sono sufficienti a fare un bel film.
Christian Duguay è bravo, ma qui si è fatto incastrare da una sceneggiatura deja vu e noiosa.
quell'espressione un po' così che abbiamo noi che abbiamo visto
Carlos, di Oliver Assayas, è l'espressione che significa che non c'è partita.
io a metà de L'incarico non ce l'ho fatta più.
vedete voi, se potete - Ismaele





Un ufficiale della marina americana, somigliante come una goccia d'acqua al pluri-ricercato Carlos, viene ingaggiato da Cia e Mossad per incastrare il pericoloso terrorista... Cast di tutto rispetto (Sutherland non è uno specchietto per allodole ma co-protagonista insieme ad occhio-ceruleo-Quinn ed anche Kingsley ricopre un ruolo importante) per un film piuttosto scialbo che non riesce a sfruttare il potenziale della storia, ricalcando il tema del doppio senza fantasia e senza neppure guizzi spettacolari. Routine perdibile senza rimpianti.
Spy story di routine, con una regia discreta che si esalta soprattutto nelle scene action (c'è un bell'inseguimento prima a piedi poi in auto) ma che non riesce a rendere interessante un intreccio che va per le lunghe. Il cast può contare su Sutherland e Kingsley in ruoli importanti, mentre Aidan Quinn nonostante si sdoppi non lascia il segno. La fine sembra interminabile, con troppe postille a diluire il brodo. Mediocre.
da qui 

domenica 21 giugno 2020

Diamantino - Il calciatore più forte del mondo - Gabriel Abrantes, Daniel Schmidt

un calciatore portoghese bravissimo diventa, a sua insaputa, lo strumento della destra fascista, meno divise e più pubblicità e tecnologia, per far diventare il Portogallo grande come un tempo.
Diamantino è il più tonto del mondo, ma ancora di più è buono e innocente.
ha due sorelle streghe che lo usano e gli rubano i soldi, ma meno male che c'è Aisha.
è un film molto strano e un po' folle, ma merita sicuramente - Ismaele




Diamantino, interpretato con superbo candore da Carloto Cotta, sa tutto del pallone ma niente del mondo su cui alza di colpo lo sguardo, interessandosi alla causa dei rifugiati e scivolando nelle spire di una machiavellica organizzazione fascista che, in un'ottica da Brexit sud-europea, sogna di allevare un esercito di giocatori "da Mondiale". La strumentalizzazione dello sport per indurre artificialmente la felicità nazionale è un'espediente vecchio come il mondo ma gli autori vanno oltre, puntando il dito sulla situazione attuale del Portogallo, dove il miracolo economico è una pubblicità per turisti e gli idioti del calcio la somatizzazione di una società malata. Dentro questa bolla di disfunzioni contemporanee pronta a esplodere, Abrantes e Schmidt costruiscono una riflessione sul genere.

Será que Portugal está preparado para DiamantinoGabriel Abrantes e Daniel Schmidt arriscam, sem pudor, e dão asas à imaginação e extravagância, para nos oferecem uma comédia viciante e original sobre um jogador de futebol muito ingénuo e o mundo que o rodeia.
Não se sabe como o país irá reagir a esta paródia inesperada. Não há medo, nem vergonha. Há elementos extremamente "fofos" e outros quase diabólicos, há amor, enganos, não há complexos, há ciência, refugiados e nacionalismos. Entre a política e os relvados, certo é que a vida de Diamantino leva uma reviravolta.
Diamantino, a maior estrela de futebol do mundo, perde o talento e a sua carreira acaba em desgraça. À procura de um novo objectivo de vida, o ídolo internacional começa uma odisseia - qual Ulisses - que mistura neofascismo, adopção, a crise dos refugiados, modificação genética e a busca pela origem da genialidade…

Il tono del film è volutamente sopra le righe, parodico ma mai volgare, in equilibrio tra la commedia dell’ambiguità sessuale del primo Almodóvar e la comicità surreale del “bello bello bello in modo assurdo” dello Zoolander di Ben StillerAbrantes e Schmidt dichiarano di essersi ispirati al Balthazar di Bresson nel disegnare il personaggio di Diamantino ma al di là della battuta sarcastica, nello stupore catatonico e nell’ingenuità di Diamantino si possono ritrovare sia echi di Forrest Gump che di Chance il giardiniere. Anche i personaggi di contorno sono rappresentati con questa connotazione surreale: le due sorelle Sonia e Natasha (Anabela e Margarida Moreira) si arrabbiano all’unisono e sembrano la degenerazione parodica di Felicita e Adelaide ne La bella e La bestia di Jean Cocteau, l’agente dei servizi segreti Lucia (Maria Aleite) si traveste da suora con un copricapo felliniano, la Dr. Lamborghini (Carla Maciel) cerca la impossibile chimera da clonazione come un moderno Dr Frankstein, Aisha (Cleo Tavares) si traveste da maschio e perde le connotazioni lesbiche per tuffarsi in una storia transgender…

… Folle, incontenibile e complottistica opera di coppia di Gabriel Abrantes Daniel Schmidt, Diamantino utilizza un ipotetico fac-simile dell'eroe mondiale del calcio degli ultimi anni, lo sportivo per eccellenza, il calciatore perfetto che è persino inutile nominare qui, tanto la sua icona appare evidente, e a cui il bello ed aitante attore Carloto Cotta (già visto nei film di Manuel Gomes e Raul Ruiz) fornisce appropriate, atletiche sembianze, per raccontarci di un farneticante complotto kitch dell'umanità insaziabile, ai danni di un essere superiore, e che proprio per questo, appare inevitabilmente soccombere dinanzi a cotanto cinismo, appannaggio di una umanità bieca ed approfittatrice che usa l'eroe a suo piacimento, per rendere possibile ogni stratagemma per sfruttarlo come un oggetto a scopo di lucro.
Ne scaturisce un film bizzarro, pop, assurdo, che ricorda, come stile ed eccentricità di situazioni surreali, alcune opere sperimentali, colorate e forti, di Derek Jarman, mentre come contenuti e situazioni, l'incedere sacrificale e solenne di certi martiri sexy e santificati presenti mel cinema di Joao Pedro Rodrigues (O Ornitologo su tutti).  
Un'opera ambigua, disarmante, sexy ed eccessiva, che fa dell'assurdo, la propria idonea e coerente ragione strumentale per confutare l'imbarbarimento di una società votata verso un capitalismo sfrenato e cannibale, in grado più che altro di creare mostri, e facendoli assurgere allo status privilegiato di icone, al servizio di una civiltà che si nutre di se stessa, spolpandosi ed autodistruggendosi inesorabilmente. 

Abrantes e Schmidt mettono all'indice una società neoconservatrice, machista e in chiusura, alla quale se ne deve contrapporre un’altra  fatta di buoni sentimenti ed empatia, nella quale anche l'androginia e l'ermafroditismo sono bene accetti. Come in tanti film a carattere sportivo, anche la parabola di Diamantino prevede un epilogo risolutivo, solo che stavolta non vediamo il campione riprendersi il proprio trono nel mondo dello sport (ci sarà però un ultimo incontro con gli amati cucciolotti) ma indubbiamente avrà acquistato una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda. Si diventa grandi e non si gioca più...sì, decisamente un messaggio che non sarà condiviso da chi ama andare allo stadio. Grazie alla direzione artistica di Cypress Cook e Bruno Duarte e alla (anche troppo) sgranata fotografia di Charles Ackley Anderson, Abrantes e Schmidt ci regalano un colorito apologo pop e camp che sicuramente è animato da valori positivi. Peccato che il percorso cui lo spettatore è chiamato ad assistere alla fine si riveli abbastanza faticoso anche per le azzardate simbologie messe in scena.

La película se desarrolla a base de situaciones extravagantes, bizarras, improbables o imposibles, pero siempre divertidas. Pero va más allá, al convertirse en una sátira surrealista que critica muchas de las actitudes de la sociedad actual. Habla de crisis económica, de la crisis de refugiados, de la identidad de género, de paraísos fiscales, del Brexit (trasladado a Portugal, que se plantea construir un enorme muro a lo largo de toda su frontera terrestre). Y lo hace de modo inteligente, y consiguiendo sacarte más de una carcajada. Además, por si fuera poco, hay dos gemelas malvadas (las hermanas del tonto futbolista que no están dispuestas a perder su dinero porque Diamantino quiera dejar el fútbol) y un montón de cachorritos peludos (más monos ellos…) ¿Qué más se puede pedir?

sabato 20 giugno 2020

Il declino dell'impero americano - Denys Arcand

il titolo nasce da una citazione di un libro che è perfetta per il film.
siamo in un fine settimana, in una casa in riva a un lago, vicino a Montreal.
otto amici e amiche, quasi tutti insegnanti universitari, parlano e parlano e parlano e a volte soffrono, perché la verità fa male.
si parla di sesso, sopratutto, il motore del loro annoiato mondo borghese, e non esiste altro, al di fuori di loro stessi.
un mondo chiuso, in estinzione.
intanto si divertono, forse, ma non troppo.
uno sguardo cinico e crudele a un piccolo mondo (antico?) cinico e crudele.
merita la visione, questo è certo - Ismaele




it is not the physical activity of sex that the characters in this movie are really talking about. They're discussing the meaning of sex, the object of sex, the embarrassment and guilt, the ambition and silliness of sex. To them, as to so many civilized people, good sex boils down to winning the admiration of someone you admire. They'd rather have a mediocre time in bed with the right person than a great time with the wrong one…

La storia ruota intorno a quattro coppie medio-borghesi che trascorrono il week-end nella casa sul lago di uno di essi. Sia per le donne che per gli uomini, il tema ossessivo è il sesso. Riuniti a cena, gli otto si ritrovano a chiacchierare senza troppo interesse, quando Mario si alza, seguito poi da Louise, e se ne va "perché non si fanno orge", dice. La notte, amare riflessioni assalgono tutti, ma "l'esasperata caccia alla felicità personale, non sarà l'inizio del declino dell'impero americano?". Dopo vari intrecci amorosi notturni, le quattro coppie ripartono il mattino dopo, riprendendo forse anche la via dell'ipocrisia.

Il messaggio è chiaro: il teatrino prima o poi è destinato a cadere. E le conseguenze saranno imprevedibili. Arcand non sembra tuttavia turbarsi molto di questa prospettiva per due motivi principali: il primo è che lui, come i protagonisti del film, vivono “alla periferia dell’impero”, onde per cui sentiranno molto meno le scosse del prossimo disastro; il secondo è che tale decadenza è inevitabile e opporsi ad essa è inutile: ogni civiltà è destinata ad un ciclo vitale che prevede ascesa, primato e declino, così come ogni individuo nasce, vive e muore.
Nell’attesa quindi non rimane che seguire il vecchio motto napoletano “chiagne’ e’ fotte’”, all’inseguimento di un edonismo sfrenato che nonostante la sua incapacità di dare la felicità all’umanità (la consapevolezza amara che ogni amore dura non più di uno-due anni) rimane l’unica strada scelta da quello che dovrebbe essere lo strato sociale più colto e illuminato della società, ma che metafore colte a parte, si mostra esistenzialmente sulla stessa barca del villico più ignorante e imbarazzante.
Nonostante tutti questi paroloni è bene ribadire la struttura davvero devastante del film: una commedia travolgente godibile da tutti, con momenti di profonda ilarità dovuti ad un umorismo sincero e popolare, perfettamente aderente all’uomo di strada come al professorone più ingessato che arrivato a casa non vede l’ora di togliersi la maschera e sparare due cazzate con gli amici.

l'opera riesce in un'operazione davvero straordinaria rispetto a quegli anni. Non vediamo un film che ci parla di cultura, di omosessualità, di edonismo sessuale cercato e trafugato in modo ostinato; secondo me bisognerebbe tener conto che in quegli anni, nella grigia metà degli anni ottanta, un accostamento del genere, cultura alta e edonismo becero, non era un fatto così scontato e diffuso come oggi, ma era d'uso in alcuni ambienti intellettuali, per segnalare l'acume del disincanto, stringendo l'occhiolino a una certa destra liberista, capace di reclutare nel suo seno docenti universitari radicali ancora sinistreggianti al fine di inculcare dolcemente, nelle nuove file degli allievi, il nuovo verbo, che avrebbe inondato l'occidente libero dalla tensione dei due blocchi e inaugurato il suo inizio globale con la guerra nel golfo. 
Costoro dunque sono alcuni dei cinquantenni intellettuali post sessantottini, disillusi, in grado di essere un ponte sociologico ben congeniale per traghettare i giovani dalla sinistra alla destra, con le conseguenze quanto mai attuali. Qui non c'è una critica alla cultura, agli intellettuali in generale, ma una critica ad arte delle trasformazioni in atto del ceto intellettuale egemone di quegli anni, in forza dei quali la sinistra è stata del tutto disastrata, riciclata e trascesa in un nuovo fronte ideologico al servizio del liberismo. Non voglio dire che tutti quelli del '68 negli anni 80 hanno cambiato casacca. Delusi tanti, e anche tanti che seppur in modo diverso hanno perseverato nel loro credo, ristrutturandolo per le nuove e imprevedibili sfide. Ma non tutti, e questi non tutti, esaminati nel film,  in quegli anni non ancora indefinibili, ambivalenti forse anche a se stessi, e ancora silenti, hanno finito per primeggiare, diventano poi una moda per le nuove generazioni di fine Novececento e inizi Duemila. Forse le attuali generazioni, i giovani d'oggi, si stanno svegliando, perchè il declino è diventato una crisi, e la crisi difficilmente assopisce. Almeno lo si spera. 

giovedì 18 giugno 2020

Il domani tra di noi (The Mountain Between Us) - Hany Abu-Assad

un tranquillo viaggetto in aereo si trasforma in un incubo glaciale, fra la vita e la morte.
Hany Abu-Assad fa il suo debutto negli Usa, con attori di serie A e mezzi finanziari che non ha avuto mai.
lui è bravo, come sempre, ma il salto dalla Palestina alla Mecca del cinema gli ha fatto perdere quell'anima povera ma bella, per un'anima ricca e patinata.
attori bravissimi, compreso il cane, per una storia come tante, con un lieto fine, anche per il cane.
speriamo nel prossimo film - Ismaele




Film di genere survivor che non aggiunge nulla al genere, tranne che per la buona interpretazione della Winslet e Idris Elba. Inoltre il legame che si instaura tra i due protagonisti nella seconda parte è il collante per sviluppare la trama. Certo può essere un pò stucchevole ma è comunque una buona storia, il regista fà un ottimo lavoro, anche dal punto di vista visivo. Da manuale la sequenza dell'atterraggio d'emergenza, girato in continuità, ruotando la mdp per riprendere il tutto. Buona colonna sonora, insomma un film che non sarà un capolavoro ma intrattiene, da non perdere.

Il film è soprattutto un tentativo di contaminare un survival movie con la profondità sentimentale e psicologica richiesta ad un film melò, un piano che è però quasi del tutto assente nel delinearsi della storia e dei caratteri dei due: sin dall’inizio si apprende la levatura di Ben, importante neurologo atteso per un’operazione delicata, e il lavoro di Alex, coraggiosa foto-reporter di guerra e prossima sposina; ben poco altro ci viene svelato nel corso della loro avventura, facendo sì che lo spessore dei personaggi si regga in sostanza sulla bravura indiscussa dei due attori protagonisti. L’introspezione psicologica è infatti troncata da alcuni catastrofici avvenimenti che mettono alla prova i due, senza che mai si riscopra una condivisione di dolore o sconforto, preferendo la costruzione di ritmi diversi a cui i due obbediscono, di stati d’animo opposti e contraddittori: coraggiosa e intraprendente lei, cauto e disilluso l’altro.
Così, con rari e insufficienti accenni alla nascita di un’alchimia, il regista accelera sul coronamento di un amore le cui fasi sfuggono completamente allo spettatore: i due si ritrovano innamorati senza che alcuna intimità o affinità psicologica sia stata mostrata a giustificare tale passione. Nonostante la frettolosità del sentimento, l’idea di far nascere un’intesa tra i due permette di risollevare momentaneamente le sorti del film, che si mantiene mediamente credibile attraverso la cura di un amore che diventa spinta alla sopravvivenza e domanda sulla possibilità di un “domani” al di là delle montagne. Ma quel domani senza le vette e la neve di mezzo è debole, e il film precipita a picco quando i personaggi, fin lì focalizzati su un’eroica sopravvivenza, si calano in una realtà comune e piatta come lo sono le loro personalità, coinvolgendosi in situazioni e dialoghi melensi e francamente insignificanti. Quel precipizio verso il quale ci si dirige a grandi passi è purtroppo raggiunto in un finale da soap opera, che taglia la possibilità di un approfondimento e condisce la storia di un sentimentalismo caldo e zuccheroso; questo nuovo equilibrio non può però reggere alla temperatura di un ambiente quotidiano, che avrebbe richiesto invece una consapevolezza di sé e dei propri rapporti più realistica e pragmatica per risultare credibile.

Kate Winslet si ritrova suo malgrado in una situazione di sopravvivenza e anche qua, dopo aver lasciato andare Leonardo DiCaprio e essersi presa tutto il posto sulla porta, dimostra una bella dose di egoismo misto a testardaggine, che mettono anche in quest’occasione il suo compagno di avventura in pericolo. Indubbia la sua bravura, ma questo non è di certo un film degno della carriera della Winslet, né tanto meno di quella di Idris Elba.
Il film funziona finché rimane una corsa alla sopravvivenza per Ben e Alex, ma il finale prende delle svolte inaspettate dove si cerca anche un po’ di forzare la mano su una storia d’amore quasi inesistente fino a poco prima.
Occasioni mancate e una sceneggiatura banale, rendono Il Domani Tra di Noi un film decisamente dimenticabile nella filmografia dei suoi talentuosi protagonisti.

La superficialità della scalata psicologica dei due protagonisti, alquanto approssimativa - quanto mai nell'ultimo atto, quello in cui dovremmo fare i conti con il ritorno alla vita reale e l'improvviso distacco di due individui che hanno condiviso ferite da non poco - sembra andare di pari passo con l'estrema facilità con cui prosegue la peripezia tra le minacce che si celano in quei territori raggelati. Eppure avrebbe potuto ispirarsi a quel The Edge, che fu scritto da David Mamet e interpretato da Anthony Hopkins e Alec Baldwin sul finire degli anni '90, quest'avventura a due con tanto di sosta in una baita abbandonata. Non è da chiunque poter fare sfoggio di capacità come quelle di Mamet, che non si risparmiava neppure i dettagli sulla caccia di uno scoiattolo: perché è nel quotidiano, nel doversi battere per le piccole ricompense che permettono la sopravvivenza, che il survival riesce ad appassionare e farsi credibile. Ed è ciò che, al di là di uno scarso spessore psicologico e di una mancata caratterizzazione della crescita dei due personaggi insieme, a film come Il domani tra di noi sembra mancare del tutto.

martedì 16 giugno 2020

Der Leone Have Sept Cabeças - Glauber Rocha


il titolo ha cinque lingue diverse per indicare, forse, i tanti colonialismi in Africa.
l'uomo bianco è perfetto per imbrogliare, ha la lingua biforcuta, vuole sfruttare e uccidere chi si oppone al suo dominio.
l'impressione terribile, fin dall'inizio, dell'uomo bianco come intruso, lo conferma la storia africana, e tutto il film.
è un film corale, a volte il coro greco rinforza e sostiene alcune parti, e tutti i personaggi sembrano essere in un grande teatro, dove ciascuno rappresenta qualcosa di più grande del proprio personaggio.
musica di Baden Powell.
un film che stupisce e colpisce, da vedere con gli occhi di oggi e quelli di allora - Ismaele



QUI il film completo in italiano

QUI il film restaurato, in versione originale


…Non potendo tornare in Brasile, Rocha partì per il Congo. L’Africa non era semplicemente il luogo d’origine dei neri che avevano così fortemente influenzato la cultura brasiliana, ma era una terra colonizzata come il Sud America. Nel “continente nero” realizzò Der Leone Have Sept Cabeças (Il leone a sette teste, 1970).
Realizzato con cadenze da teatro popolare, il film si sviluppa in vari episodi che vedono protagonisti un agente della CIA (Gabriele Tinti) che fa l’amore col capitalismo ovvero Marlene (Rada Rassimov), un mercenario tedesco (Aldo Bixio), un commerciante portoghese (Hugo Carvana), un prete italiano (Jean-Pierre Léaud), un guerriero bianco Pablo (Giulio Brogi), un capo rivoluzionario (Miguel Samba) e un borghese riformista.
Un lavoro sul colonialismo occidentale (il titolo originale è composto dalle lingue dei cinque Paesi imperialisti, italiano compreso) che venne presentato alla Mostra del cinema di Venezia suscitando reazioni contrastanti…

O título poliglota esconde a história da opressão branca sobre o mundo que se diz “descoberto” (Camões até é declamado, mas sem glória…), que se diz sub-civilizacional ou, simplesmente, se resume a duas palavras: Terceiro Mundo. É nas paisagens do Congo francês que Rocha procura estender as ideias-força do seu programa estético, começando desde logo por fazer desse país dilacerado por conflitos território mítico onde se forja o discurso não da Ordem mas antes do Progresso. O povo negro queria viver mas apenas sobrevive nessa terra que é sua por direito, mas que está sob administração de um americano, um alemão e um português, os três fiéis seguidores de Marlene, a semi-deusa semi-ninfa que é apelidada a certa altura de “besta dourada da violência”.
Como acontece nos outros filmes de Glauber Rocha, temos aqui um cenário muito propício a uma revolução popular, pelo discurso (e pelas balas) das armas. Para que ela aconteça, um elemento ou dois ou três, todos eles messias das suas Causas, são lançados para o centro da batalha. Não falamos mais do candidato Vieira de Terra em Transe ou dos “cangaceiros” de Deus e o Diabo na Terra do Sol (1964), mas de dois “santos guerreiros”, um africano e outro latino-americano, Zumbi e Pablo, prefigurações “armadas” dos cristos de A Idade da Terra (1980), que dão nova forma ao messianismo revolucionário caro ao imagi(n)ário político-ideológico de Rocha. Também não falamos aqui de um Paulo Martins ou de um António das Mortes, mas do padre jesuíta interpretado por Jean-Pierre Léaud. Esta personagem materializa o espírito dialéctico, que lança o caos sobre o filme, sabotando, enfim, qualquer possibilidade de um discurso “a uma só voz” (dos bons contra os maus) que o espectador muito didacticamente poderá querer assacar desta como de qualquer outra experiência fílmica – e que o “imperalismo cultural” imposto por Hollywood fixa como a única receita para a boa moral(ização) dos nossos filhos. Glauber Rocha tem particular carinho por todos aqueles que derivam no mar das suas causas, oscilando entre posições à partida inconciliáveis.
Mercenários como António das Mortes ou “vendidos” à muito difusa e desorientadora Palavra de Deus como é o padre Léaud, por não estarem verdadeiramente em lado nenhum nesta Revolução, por mostrarem indecisão no seu percurso pendular, entre os que são da terra e os que sobre ela administram um império, são as personagens mais intrinsecamente humanas nas narrativas de Glauber Rocha. Há uma fragilidade ou indeterminação (mais ou menos histérica) nelas que as torna, mais imediatamente, o espelho do realizador nas suas histórias eivadas de alegorias ou produzidas numa economia brechtiana de símbolos históricos e políticos…

The linguist joke of the title states the multinational condition of oppression in Africa, and maybe Glauber Rocha’s state as an artist in exile. The revue of Antonio das Mortes is transposed in any case to the Congolese savanna, where the kind of footage shot for Mondo features becomes groundwork for a scorching political fantasy. The first shot has a bwana couple writhing in half-discarded big hunter regalia, and so it goes, an arresting new idea every ten seconds. Jean-Pierre Léaud in white robes punctuates his sermon by pounding a mallet into the ground, the local women assembled are mildly intrigued: His litany ("The beast... has the paws of a bear... the throat of a lion...") might be a description of the film, though Rocha’s creature is not a chimera but a hydra. A lily-white cabal of Euro buccaneers and CIA agents (which include Rada Rassimov, Reinhard Kolldehoff, Gabriele Tinti and Hugo Carvana) spout imperialist crap in ventilated terrazzos ("In Latin America it was easier"), the people outside are mobilized for the revolution. A stooge is propped up as ruler, given colonial peruke to complete the frogged ensemble from The Emperor Jones; resistance rests on the mating of the spear (Baiack) and the machine gun (Giulio Brogi). The Scriptures are quoted and rejected, "Lili Marleen" and "La Marseillaise" are sung in garbled accents, Don Quixote, saxophones, guerilla bellowing. "In moments of imaginative stultification, there is always someone assuming power" (Ici et Ailleurs). Rocha understands the paradox of the rebel without a state, and ends on the image (out of Preminger) of revolutionaries out on their own Exodus. And, if you don't like that, there’s the spectacle of a Dziga Vertov Group prophecy of Cannibal Holocaust. With Aldo Bixio, Andre Segolo, and Segolo Dia Manungu.