se la prima parte (se fosse stato un film erotico soft, come
quelli che si giravano in Italia negli anni ’70) poteva avere come sottotitolo Tira più un pelo di f… che un carro di buoi, la
seconda parte potrebbe avere come sottotitolo I dolori e i turbamenti dell’anziano delinquente.
Toni Servillo è straordinario, come sa esserlo un attore come
lui, e riesce anche a moltiplicarsi, e potresti commuoverti per quel ricchissimo
e incompreso genio (secondo lui, S.) della finanza e della politica, tra le
altre cose.
niente di serio esiste per lui, al di fuori dei suoi
interessi, e non riesce a trattenersi quando può (e deve) essere amato, un
gioiello o una barzelletta, o una battuta per lui pari sono, vuole solo essere
amato e riverito.
un tempo si diceva che il personale è politico, nel film si
vede che è tutto il contrario (S. docet, e gli allievi non mancano).
tutti vogliono usarlo, quasi sempre non ci riescono, e il
tradimento, nell’amore per lui, sarà vendicato.
se un poco quel vecchio con un alito da nonno ti ha intenerito,
ritorna in te, guarda e ascolta qui
Sorrentino e Servillo sono una bella coppia, al cinema fanno
sempre una bella figura (la seconda parte è meglio della prima, ça va sans dire).
buona visione - Ismaele
buona visione - Ismaele
…Questo potente potentissimo
che non accetta il declino, e proprio per questa ragione si perde
(paradossalmente tornando però ai vertici), che non chiama Mike Bongiorno,
l’amico di una vita, perché Mike ha solo ricordi dietro di sé e lui vuole
invece avere un futuro davanti a sé, è un piccolo mostro dentro il quale Sorrentino e Contarello entrano come in Manhunter, con una totale immedesimazione con
l’oggetto della caccia. I due capiscono così tanto Berlusconi da essere
partecipi del suo desiderio di non morire dentro, di non essere vecchio, di
continuare a piacere, continuare a essere il proprio mito, di esagerare con
donne e feste per scacciare il declino. Nel loro Berlusconi c’è una pulsione
così forte verso la vitalità che è impossibile non condividerla, la lotta
umanissima per non tramontare personalmente in un uomo che identifica il
personale con il pubblico. Questa lotta egoista distrugge senza remore e senza
empatia tutto quello che è intorno a lui: Veronica, Mike, gli amici, i politici
e tutta la corte di miracoli che con le feste sperava di svoltare nella vita.
E proprio qui c’è l’ultimo grande tentativo, quello più fallimentare,
di un film che alterna (come troppo spesso capita a Sorrentino) il sublime con il raccogliticcio,
l’elevato e riuscito con il posticcio e il puerile. Come già in Il Divo, Sorrentino ha
l’ambizione di demistificare una figura gigante su cui esiste già una chiara
mitologia. Di Andreotti voleva cancellare l’idea di uomo intelligentissimo e al
suo posto fondare una mitologia vampiresca e ombrosa. Con Berlusconi vuole
cancellare la sua narrazione, quella del grande imprenditore vincente, e creare
quella del gaudente e vitale, del venditore ovvero “l’uomo
più solo del mondo perché parla sempre, senza ascoltare” (come gli
dice Ennio Doris, interpretato sempre da Servillo in
un’idea geniale di moltiplicazione di Berlusconi nei suoi collaboratori)
infelice anche se finalmente al governo.
Lo si capirà nello showdown finale con Veronica, il momento
culminante del film che tuttavia è anche il più diretto e sfacciato di un’opera
che invece in più punti sa essere sottile e realmente umana.
…Loro altro
non è che uno stralcio iper-realistico dell’ultimo quarto di secolo della
storia d’Italia, tratteggiato dal regista napoletano con la consueta cifra
stilistica felliniano-grottesca. Magistralmente. Come magistralmente Berlusconi
ha saputo incantare buona parte del Paese. Vendendo sogni impossibili. «Un
torero», come lo ha definito Sorrentino parafrasando Hemingway. Un torero
che, ancora oggi, ottantaduenne, si agita nell’arena.
…La visione
d’insieme di Loro è deficitaria proprio perché la
scrittura sembra perdersi nell’universo di un uomo (e suoi derivati) che è un
calderone ribollente, una megalomane controversia così costante da diventare
coerente.
Da qualche parte di questa galassia, anche le certezze di Sorrentino si smarriscono e chiedono informazioni ai passanti; persino le sue metafore, i suoi simboli e le sue esagerazioni divengono improvvisamente di imbarazzante innocuità.
Nel declino dell’iniziale vigore c’è spazio anche per una superflua parentesi sul terremoto a L’Aquila, pane raffermo e compassato per denti retorici, talmente poco sorrentiniano che sembra imposto.
Da qualche parte di questa galassia, anche le certezze di Sorrentino si smarriscono e chiedono informazioni ai passanti; persino le sue metafore, i suoi simboli e le sue esagerazioni divengono improvvisamente di imbarazzante innocuità.
Nel declino dell’iniziale vigore c’è spazio anche per una superflua parentesi sul terremoto a L’Aquila, pane raffermo e compassato per denti retorici, talmente poco sorrentiniano che sembra imposto.
Ripercorrendo a
ritroso l’intero tragitto di Loro, la sensazione è quella
di un viaggio suggestivo ma incompleto, più improvvisato che studiato, a cui
sfugge la sintesi di tutte le sue riflessioni, conducendo ad un capolinea di gran
lunga più estetico ed autocontemplativo che utile o analitico.
…Se hai messo in piedi un film di
oltre tre ore sulle avventure di Tarantini e le sue 28 mignotte a Villa
Certosa, in qualche modo devi portare a termine quel film che hai iniziato, non
puoi partire da altre parti. O forse lo puoi fare, ma devi portarmi qualcosa di
altrettanto forte. Invece Sorrentino liquida banalmente, con una battuta, la
coppia Scamarcio-Axen, come due parvenu che sono stati giocati dai
professionisti, e parte per un altro film, tutto fatto di dialoghetti,
mostrandoci Veronica che vuole il divorzio perché ha letto troppi articoli di Travaglio,
e non perché l’ha visto far lo scemo ai Telegatti, come nella celebre lettera a
“Repubblica”.
LORO SORRENTINO
BERLUSCONI SERVILLO VERONICA LARIO ELENA SOFIA RICCI
O mostrandoci il ritorno alla Presidenza e
subito dopo il terremoto de l’Aquila. Tutte cose che ben conosciamo, è vero, ma
che non servono a chiudere il film, perché il film è già chiuso da tempo. La
commedia alla Dino Risi, diciamo, era quella che vedeva la scalata della coppia
di parvenu a corte, ma i due personaggi vengono quasi dimenticati nella seconda
parte.
LORO IL BUNGA
BUNGA BY PAOLO SORRENTINO
Se Loro 1 poteva
imbarazzarci per una prima ora troppo molestatrice, e sembrava irrisolta perché
aspettavamo la seconda, la seconda, a sua volta, è irrisolta perché non
rispetta nessuna costruzione narrativa e si sfalda in qua e là. Peccato.
LORO BERLUSCONI
BY PAOLO SORRENTINO
Perché Loro 2 ha almeno
tre scene magistrali, e offre a Toni Servillo grandi momenti. E abbiamo capito
che più Sorrentino si allontana dalla realtà, dalla cronaca da docufiction, da
quello che i lettori del Fatto e di Repubblica pensano sia la realtà, più il
suo sguardo pop grottesco funziona. Detto questo, anche se non è un film
compatto, rimane un grosso tentativo di capire quello che abbiamo in Italia in
questi ultimi vent’anni. E in una stagione così disastrata, non è poco. Certo,
contro Thanos e gli Avengers può fare poco.
…Vien
quasi il dubbio che Sorrentino abbia come smarrito la via maestra che si era
prefisso e abbia finito per essere sovrastato da una materia
strabordante, che non riesce più a governare nemmeno in un film doppio. Se è
giusto che certi personaggi restino senza spiegazione (il misterioso «dio»
della prima parte o il valletto-segretario biancovestito con la calvizie di
Dario Cantarelli), si fatica a capire l’uscita di scena sottotono della coppia
Scamarcio/Axen, il frettoloso accenno al consumarsi della storia tra il
ministro Recchia e la bella Tamara, lo spegnersi della luce di Kira (una
Smutniak che in nome del suo ruolo da «ape regina» finisce per scavalcare con
eccessiva facilità i limiti del buon gusto). E quando invece il film sembra
trovare un respiro più disteso, ecco che torna a far capolino un moralismo ai
limiti del didascalico, come nell’insistito dialogo tra Berlusconi e una
Veronica decisa a divorziare. O in quello altrettanto superficiale con una
ventenne, che sembra costruito solo per permettere una battuta a scoppio
ritardato (quella sull’odore del detergente per dentiere). Per non parlare
dell’insistita volgarità con cui sono riprese le «olgettine» mentre cantano
«meno male che Silvio c’è».
È
proprio l’effetto d’insieme che lascia insoddisfatti, il disequilibrio tra le
scene, l’ambizione di voler dire tutto – privato, pubblico,
politica, amicizie, ambizioni, fallimenti – senza cercare di trovare un filo
che quel tutto lo leghi e lo interpreti. E che un finale con troppe ambizioni
metaforiche – la statua di un Cristo dolente che viene salvata dalle macerie
del terremoto dell’Aquila, tra la folla muta che osserva – finisce quasi per
ricondurre a scherzo blasfemo. Non si capisce se monito a un mondo che sembrava
insensibile alla sofferenza o sguaiato paragone alle macerie in cui si ritrova
chi si credeva indistruttibile.
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