lunedì 23 marzo 2020

Bait - Mark Jenkin

ci sono tante cose in questo film, in un bianco e nero antico e pieno di futuro.
un villaggio di pescatori viene sempre più abitato nelle vacanze da ricconi, che mettono ai margini gli abitanti del luogo.
è la gentrificazione, modello economico antico, che cambia pelle, si tratta dell'esproprio e del furto da parte dei potenti contro i più deboli.
il film è davvero potente, una piccola storia ignobile che diventa una storia di resistenza, nelle mani di un regista con occhi e tecnica ottimi, e con una sceneggiatura sempre viva.
cercatelo e godetene tutti - Ismaele





…«Fishes live in the sea, as men do a-land; the great ones eat up the little ones», scriveva Shakespeare molti secoli fa, in una legge che pare ancora vigere oggi nella terra d’Albione, sulle sue rive scoscese. E Bait è esattamente questo, un turbine ciclico di primi piani strettissimi e campi infiniti, un montaggio estremo e di attrazioni vorticose, un rutilare di libere associazioni, figlie dell’avanguardia che fu e nuove rappresentanti delle tensioni sociali dell’oggi. Il rituale della pesca, filmato copiosamente in ogni dettaglio, riflette quasi la forma del documentario etnografico o d’inchiesta, quasi come fosse il necessario (e forse unico possibile) punto di partenza per tornare a far film in maniera politica nell’Inghilterra post-industriale, ora nelle briglie ancora sconosciute della Brexit e nelle sue derive incontrollabili. Jenkin guarda a Kuleshov più che a Ejzenstejn, cerca una primitività dello specifico filmico donandoci immagini graffiate e scintillanti, che tremolano costantemente attraverso la luce e che finiscono dissolte nelle tenebre. Per un’opera assai (e dichiaratamente) derivativa, che però trova il suo essere in un’impossibile classificazione (soprattutto attuale), cruda e straniante anche nell’uso del suono forzato ed extra-diegetico, anch’esso pienamente espressionista. Bait è un film che respira lo stesso disorientamento che vivono i suoi protagonisti, aggrappati costantemente a un filo in attesa del disastro, del naufragio (metaforico) in cui è incapsulato questo dramma narrativamente classico e minimale. Anche l’emotività così è stilizzata e sospesa, quella di chi vive il dramma come quella di coloro che lo guardano smarriti, come davanti a un oggetto misterioso ed estremamente affascinante, difficile da decifrare. Un’odissea il low-fi che lascia interdetti e attoniti, un’estetizzazione anti-spettacolare tra le più radicali degli ultimi tempi, filmando la realtà per costruirne un’altra apparente in cui lo spazio-tempo è deformato e piegato ai nostri deliri come alle nostre ossessioni. Un piccolo gioiello che, in poco più di un’ora, ci riporta indietro ad un’altra società (come a un altro cinema). A noi volerci accedere.

Da dove cominciare a elogiare Mark Jenkin per Bait? In qualità di sceneggiatore, ha intrecciato insieme un’illuminante racconto sulla Gran Bretagna contemporanea che si svolge subito dopo il referendum per la Brexit a Charlestown e Penzance, ruotando attorno alla fiorente industria della pesca, alla gentrificazione e alle divisioni di classe. In qualità di regista, Jenkin ha un’incredibile maestria del linguaggio filmico e osa nell’uso della recitazione iperrealistica per stabilire e ottenere un tono comico. Quale direttore della fotografia, ha creato sequenze squisite in bianco e nero utilizzando una Bolex 16 mm a carica manuale degli anni ‘70 del secolo scorso e ha elaborato manualmente la pellicola Kodak utilizzando il caffè, tra gli altri materiali naturali, per produrre un aspetto che fosse come la caffeina per la cornea. L’editing è ottenuto dallo stesso tessuto di Sergei Eisenstein, utilizzando il montaggio per costruire un mondo ricco, produrre tensione e giustapporre i diversi stili di vita conflittuali, creando un mosaico di personaggi sfacciati. E inoltre ha gestito la musica, realizzando un quadro con un paesaggio sonoro impressionante, dove una borsa per terra può suonare come un terremoto e il vento ululante è come il crescendo di un’orchestra…

Cornish film-maker Mark Jenkin’s breakthrough feature is a thrillingly adventurous labour of love – a richly textured, rough-hewn gem in which form and content are perfectly combined. A refreshingly authentic tale of tensions between locals and tourists in a once-thriving fishing village, it’s an evocative portrait of familiar culture clashes in an area where traditional trades and lifestyles are under threat. Shot with clockwork cameras on grainy 16mm stock, which Jenkin hand-processed in his studio in Newlyn, Bait is both an impassioned paean to Cornwall’s proud past, and a bracingly tragicomic portrait of its troubled present and possible future. It’s a genuine modern masterpiece, which establishes Jenkin as one of the most arresting and intriguing British film-makers of his generation…




Nessun commento:

Posta un commento