domenica 6 maggio 2018

Wajib – Invito al matrimonio - Annemarie Jacir

Annemarie Jacir scrive una strepitosa sceneggiatura, a metà fra Billy Wilder e Cesare Zavattini, tutto fila perfettamente. e strepitosi sono i due protagonisti, padre e figlio anche nella vita, Mohammad Bakri e Saleh Bakri, che alternano registri comici e drammatici continuamente.
è un film delicato e duro, dolce e amarissimo, ruvido e pieno d'amore, sincero e non melenso, difficile e complicato, in un paese occupato da un invasore terribile, che distrugge e condiziona le vite di tutti, nessuno escluso.
che il dio del cinema conservi per tanti anni Annemarie Jacir e i due Bakri.
cercatelo, solo una trentina di sale lo proiettano, ma non vi pentirete mai di averlo visto - Ismaele


di Annemarie Jacir avevo visto questo gran film.







…Wajib è diretto dalla talentuosa filmmaker Annemarie Jacir, nata a Betlemme e laureata alla Columbia University di New York. Questo è il suo terzo lungometraggio. Si tratta una commedia amara, triste ma non troppo. È on the road ma rimane sempre sotto casa. Sa sdrammatizzare quando serve. Non eccede mai e gliene siamo grati. Fotografa il fragile equilibrio di una comunità in modo chiaro ma non dirompente. Percorre la via della famiglia e non quella delle rivendicazioni. In questo scenario ne esce favorita la visione da parte d’un pubblico curioso, forse un po’ generalista, di sicuro non incline alla polemica e amante dei racconti che fluidamente arrivano al loro epilogo. Wajib funziona perché non ci mette a disagio, riconosciamo le dinamiche, è normale, normale proprio come noi.


Annemarie Jacir duplica il livello di conflitto convocando nei ruoli di protagonisti due attori che nella vita sono davvero padre e figlio. Il padre è impersonato dal glorioso Mohammad Bakri (tra gli altri, incarnò il personaggio principale per Saverio Costanzo nel suo Private, 2004), che nel corso degli anni più volte si è scontrato con le autorità israeliane anche per la sua attività di filmmaker – basti pensare alle infinite traversie del suo documentario Jenin, Jenin (2002) dedicato alla distruzione dell’omonimo villaggio palestinese. Nel film di Annemarie Jacir gli tiene testa suo figlio Saleh Bakri, coinvolti in due prove attoriali di cifra sensibilmente diversa. Da un lato Mohammad Bakri emerge sul figlio grazie a una gamma infinita di emozioni lasciate trascorrere sul volto: dall’altro Saleh Bakri si mostra come un attore più introverso, caratterizzato anche da un lieve senso dell’umorismo affidato spesso a una mimica rallentata. Convocati a dare vita a un racconto pure convenzionale, dove somma premura dell’autrice pare essere una studiata equidistanza dalle due figure, indagate nel loro confrontarsi senza operare nette scelte programmatiche nei confronti di uno o dell’altro. Il finale, del resto, sta lì a marcare un lieve e reciproco avvicinamento simmetrico, dove da ambo i lati si accende una sorta di alba della comprensione e accettazione dell’altro. In fondo la stessa equidistanza al bilancino costituisce programmaticità. Resta comunque un generale senso di necessità davanti a un film che cerca chiavi popolari per temi di grande portata, aderendo a una struttura narrativa a suo modo avvincente, che si offre a un pubblico ampio e a un’immediata partecipazione. Buono, come una buona azione.

Tra le interminabili visite e gli interminabili caffè, impossibili da rifiutare, Shadi da architetto passa in rassegna lo squallore e l'abbandono della città, tra insensate strade, inutili teli colorati, onnipresente plastica e montagne di spazzatura, probabilmente invisibili allo sguardo abituato del padre. Ma il continuo movimento e cambio di ambientazione non lascia che il duello verbale diventi una vera disputa. Nonostante la tensione crescente di una conversazione sempre sul punto di esplodere in furiosa lite, basta una canzone che risveglia ricordi d'infanzia per mettere a tacere gli insulti, i rimproveri e i rancori. In fondo entrambi sanno che nessuno dei due ha completamente ragione, entrambi, ciascuno a suo modo, cercano il miglior modo di sopravvivere a problemi più grandi di loro. Così i temi politici, sociali e umanitari accennati con delicatezza rimangono sullo sfondo di una lunga conversazione tra padre e figlio, finalmente riuniti. I momenti più drammatici, inoltre, rivelano preziosi istanti di humour proprio di chi ha una grande umanità e tanta voglia di vivere. Nonostante l'immondizia, la plastica e la polvere, Nazareth riesce ancora a brillare agli occhi di Shadi e Abu Shadi, che si riscoprono dopotutto padre e figlio.

Per i temi trattati, Wajib - Invito al matrimonio è un film di grande interesse. In alcuni momenti persino toccante, come quando inaspettate si diffondono dall’autoradio le note di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, consentendo per un attimo a padre e figlio un riavvicinamento sull’onda emozionale dei ricordi. Un film incentrato sui contrasti (e sulla ricerca di un equilibrio): la contrapposizione fra tradizione e modernità, che si esplicita nel rapporto fra padre e figlio; il confronto fra la capacità o meno di perdonare (Abu Shadi è ancora infuriato con la moglie, rea di essere fuggita con un altro uomo in America tanti anni prima lasciandolo da solo a crescere due figli ancora piccoli; Shadi invece giustifica ancora sua madre). Ma Wajib - Invito al matrimonio è anche un film sulle tensioni fra israeliani e palestinesi. Tutta la pellicola è permeata da questo dissidio, dalla prevaricazione di un popolo su un altro. Shadi, in una delle scene più intense, rinfaccerà al padre l’incapacità di ribellarsi; di aver accettato di insegnare in una scuola palestinese dove il suo superiore è un israeliano…


Invitación de boda (Wajib) posee encanto y ternura, porque el espectador empatiza con la ilusión del padre y el hermano ante la boda, todo un proyecto de vida, como explicitan las tarjetas: “Una casa se construye con sabiduría y se mantiene firme con entendimiento”; y porque queda conmovido por la alegría de amigos y familiares que les reciben. El padre que desea que su hijo vuelva a Palestina para tenerlo cerca es tan universal como el que quiere casarlo con la prima abogada o el que miente sobre su profesión o noviazgo para no defraudar a amigos ya ancianos. También resulta muy comprensible, aunque más áspera, la actitud de Shadi que lamenta el deterioro del país, la resignación de los ciudadanos a las calles llenas de basura o la prepotencia de israelíes, y ve cómo los jóvenes emigran de Palestina en pos de mejores condiciones de vida. 
La mirada de la directora sobre su país es triste: asfixiado por el cerco de Israel, sin posibilidades de vida para los jóvenes e infectado por el pesimismo resignado de los mayores. Pero Invitación de boda (Wajib) adquiere universalidad al mostrar esas tensiones entre padre e hijo que logran la reconciliación gracias a que cada uno se pone en la posición del otro y tiene la generosidad del perdón, como Abu Shadi había anticipado respecto a su esposa, a quien perdona haber abandonado a la familia e irse al extranjero con un hombre. El entendimiento necesario para mantener la casa.

1 commento:

  1. Ciao, mi piacerebbe parlarti di una possibile collaborazione, come posso contattarti? Mi scriveresti la tua mail?
    Grazie mille in anticipo :D

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