mercoledì 6 novembre 2024

Il rossetto – Damiano Damiani

Pietro Germi sembra adottare lo stile di Simenon, sembra il commissario Maigret.

la testimone chiave dell'omicidio è una ragazzina di 14 anni, affidabile ma non troppo, tocca al commissario riuscire a capire cosa è successo e chi è stato l'assassino.

opera prima di Damiano Damiani.

buona visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

Ottimo esordio di Damiani, che dà vita ad un finto-giallo, in cui ad interessare non è tanto la scoperta del colpevole (abbastanza prevedibile) quanto lo spaccato dell'Italia dell'epoca, che viene dipinta come ipocrita e perbenista, nonché luogo in cui cominciava ad insinuarsi sempre più prepotentemente il dominio del "dio denaro". Semplice, asciutto e senza fronzoli, grazie anche alla sceneggiatura di Zavattini. Bravi gli attori ed ancora una volta bella la prova di Germi nel ruolo di commissario. Piccolo film che merita di essere riscoperto.

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Ottimo. Non un giallo nel classico stile "chi è stato", bensì "come lo incastro". Germi malinconico e ruvido è sempre fantastico, anche se già visto. Bene anche tutto il cast. Le morbosità e i moralismi che ruotano intorno alla vicenda sono invecchiati (per fortuna) ma restano come credibile documento d'epoca, da conoscere assolutamente. Affascinante bianco e nero per un film lontano dai ricchi e corrotti palazzi antichi di Un maledetto imbroglio, che mostra invece squarci di una Roma periferica e pasoliniana, piccolo (ma piccolo) borghese.

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Damiani esordisce nel lungometraggio con questo bel “giallo sociologico”, scritto con sapienza da lui stesso con Zavattini, e diretto con piglio sicuro e diritto all’obiettivo. Pur scegliendo un veicolo popolare, l’intento del regista è quello di far passare una critica alla società italiana del tempo e alla mentalità borghese che la domina(va?). Ponendosi nella scia, seppure con mire meno metaforiche, del Germi (che infatti interpreta anche qui il commissario di polizia) di “Un maledetto imbroglio”, tratto da Gadda, ed occhieggiando a SimenonDamiani mette l’accento sulla disgregazione della famiglia cittadina, sul sempiterno impulso dato dal denaro alle azioni umane, sulla necessità borghese di salvaguardare le apparenze a discapito della verità. Un film più coraggioso di quanto forse poté sembrare all’epoca; un sassolino gettato nello stagno dell’Italia democristiana che al cinema soffocava nella bambagia della censura il dissenso, preso invece a scelbiane manganellate sulle piazze.

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