lunedì 13 marzo 2017

Il diritto di contare (Hidden figures) - Theodore Melfi


ottimi interpreti (tra cui due che erano anche in Moonlight, e un rinato Kevin Kostner, e tutte le altre e gli altri) per una storia nascosta che finalmente possiamo conoscere tutti.
dietro un grande astronauta c'è una grande donna nera che fa i conti giusti per farlo tornare sulla Terra, e lui lo sa.
erano anni in cui il KKK bruciava i neri, e tornare a casa ogni sera, tutto intero, per un nero, non era semplice come per un bianco, oggi anche, ma nel 1961 e 1962 era difficile davvero.
solo pochi anni prima un medico nero, Charles Drew aveva "inventato" la trasfusione (qui), e poco dopo un genio al contrario aveva deciso che non si poteva mischiare il sangue dei neri e quello dei bianchi.
nel film il direttore della Nasa decide che i bagni separati dovevano sparire.
io lo farei vedere in tutte le scuole, lo possono capire tutti - Ismaele

ps: proprio oggi leggo qui la storia di Cecilia Payne-Gaposchkin








...Il diritto di contare mette in scena efficacemente il razzismo e il sessismo ordinario dei bianchi, concentrandosi sui drammi silenziosi che muovono la Storia in avanti. Suscettibile di incontrare il favore di un largo pubblico, Melfi sa bene quando spingere l'emotività dislocando lo sguardo sul romance di Katherine e James, Il diritto di contare segue la storia dell'esplorazione spaziale americana attraverso lo sguardo di tre eroine intelligenti e ostinate che hanno cambiato alla loro maniera il mondo. Hanno doppiato la 'linea del colore', inviato John Glenn in orbita e Neil Armstrong sulla Luna.

Film come Il Diritto di Contare sono forse l’unica categoria che invece che portare avanti un discorso ne ratifica la sua vittoria. Non si produce un film così, non si scrive e poi racconta una storia simile, con questo tono e questa sicurezza nell’assegnare colpe e meriti, se i fatti e i problemi messi sul piatto non sono già ampiamente digeriti, discussi, accettati e inglobati dalla società che poi riceverà il film. Questo non è il cinema di rottura, è semmai quello che presenta allo spettatore l’opinione che questi già ha in una forma affascinante, per confermare il suo pensiero tramutandolo in grande epica.

Il film è quasi interamente ambientato tra il 1961 e il 1962 e racconta parte della storia di queste tre donne (l’attenzione è focalizzata soprattutto sulla figura di Katherine Goble Johnson), attraverso la narrazione degli eventi che portarono al lancio in orbita di John Glenn. La ricostruzione degli aspetti scientifici è accurata, mentre l’aderenza ai fatti storici viene parzialmente messa da parte per esigenze sceniche. La West Area Computing Unit, per esempio, è ancora attiva nel 1961 e le leggi segregazioniste sono in vigore anche all’interno della NASA, tanto che Katherine Johnson, magistralmente interpretata da Taraji P. Henson, dopo aver cominciato a lavorare nello Space Task Group è costretta a percorrere un chilometro a piedi per poter raggiungere l’unico bagno riservato alle persone di colore. Mary Jackson (Janelle Monáe) si rivolge addirittura a un tribunale dello stato della Virginia per poter seguire i corsi serali che le consentiranno di diventare ingegnere, quando in realtà – come abbiamo visto – si era limitata a chiedere un permesso speciale al comune di Hampton, mentre i lavoratori bianchi del Langley Research Center sono dipinti come più razzisti di quanto non fossero in realtà; su tutti Paul Stafford, l’odioso ingegnere capo dello Space Task Group, interpretato dall’ottimo Jim ‘Sheldon Cooper’ Parsons. Insomma, gli sceneggiatori hanno scelto di accentuare le difficoltà e gli ostacoli delle protagoniste in modo da dare più risalto al loro coraggio e alla loro tenacia, a discapito dell’accuratezza storica. Tali libertà narrative, che sarebbero state inaccettabili in un documentario, sono però perfettamente comprensibili in un film come questo, e anzi ne costituiscono uno dei punti di forza. In questo modo l’impatto emotivo della storia è decisamente più forte e il film riesce, in sole due ore, a trasmettere tutta la sofferenza e la tensione dietro decenni di segregazione razziale. Per queste ragioni, Il diritto di contare è sicuramente un film riuscito, in grado di rendere perfettamente l’atmosfera di un periodo storico estremamente complesso, in cui le tensioni politiche della guerra fredda si intrecciano con le speranze della corsa allo spazio e la stupidità del razzismo non può che fare un passo indietro di fronte al genio di tre donne eccezionali.

A nosotros como espectadores también nos llena el alma ver películas como Hidden Figures. Aun siendo inofensivas, son importantes. Aun arriesgándose a ser inocentes y casi fantásticas (es una adaptación, y las mismas no pueden ser 100% fieles a la realidad), logran el objetivo primordial: reconocer la historia y permitirnos conocer personajes admirables que deberían ser nuestros ideales. Hoy el racismo es un hecho, no tan marcado como hace cincuenta años pero tampoco es un hecho menor. Pensar que estos ideales pueden ser mujeres afroamericanas será algo difícil de aceptar y, para algunos, será hasta vergonzoso. Pero quizás el espectador común podría aprender a cambiar un poco su mentalidad y ser más tolerante. Si este es un objetivo de quienes hicieron Hidden Figures, estoy seguro que de alguna forma y en alguna medida, será logrado.

La película es, como casi todos sus personajes, adorable. Es divertida, graciosa, tiene un gran ritmo y consigue su objetivo ideológico de punta a punta. El racismo y el machismo de aquella época hoy se ve como algo tan absurdo que no hay riesgo alguno en atacarlo y pasarle por encima. No hay polémicas en la película, todos estamos del mismo lado. Sí hay conflictos, angustia, pero que transcurra en el pasado ayuda a sentirse menos preocupado. Claro que funciona como una denuncia de la actualidad, pero jamás es agresiva y, tal vez por eso, muchísimo más efectiva. 
Es imposible no querer a las tres protagonistas, es complicado no lagrimear frente a los grandes momentos de la película, está fuera de discusión que cuando aparece Kevin Costner todos sabemos que es para hacer el bien y nada más que el bien. Esta no es la clase de películas que suele recibir premios porque el público es su gran objetivo. Pero si la coyuntura política le da nominaciones a Talentos ocultos y no a otros bodrios bajadores de línea de años anteriores, bienvenidos sean los premios. Gane o pierda, el objetivo político y cinematográfico lo logró con creces. Y sí, está basada en una historia real, lo que nos advierte con tiempo que debemos reservar nuestros pañuelos para el momento en el cual aparezcan los títulos del final con fotos y todo lo que uno imagina.

…il film non vende la sua anima, morde a più riprese mostrandoci tutti i modi più sottili in cui si manifesta il razzismo, anche nei modi apparentemente gentili di una Kirsten Dunst, o in quelli più spietati di Jim Parsons, e mostra poi la bellezza e l'importanza della matematica con tutto il suo fascino, e qui, gioca un ruolo importante e salvifico, un redivivo Kevin Kostner.
Aiuta così una colonna sonora decisamente black e decisamente anni '60 che pare uscita e curata da un episodio di Scandal, aiuta una ricostruzione degli abiti e delle scenografie di quegli anni davvero impeccabili.
Aiuta soprattutto una regia frizzante, che sa quando permettersi siparietti più leggeri tra tensioni innegabili, che sa evidenziare e sottolineare bene il periodo storico, l'importanza delle missioni speciali.
A fare la differenza, ovviamente, il trio di protagoniste d'eccezione dove alla candidata agli Oscar Octavia Spencer, più marginale, si preferisce la camaleontica Taraji P. Henson, vera sorpresa rispetto al ruolo tamarro interpretato nella serie Empire e la volitiva e combattiva Janelle Monáe, che dopo la piccola presenza in 
Moonlight è ormai lanciata nell'olimpo di Hollywood.
Così facendo, Il diritto di contare è un film che si mantiene in perfetto equilibrio tra film educativo e di intrattenimento, tra film informativo e di denuncia. E raccontando la storia di chi è rimasto per troppo tempo nell'ombra, senza diritti, appare tristemente e purtroppo, attuale.


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