Pietro Germi sembra adottare lo stile di Simenon, sembra il commissario Maigret.
la testimone chiave dell'omicidio è una ragazzina di 14 anni, affidabile ma non troppo, tocca al commissario riuscire a capire cosa è successo e chi è stato l'assassino.
opera prima di Damiano Damiani.
buona visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, su Raiplay
Ottimo esordio di Damiani, che dà vita ad un finto-giallo, in
cui ad interessare non è tanto la scoperta del colpevole (abbastanza
prevedibile) quanto lo spaccato dell'Italia dell'epoca, che viene dipinta come
ipocrita e perbenista, nonché luogo in cui cominciava ad insinuarsi sempre più
prepotentemente il dominio del "dio denaro". Semplice, asciutto e
senza fronzoli, grazie anche alla sceneggiatura di Zavattini. Bravi gli attori
ed ancora una volta bella la prova di Germi nel ruolo di commissario. Piccolo
film che merita di essere riscoperto.
Ottimo. Non un giallo nel classico stile "chi è
stato", bensì "come lo incastro". Germi malinconico e ruvido è
sempre fantastico, anche se già visto. Bene anche tutto il cast. Le morbosità e
i moralismi che ruotano intorno alla vicenda sono invecchiati (per fortuna) ma
restano come credibile documento d'epoca, da conoscere assolutamente.
Affascinante bianco e nero per un film lontano dai ricchi e corrotti palazzi
antichi di Un maledetto imbroglio,
che mostra invece squarci di una Roma periferica e pasoliniana, piccolo (ma
piccolo) borghese.
Damiani esordisce
nel lungometraggio con questo bel “giallo sociologico”, scritto con sapienza da
lui stesso con Zavattini, e
diretto con piglio sicuro e diritto all’obiettivo. Pur scegliendo un veicolo
popolare, l’intento del regista è quello di far passare una critica alla
società italiana del tempo e alla mentalità borghese che la domina(va?).
Ponendosi nella scia, seppure con mire meno metaforiche, del Germi (che infatti interpreta anche qui il
commissario di polizia) di “Un maledetto imbroglio”, tratto da Gadda, ed occhieggiando a Simenon, Damiani mette
l’accento sulla disgregazione della famiglia cittadina, sul sempiterno impulso
dato dal denaro alle azioni umane, sulla necessità borghese di salvaguardare le
apparenze a discapito della verità. Un film più coraggioso di quanto forse poté
sembrare all’epoca; un sassolino gettato nello stagno dell’Italia democristiana
che al cinema soffocava nella bambagia della censura il dissenso, preso invece
a scelbiane manganellate sulle piazze.
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