un film da niente, una storiella leggera leggera, direbbe chi legge la trama, e si ferma lì.
perché poi il film è un capolavoro, il tempo lo fa splendere ancora di più.
la storia di un uomo e di una bambina, un gigante buono e una bambina che deve tornare a casa, la mamma è un po' incasinata e consegna la bambina per il ritorno, come se fosse un pacco postale.
solo che i due protagonisti sono vivi e diventano complici e amici, ogni giorno di più.
astenersi quelli che "...non reggo i film in bianco e nero", quelli che "... senza un po' di violenza e di sesso che film è?".
cercatelo e godetene tutti - Ismaele
una curiosità: nello stesso anno è uscito un altro gran film, Paper Moon, protagonisti una bambina e un uomo, anche loro in movimento.
perché poi il film è un capolavoro, il tempo lo fa splendere ancora di più.
la storia di un uomo e di una bambina, un gigante buono e una bambina che deve tornare a casa, la mamma è un po' incasinata e consegna la bambina per il ritorno, come se fosse un pacco postale.
solo che i due protagonisti sono vivi e diventano complici e amici, ogni giorno di più.
astenersi quelli che "...non reggo i film in bianco e nero", quelli che "... senza un po' di violenza e di sesso che film è?".
cercatelo e godetene tutti - Ismaele
una curiosità: nello stesso anno è uscito un altro gran film, Paper Moon, protagonisti una bambina e un uomo, anche loro in movimento.
Questo film merita l’appellativo paradossale di “classico del
cinema moderno”. Infatti, da una parte costituisce un caposaldo della
cosiddetta modernità cinematografica, ossia quell'estetica del filmare aperta,
episodica, sdrammatizzata e anti-narrativa suggerita da alcuni autori italiani
a partire dai tardi anni 40 (Rossellini, Antonioni) e messa in atto
radicalmente e sistematicamente da tutta una serie di nuove leve, in giro per
il mondo (dalla Francia al Brasile, dal Giappone alla Cecoslovacchia) nei primi
anni 60; dall’altra, tuttavia, questo di Wenders è un film talmente nitido e
risoluto nel distendere il suo tappeto tematico che, a differenza di tante
“imperfette” opere moderne, può contare su quella chiarezza di intenti propria
del cinema classico. E’ curioso (e un pochino sconfortante) constatare come lo
stesso Wenders sarebbe stato, nei decenni successivi, fautore di un cinema
spesso prolisso e ridondante, agghindato di futili orpelli poetici per coprire
quella che è stata (e continua ad essere, vista la sua valenza profetica) una
delle grandi conquiste della cinematografia contemporanea: la riflessione sul
rapporto fra realtà e rappresentazione (filmica, fotografica, scritta). Un tema
trattato da tanti autori, ma nessuno con la sagacia e l’acume di Wenders.
Sagacia ed acume che, sfortunatamente, si accompagnano ad una leggerezza di
sguardo solamente in alcune sue opere, specialmente quelle dei primi anni 70.
In “Alice nelle città” c’è tutto ciò che Wenders aveva di dire e avrebbe detto
nelle sue (troppe) opere successive, nonostante certa critica lo faccia passare
per eclettico ed ambizioso…
… Philip Winter è serafico, laconico, solo
all'inizio del film, incalzato da una sua amica che lo accusa di aver perso se
stesso (motivo per cui scatterebbe foto senza sosta, per fissare la propria
identità), afferma di voler proseguire il suo viaggio, senza conoscerne la
meta; e, forse, questa è l’unica condizione preliminare possibile per un
mutamento vero: non sapere esattamente dove si andrà a parare, mettendosi sulla
traccia di un Evento, rispetto alla cui globalità e infinità si è solo degli
‘operatori’ finiti e locali, ma ostinatamente determinati. Dov'è la casa di
Alice? Perché la mamma è sparita? E, soprattutto, perché Philip si porta dietro
la bambina, senza che abbia alcuna responsabilità nei suoi confronti? Un
destino da qualche parte è già segnato, aspetta solo che, con la nostra azione,
se ne completi il percorso. Un Wenders crepuscolare, disarmato, fa mostra di sé
e del proprio itinerario, in un rapporto di completa sincerità con il pubblico,
cui non cessa di mostrarsi per quello che è, senza alcuna sovrastruttura che
faccia da filtro…
… En el guion, Wenders, inspirado por la
lectura de un relato de Peter Handke, Carta
breve para un largo adiós, colaboró con Veith von Fürstenberg creando un
libreto en el que lo pequeño nos lleva a lo más grande. Solo en la celebrada Paris, Texas (1984) y en algunos momentos de El cielo sobre Berlín (Der Himmel
über Berlin, 1987) Wenders
lograría alcanzar tales cotas de emoción. El final de Alicia en las ciudades se nos mostrará con la misma sencillez
que el resto de la aventura: los dos protagonistas asomados por la ventanilla
de un tren dejando que el viento azote sus rostros. Quizá el último momento de
libertad que Alicia y Phil disfruten juntos.
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