non ci sono umani, e neanche parole.
l'avventura di un gattino che si trova a sopravvivere in un mondo che sta cambiando velocemente, il pianeta è invaso dall'acqua, e bisogna adattarsi.
quel gatto è solo, e i suoi compagni di vita sono con lui, da poco.
nemici, eppure bisogna convivere e imparare a collaborare, in modi nuovi.
l'umanità è esistita, restano le tracce, ma è scomparsa, forse.
la differenza degli umani con gli animali è che i primi pensano a ieri, oggi e domani, per gi animali c'è solo l'oggi, non c'è futuro da pensare.
al cinema, in poche sale.
non è un'americanata, mi è piaciuto molto.
buona (gattesca) visione - Ismaele
…Flow non è un film solo per bambini:
anche gli adulti ne seguiranno con meraviglia l'animazione in costante
movimento e si appassioneranno alle vicende mozzafiato del gruppetto di animali
di fronte a sempre nuovi imprevisti. Il film di Zilbalodis è una continua
invenzione artistica e narrativa, un incalzare incessante di piccoli e grandi
eventi che scorrono insieme assumendo la forma mutevole dell'acqua.
C'è qualcosa di universalmente riconoscibile, di nobile e profondo, in questa
narrazione meno morbida e rassicurante del tratto di disegno francese (anche se
il regista ha portato in squadra artisti francesi e belgi) e meno spigolosa e a
tratti grottesca di quello giapponese. Qui l'animazione è rigorosa ed
essenziale, forse anche a causa della matrice luterana lèttone, ma è spirituale
senza operare scelte religiose.
Flow è anche una parabola ammonitrice di ispirazione ecologista,
ma non diventa mai una lezioncina pedestre o un "catastrophy movie".
È invece un'ode alla solidarietà e alla cooperazione, necessarie per
sopravvivere anche agli eventi che rischiano di annullarci per sempre.
…Del gatto
protagonista, ad esempio, non viene mai detto a parole “ricerca la solitudine,
imparerà ad amare il gruppo”, ma assistiamo a questo cambiamendo giungendo noi
stessi a questa conclusione, vedendolo passare dal suo solitario specchiarsi
nell’acqua al farlo in compagnia dei suoi nuovi amici. Questo vale in realtà
per ogni valore che il film vuole trasmetterci, riuscendo a farlo proprio
perché trova il modo di comunicarlo in modo universale, parlando il linguaggio
delle emozioni anziché quello delle parole.
Flow – Un
mondo da salvare è
allora davvero un film che merita di non passare inosservato, di non finire
schiacciato dalla mole di titoli che ogni giorno si accalcano in sala o sulle
piattaforme venendo divorati e ben presto dimenticati. Zilbalodis ci consegna
un’opera speciale, tra le più importanti di quest’anno cinematografico, che
chiede allo spettatore di non forzarsi nella ricerca di determinati significati
ma di abbandonarsi al flusso dell’esperienza proposta. Un’opera che nel suo
“tornare alle origini” di un’arte rispolvera un senso della meraviglia troppo
spesso perduto, qui ritrovato e proposto come la più gentile delle carezze al
cuore.
“L’assenza di futuro è già iniziata”, scriveva Günther
Anders osservando quanto l’apocalisse di Hiroshima e di Nagasaki avesse
eclissato l’umano sperare in un domani, quella fiducia profetica in
un mondo-per-l’uomo che, con rivoluzioni, progressi o regressi, si donasse,
comunque, come pensabile, vivibile nell’attesa, costruibile, appunto, nella
Speranza[1].
È proprio per l’uomo che in Flow (2024),
film d’animazione diretto da Gints Zilbalodis, quel futuro viene del tutto a
mancare. E, probabilmente, solo per lui.
In un acquatico spazio post-Antropocene, in cui dell’uomo
si mostrano solo tracce e lacerti (case, sculture, templi di un passato
passato), starà alla natura ricostruire, in un certo senso, la sua casa. La
trama è semplice ed essenziale: un piccolo gatto nero, per sopravvivere alle
improvvise ondate che travolgono inaspettatamente la terra emersa – una sorta
di nuovo frastornante diluvio universale – trova rifugio,
insieme a un pigro capibara, all’interno di una vecchia barca a vela, che lo
trasporterà, arca-salvezza, via via, di altri animali, in un viaggio silenzioso
e magico, fluttuando sul mondo sommerso. Un gatto e un capibara, quindi, e un
cane, un lemure, un uccello serpentario, che scivolano in uno spazio sconfinato
di acque, foreste e città perdute: forse spazio più interiore e simbolico che
esteriore e reale, più una sorta di Bardo Thodol di attesa e rinascita, che un
terra storica del dopo-umano; uno spazio abitato da mostri preistorici (è in
gioco un eone geologico e simbolico), e avvinto in un gorgo fluviale di
emersioni e risucchi di tempesta. Sfidano, questi animali animalissimi,
tentazioni umanissime (tribù, specchi, egoismi, distrazioni, paure),
costruiscono reciprocità e, vicendevolmente, si salvano. Coerentemente con
l’universalismo arcaico della tradizione favolistica, il loro rapporto,
cosciente ma mai davvero antropomorfizzato, diventerà così il tessuto simbolico
su cui si darà il destino di una possibile comunità del domani. Flow,
in fondo, parla di questo: di ricerca, di salvezza, di ciò che rimane, quando
si eclissa il volto dell’uomo. Una sola immagine, per lui,
che lo rappresenti: una testa scolpita, senza identità, in attesa di essere,
anch’essa, avvolta nell’acqua: la sua speranza appartiene, di fatto, al “no
future”…
…In Flow gli animali sono esattamente ciò
che sono nella percezione quotidiana di tutti noi, e uno dei traguardi
raggiunti dal regista è proprio quello di saperli raffigurare così bene nelle
loro peculiarità e nella loro mimica, rendendo molto chiaro – grazie a un’animazione
e a un’espressività eccellenti – quando il piccolo protagonista provi paura,
perplessità, curiosità o sollievo.
Pertanto Zilbalodis ha il merito di saper coniugare una
prospettiva molto realistica e asciutta con atmosfere vagamente fantasy e apocalittiche
(seppur realistiche nel loro riferimento alla crisi climatica). Come dicevamo,
poi, è senz’altro presente il registro della favola morale, attraverso la
metafora (neanche troppo velata) della convivenza tra specie animali
differenti, che si trovano letteralmente tutte “sulla stessa barca” a dover
collaborare per sopravvivere.
Il linguaggio più eloquente in questo Flow – Un mondo da salvare risulta
quello del silenzio: la realtà è già evidente nella sua strabordante forza e
impetuosità, basterebbe solo osservare.
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