martedì 1 maggio 2018

Jîn - Reha Erdem

Jin è una ragazzina di 17 anni, guerrigliera curda, che lascia gli altri, in montagna, e scende verso la pianura, non c'era mai andata prima, chissà, è una tipa curiosa.
parla poco, con gli umani per difendersi, con gli animali per solidarietà.
Jin è sola contro tutti, intrappolata in una guerra di merda, ha conosciuto solo la guerra, e poi è curda, trattata come una sottospecie umana, solo per quello, appena scende verso la pianura.
Reha Erdem ci mostra Jin, nostra compagna.
un film da non perdere, un altro gioiellino di Reha Erdem.
conoscerete Jin, e non ve ne pentirete mai - Ismaele






Ennesima conferma di un autore dal talento cristallino. Dopo Kaç para kaçBeş VakitMy only sunshine e, soprattutto, Kosmos, il regista turco sforna un film meno fantasioso ma di assoluto pregio. Le tematiche rimangono sempre le stesse (rapporto indissolubile tra uomo e natura, protagonisti orfani  alla ricerca di una identità, di un futuro migliore e idealizzato), ma Jîn mi è sembrato, rispetto ai precedenti, un film più lineare, meno oscuro o simbolico. Forse anche un po' didascalico. Questo probabilmente per l'argomento trattato: la violenta repressione turca nei confronti delle popolazioni curde. Il dramma di questa gente, con una propria lingua, una cultura secolare e una identità etnica radicatissima, viene fuori come un pugno solo grazie alle immagini. Senza che ci sia bisogno di spendere una sola parola a proposito. Magie del cinema.

La 17enne Jîn è una sorta di Cappuccetto Rosso, che ha deciso di vivere la vita a modo suo, costi quel che costi. In fuga da un'organizzazione armata, Jîn passa le sue giornate da sola tra le foreste in montagna nascondendosi dai suoi inseguitori e dalle forze di sicurezza. Determinata a raggiungere la grande città per realizzare i suoi sogni, affronterà insidie e combattimenti, il freddo e la paura, trovando forza e consolazione attraverso gli animali: condividerà una grotta con un orso per fuggire a un bombardamento, si alleerà con un cervo, curerà un asino ferito, farà un patto con un uccello selvaggio per mangiarne le uova, un gatto selvatico la consolerà, un serpente la terrà in allerta e un cavallo la proteggerà... Quando finalmente riuscirà a raggiungere le pianure, Jîn diventerà ben presto consapevole che sono ancor più pericolose, minacciose e più dolorose della montagna...

La sua vicenda si incrocerà, anche se solo sporadicamente, con quella di altri uomini, impegnati, sui due fronti, nella stessa lotta senza fine, ed anche con gli animali della foresta, feroci e non, con i quali la giovane istintivamente solidarizzerà. Il film di Reha Erdem vive di campi lunghissimi a sfondo naturalistico, vasti panorami di alberi, montagne, sterpaglia e pietre, in cui la giovane protagonista spicca come una macchiolina di colore, la minuscola figurina di un presepe selvaggio e deserto.  Jin è una bambolina, minuta nell’aspetto, però forte, solida ed indistruttibile, abituata ai lavori pesanti, alle arrampicate più spericolate, a sfiancanti maratone sui terreni più impervi ed incolti.  Un realismo silenzioso ed incantato ci accompagna in questo viaggio in cui è facile perdere l’orientamento, a causa dell’uniformità dei panorami e della ripetitività di scenari disabitati, cosparsi di pendii e di anfratti, di ruscelli e sentieri. Jin affronta un’odissea priva del conforto del mito, in cui incontra solo dolore ed odio, abbandono e brutalità. Deve guardarsi le spalle, procurarsi il cibo, cercare il modo per tornare a casa, o anche solo comunicare con la madre. La normalità è una meta assai lontana, in quel nulla popolato di insidie, nel quale si può rimanere per sempre intrappolati. La morte è perennemente in agguato, quella del corpo al pari di quella dell’anima,  perché, in un ambiente di stampo patriarcale e militarista, c’è ovunque qualcuno che mira ad uccidere la sua dignità di donna. Il pericolo costante impedisce alla fiaba di inseguire il volo della fantasia, e solo per pochi, brevissimi istanti riesce a sfiorare la trasognata delicatezza dell’idillio campestre. Il resto è fatica che annebbia lo sguardo sull’orizzonte, ed incatena il presente ad un suolo che trattiene il passo e consuma la capacità di pensare al domani. Il percorso di Jin è un cammino tanto coraggioso quanto frustrante, che gira in tondo per salvare la pelle, e non progredisce se non nella determinazione a raggiungere il proprio traguardo di affetti e riscatto morale.  Lo spirito romanzesco, che occhieggia dietro l’angolo, rimane in attesa di  far sentire la sua poetica voce; tace, nel frattempo, per non tradire il segreto di Jin, mettendo i nemici sulle sue tracce. Quel mancato sussurro è il vero rumore di fondo di un racconto che, cercando un angolo di pace ed un fidato interlocutore, scava con le mani  tra i sassi per trovare, se non altro, un dimenticato frammento di umano calore. 

…Erdem and his team adroitly mix joie de vivre and tension, and humour, and beauty and fear. The overwhelming emotion is dread. Your stomach is in knots as the lead encounters various unsavoury ‘wolves’ – lustful and immoral men, who try to prey on this girl all alone in a conflict zone. A damning indictment on certain males, and war, though the film is celebration of courage, resourcefulness and determination. JÎN is in the same league as GRAVE OF THE FIREFLIES, LORE and EMPIRE OF THE SUN. While those mentioned are grounded in reality, this has the quality of a fable too – there is the constant threat of brutality, but something ethereal as well. Our heroine’s interactions with the animal kingdom (a bear, mountain lion, stag, etc.) are otherworldly. The war is destroying innocence and nature.

The remarkable landscapes captured, elevate to an epic canvas. The jarring sound effects of detonations, planes and helicopters (without seeing any machinery) belie the likely budget constraints, but heighten the isolation. The audience gets sucked into a vision of a seductive hell. All AVATAR fans should see the wilderness depicted. However, the territory is dangerous; even truck drivers are wary of stopping for a young female hitchhiker for fear of traps and bandits. 

As the director stated at the Q&A, JÎN is the:
- Story of a woman,
- Story of a Kurdish woman,
- Story of a Kurdish woman, who is a guerrilla,
- Ad infinitum.

Elemental and haunting – a place where humanity has drained away for two hours. An enigmatic ending may suggest hope to some.

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