parla poco, con gli umani per difendersi, con gli animali per solidarietà.
Jin è sola contro tutti, intrappolata in una guerra di merda, ha conosciuto solo la guerra, e poi è curda, trattata come una sottospecie umana, solo per quello, appena scende verso la pianura.
Reha Erdem ci mostra Jin, nostra compagna.
un film da non perdere, un altro gioiellino di Reha Erdem.
conoscerete Jin, e non ve ne pentirete mai - Ismaele
Ennesima
conferma di un autore dal talento cristallino. Dopo Kaç para kaç, Beş Vakit, My only sunshine e, soprattutto, Kosmos, il regista turco
sforna un film meno fantasioso ma di assoluto pregio. Le tematiche rimangono
sempre le stesse (rapporto indissolubile tra uomo e natura, protagonisti
orfani alla ricerca di una identità, di un futuro migliore e
idealizzato), ma Jîn mi è sembrato, rispetto ai precedenti, un film più
lineare, meno oscuro o simbolico. Forse anche un po' didascalico. Questo
probabilmente per l'argomento trattato: la violenta repressione turca nei
confronti delle popolazioni curde. Il dramma di questa gente, con una propria
lingua, una cultura secolare e una identità etnica radicatissima, viene fuori
come un pugno solo grazie alle immagini. Senza che ci sia bisogno di spendere
una sola parola a proposito. Magie del cinema.
La 17enne Jîn è una sorta di Cappuccetto Rosso, che ha deciso
di vivere la vita a modo suo, costi quel che costi. In fuga da
un'organizzazione armata, Jîn passa le sue giornate da sola tra le foreste in montagna
nascondendosi dai suoi inseguitori e dalle forze di sicurezza. Determinata a
raggiungere la grande città per realizzare i suoi sogni, affronterà insidie e
combattimenti, il freddo e la paura, trovando forza e consolazione attraverso
gli animali: condividerà una grotta con un orso per fuggire a un bombardamento,
si alleerà con un cervo, curerà un asino ferito, farà un patto con un uccello
selvaggio per mangiarne le uova, un gatto selvatico la consolerà, un serpente
la terrà in allerta e un cavallo la proteggerà... Quando finalmente riuscirà a
raggiungere le pianure, Jîn diventerà ben presto consapevole che sono ancor più
pericolose, minacciose e più dolorose della montagna...
…La sua vicenda si incrocerà, anche se solo
sporadicamente, con quella di altri uomini, impegnati, sui due fronti, nella
stessa lotta senza fine, ed anche con gli animali della foresta, feroci e non,
con i quali la giovane istintivamente solidarizzerà. Il film di Reha Erdem vive
di campi lunghissimi a sfondo naturalistico, vasti panorami di alberi,
montagne, sterpaglia e pietre, in cui la giovane protagonista spicca come una
macchiolina di colore, la minuscola figurina di un presepe selvaggio e deserto.
Jin è una bambolina, minuta nell’aspetto, però forte, solida ed
indistruttibile, abituata ai lavori pesanti, alle arrampicate più spericolate,
a sfiancanti maratone sui terreni più impervi ed incolti. Un realismo
silenzioso ed incantato ci accompagna in questo viaggio in cui è facile perdere
l’orientamento, a causa dell’uniformità dei panorami e della ripetitività di
scenari disabitati, cosparsi di pendii e di anfratti, di ruscelli e sentieri.
Jin affronta un’odissea priva del conforto del mito, in cui incontra solo
dolore ed odio, abbandono e brutalità. Deve guardarsi le spalle, procurarsi il
cibo, cercare il modo per tornare a casa, o anche solo comunicare con la madre.
La normalità è una meta assai lontana, in quel nulla popolato di insidie, nel
quale si può rimanere per sempre intrappolati. La morte è perennemente in
agguato, quella del corpo al pari di quella dell’anima, perché, in un
ambiente di stampo patriarcale e militarista, c’è ovunque qualcuno che mira ad
uccidere la sua dignità di donna. Il pericolo costante impedisce alla fiaba di
inseguire il volo della fantasia, e solo per pochi, brevissimi istanti riesce a
sfiorare la trasognata delicatezza dell’idillio campestre. Il resto è fatica
che annebbia lo sguardo sull’orizzonte, ed incatena il presente ad un suolo che
trattiene il passo e consuma la capacità di pensare al domani. Il percorso di
Jin è un cammino tanto coraggioso quanto frustrante, che gira in tondo per
salvare la pelle, e non progredisce se non nella determinazione a raggiungere
il proprio traguardo di affetti e riscatto morale. Lo spirito romanzesco,
che occhieggia dietro l’angolo, rimane in attesa di far sentire la sua
poetica voce; tace, nel frattempo, per non tradire il segreto di Jin, mettendo
i nemici sulle sue tracce. Quel mancato sussurro è il vero rumore di fondo di
un racconto che, cercando un angolo di pace ed un fidato interlocutore, scava
con le mani tra i sassi per trovare, se non altro, un dimenticato
frammento di umano calore.
…Erdem and his team adroitly mix joie de vivre and tension,
and humour, and beauty and fear. The overwhelming emotion is dread. Your
stomach is in knots as the lead encounters various unsavoury ‘wolves’ – lustful
and immoral men, who try to prey on this girl all alone in a conflict zone. A
damning indictment on certain males, and war, though the film is celebration of
courage, resourcefulness and determination. JÎN is in the same league as GRAVE
OF THE FIREFLIES, LORE and EMPIRE OF THE SUN. While those mentioned are
grounded in reality, this has the quality of a fable too – there is the
constant threat of brutality, but something ethereal as well. Our heroine’s
interactions with the animal kingdom (a bear, mountain lion, stag, etc.) are
otherworldly. The war is destroying innocence and nature.
The remarkable landscapes captured, elevate to an epic canvas. The jarring sound effects of detonations, planes and helicopters (without seeing any machinery) belie the likely budget constraints, but heighten the isolation. The audience gets sucked into a vision of a seductive hell. All AVATAR fans should see the wilderness depicted. However, the territory is dangerous; even truck drivers are wary of stopping for a young female hitchhiker for fear of traps and bandits.
As the director stated at the Q&A, JÎN is the:
- Story of a woman,
- Story of a Kurdish woman,
- Story of a Kurdish woman, who is a guerrilla,
- Ad infinitum.
Elemental and haunting – a place where humanity has drained away for two hours. An enigmatic ending may suggest hope to some.
The remarkable landscapes captured, elevate to an epic canvas. The jarring sound effects of detonations, planes and helicopters (without seeing any machinery) belie the likely budget constraints, but heighten the isolation. The audience gets sucked into a vision of a seductive hell. All AVATAR fans should see the wilderness depicted. However, the territory is dangerous; even truck drivers are wary of stopping for a young female hitchhiker for fear of traps and bandits.
As the director stated at the Q&A, JÎN is the:
- Story of a woman,
- Story of a Kurdish woman,
- Story of a Kurdish woman, who is a guerrilla,
- Ad infinitum.
Elemental and haunting – a place where humanity has drained away for two hours. An enigmatic ending may suggest hope to some.
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