venerdì 15 novembre 2024

Longlegs – Oz Perkins

il diavolo fa il suo lavoro, ha trovato un meccanismo implacabile, lui sceglie le vittime, Longlegs, il costruttore di giocattoli, fa consegnare la bambola a immagine della vittima alla famiglia prescelta e condannata.

non ci sono motivi o colpe, chi deve morire morrà.

l'agente Lee Harker arriva a capire la logica del Male, e il suo coinvolgimento nella storia.

il film non è male, anzi...

buona (diabolica) visione - Ismaele


 

 

 

 

…Lo spiegone finale l'ho trovato perfetto perchè benissimo raccontato, evocativo, inquietante e persino necessario visto che di cose che si faceva fatica a mettere in fila ce n'erano parecchie.
E lo scoprire che no, non c'era un "semplice" serial killer e le cose avvenute non potevano essere spiegate in maniera solo razionale e/o scientifica rende il film ancora più bello.
Proprio per il discorso di cui sopra, ovvero quello che Perkins sa raccontare il malefico, il soprannaturale in maniera perfetta. L'atmosfera dei suoi film ha "bisogno" di questa componente per cui c'è sempre un qualcosa più grande di noi, un Male assoluto, che ci rende semplicemente suoi manichini.
E quindi sì, che ci sia stato il "Signore del piano di sotto" l'ho adorato, specie perchè noi non lo vediamo mai (come in tutti gli horror standard) o in "persona" o attraverso i mostri (fisici) che genera, ma soltanto per le azioni che questo ci costringe a compiere…

da qui

 

…Ma perché lode a Longlegs? Nella sua primogenita estetica che ribattezza l’horror degli anni ’70, il film si impone come traguardo del terrore per la sua discontinuità narrativa apostrofata da un’intenzione estetica spregevole. I toni sono sempre lividi e trasparenti, opachi e sfocati concettualizzando l’importanza dell’aspetto cinematografico di una determinata impresa ereditata da Mario Bava.

La visione è focalizzata sull’eccentricità dei personaggi completamenti asessuati, virtuosismi che non incidono sul senso umano ma li aspirano come entità soprannaturali. Eppure, il tema è quello religioso, la combinazione tra il sacro, la venerazione e la dedizione o – forse – adorazione dell’onnipresente. Uno scambio linguistico che preclude quella paura di essere avvolti dentro le braccia di qualcuno o qualcosa che non possiamo osservare, capire, delineare, decifrare…

da qui

 

È proprio la sua natura inafferrabile, intangibile e sfocata, a renderlo di difficile decifrazione, accrescendone l’alone di mistero. Dal punto di vista delle definizioni di genere si tratterebbe di un procedural, con l’indagine che riguarda un serial killer, alla maniera di Se7enZodiac e Il silenzio degli innocenti. A quest’ultimo in particolare, è accostabile per finezza compositiva e per come ripropone lo schema detective-assassino in una chiave morbosa. In effetti il legame malignamente simbiotico tra l’agente dell’FBI Lee Harker e il serial serial killer noto solo come Longlegs, ricorda molto quella tra Clarice Starling e Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti. E se Maika Monroe interpreta una detective anche più traumatizzata di quella resa celebre da Jodie Foster, Nicolas Cage riesce a non far rimpiangere Anthony Hopkins dando vita a un personaggio altrettanto penetrante e sinistro. Là dove i due film divergono è nell’agone in cui giocano la partita, preferendo il lavoro di Jonathan Demme una chiave psicopatologica per lo scavo sul male e sulle paure, mentre Perkins abbraccia il versante più esoterico, dialogando con il cinema satanico maturo…

da qui

 

 


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