sabato 23 gennaio 2021

Chi è senza colpa (The Drop) - Michaël R. Roskam

Michaël R. Roskam va in trasferta negli Usa, capita a molti, e fa un piccolo film, quasi intimista, una piccola storia di (forse) amore e di (è sicuro) violenza.

bravi gli attori a rendere interessante la storia, quella del colpaccio ai mafiosi (non più italo-americani).

non sarà un capolavoro, ma Tom Hardy, timido e violento, vale da solo il prezzo del biglietto (se esistessero le sale cinematografiche).

buona visione - Ismaele

 

 

 

 

Tratto da un racconto breve di Dennis Lehane che l’autore di Boston ha poi espanso in un romanzo appena pubblicato in Italia da Piemme con lo stesso titolo del film, Chi è senza colpa è un thriller freddo e dal ritmo compassato, ma con una storia intrigante e ricco di personaggi giustamente enigmatici. Per la prima volta è stato lo stesso Lehane ad adattare per il grande schermo il suo lavoro, e non si può dire che abbia mancato il bersaglio: dialoghi mai banali e secchi quando serve, tensione strisciante che esplode a sorpresa e un’ambientazione convincente tra i bassifondi di New York…

da qui

 

Chi è senza colpa è un film che si muove piano, un sommovimento costante e sempre più inquietante, una goccia dopo l’altra, fino a concentrare la sua energia in un finale di grande intensità. Il delizioso Rocco, curioso nome del cane, sembra messo lì come sorta di McGuffin o cupido per far conoscere Bob e Nadia, ma diventerà il motore delle esplosioni emotive dei personaggi coinvolti. Lì spingerà a prendere in mano il loro destino, senza indugi e troppi sensi di colpa…

da qui

 

…Tom Hardy, lui, il Grande, l’Attore, gioca a fare il piccolo Edward Norton e da contratto interpreta per sottrazione, ma dovrebbe smetterla una volta per sempre, basta con la dicotomia tra Bronson e Locke, possiede tutte le corde di questo mondo e occorre fare in modo che sia libero di suonarle. Noomi Rapace è indegnamente svilita, il ruolo dell’emaciata pupa del pazzoide le sta addosso come un sacchetto di cellophane sul viso, parimenti soffocante. Gandolfini fa quel che sa, sembra Palminteri in una cartolina da Little Italy, poi gli altri comprimari hanno due dimensioni e non riescono a occupare un fotogramma che sia uno. Il racconto di Lehane vorrebbe essere edificante alla maniera di Lehane, ma muore di luoghi comuni e di frasi fatte, l’immanenza e la necessità del male naufragano nella palude del non significante…

da qui

 

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