giovedì 23 marzo 2017

Il disprezzo (Le Mépris) - Jean-Luc Godard

in qualche cinema è ri-apparso questo film di Godard.
la versione italiana di pare che sia vergognosamente tagliata, e ho aspettato di vederlo come è stato pensato e girato ab origine.
l'attesa è stata premiata, senza alcun dubbio.
il produttore del film sembra contenere dentro di sé Carlo Ponti.
ah, quanto è stato preveggente Godard!
il suo film contiene anche un po' della grande bellezza di Sorrentino, la morte di Cinecittà è tristissima.
gli interpreti sono perfetti, Michel Piccoli e Brigitte Bardot sono una coppia perfetta, che dura poco, poi le cose della vita, del cinema, le scelte, i tempi, il detto, il non detto, tra le altre cose, li fanno allontanare, si apre un abisso fra i due.
Fritz Lang, che interpreta se stesso, è il vecchio saggio; il produttore Jack Palance è il padrone delle vite degli altri, potente e squallido come gli altri padroni, convinti che tutto si può comprare.
il film è pieno di citazioni di mille tipi, tra cui la frase dei fratelli Lumière, sul cinema come invenzione senza futuro, invece il film di Godard dimostra che i fratelli francesi avevano torto marcio, per nostra fortuna.
vogliatevi bene, cercatelo e guardatelo tutti - Ismaele







Attivista politico e giornalista, Moravia ebbe accesi contrasti con il regime fascista, per cui fu costretto ad allontanarsi da Roma. Tra il 1967 e il 1968 visse come corrispondente in Cina, Giappone e Corea, e i suoi articoli vennero raccolti nel libro La rivoluzione culturale in Cina. Nei suoi romanzi ha esplorato i temi della sessualità moderna, dell’alienazione sociale e dell’esistenzialismo. Romanzi come La noia e, appunto, Il disprezzo contengono i temi centrali che caratterizzano la visione profondamente critica che aveva della società a lui contemporanea: l’aridità morale, l’ipocrisia della vita moderna e la sostanziale incapacità degli uomini di raggiungere la felicità. Godard nel suo film, riprende queste tematiche e in più trasforma la tragedia piccolo-borghese di Emilia e Paolo (i protagonisti del romanzo) in un’intensa riflessione metacinematografica tanto ironica quanto amara. Godard ci mostra il dissidio dell’uomo moderno e della sua tragica odissea, intrappolato nel conflitto tra arte e merce, tra la bellezza eterna del classico e il disincanto instabile della modernità.
Non a caso, difatti, c’è il forte legame con l’Odissea: in questa svendita della bellezza, che così va miseramente a perdersi, non resta altro che un disarmante senso di precarietà. Ulisse diventa l’emblema di questa instabilità, tragico eroe che non riesce a raggiungere la sua patria e, nel finale, si trova davanti solo il mare. Il diverbio tra il protagonista e sua moglie diventa lo spunto per l’idea di una reinterpretazione del poema: Ulisse, non amando più Penelope, volontariamente non ha voglia di tornare da lei e le intima di essere gentile con i suoi corteggiatori. Così il mito diventa raffigurazione della vicenda dei protagonisti, riducendosi a specchio di una banale routine, privo di grandi valori ed eroiche gesta. In questo scenario di conflitto tra arte e industria troneggia lo sguardo del cinema, personificato in Fritz Lang che pieno di sarcastica sfiducia osserva i personaggi di questa vicenda, i quali si guardano e si giudicano, emblema di una classicità imponente che non trova eco nella modernità consumistica, rappresentata dalla figura del produttore. Come due divinità essi si scontrano e si respingono, senza sbocchi di comprensione…

Le Mépris – che bello, il titolo in francese, più insinuante di quello italiano – c’è molta dell’audacia sperimentalista del suo autore, della sua voglia di esplorare e fabbricare il nuovo, e insieme c’è il massimo sforzo da lui mai tentato di avvicinarsi al cinema mainstream, di largo consumo. Nessun altro titolo godardiano cerca di essere un film (anche) da pubblico come questo, nel sogno forse impossibile di conciliare l’urgenza di una propria visione di cinema con quella dell’industria, un tentativo che non si ripeterà più nella carriera di JLG. Forse il massacro da parte di Ponti lo indurrà a ritrarsi, a optare per quel radicalismo, espressivo e anche di mezzi e modi di produzione, che ne farà il cineasta più rivoluzionario – in ogni senso – del secondo Novecento, anzi l’incarnazione stessa del cinema come rivoluzione. Se Il disprezzo non fosse stato stravolto dal suo produttore, se il pubblico ne avesse fatto un successo, forse avremmo avuto un altro Godard.
Certo che oggi si resta stupefatti di fronte alla ricchezza del film, alla sua pluralità di livelli e alla pluralità di letture e interpretazioni cui si presta. Al suo essere una sorta di laboratorio in cui Godard incessantemente sperimenta ed esplora. Trasformando anche i più scontati passaggi del plot – in fondo, si tratta della solita crisi di un amore, con corna e rinfacci e rimbrotti -  in occasione per inventare cinema. La sequenza iniziale, per dire: i due a letto, con BB nuda, e la macchina da presa a solcare il suo corpo, e insieme la voce di lei a classificare, nominare, elencare erotizzandole le parti di sé, è già un esempio folgorante. E la parte centrale, il cuore del film, il suo nucleo, con la coppia già disamorata che si aggira cercandosi, scontrandosi, evitandosi nell’appartamento romano di gelida modernità, e se ricordo bene con la macchina da presa a seguire in un lunghissimo, vistuosistico piano sequenza soprattutto lei (e qui, BB strepitosissima e assolutamente godardienne): una scena che distrugge ogni convenzione su come-si-racconta-una-coppia riportandola al tempo, al ritmo della vita così com’è. In un’operazione che non è bieco naturalismo, ma reimmissione del cinema nel flusso del reale (e viceversa)…

…Le sujet du Mépris est de regarder ce qui s'est passé dans un couple, non pas pendant des années comme dans le cinéma des scénaristes mais pendant un dixième de seconde, celui précisément où le décalage a lieu, où la méprise s'est installée pour la première fois. Ce dixième de seconde, à peine visible à l'œil nu, où les vitesses ont cessé d'être synchrones. Encore une affaire de montage : revenir sur la coupe pour trouver l'accord ou le désaccord. Et dans cette enquête sur un sentiment, il nous faudra revenir plusieurs fois sur le lieu du crime sur cette scène sans drame où Camille monte pour la première fois dans la voiture de Prokosch qui démarre d'abord lentement comme au ralenti, puis d'un seul coup en trombe devant Paul qui en sait quelle vitesse adopter. Et il ne faut pas s'étonner si cette enquête passe par L'Odyssée qui est aussi une affaire de trajectoire, de tours et de détours, de vitesses différentielles. La crise que Paul traverse c'est celle de quelqu'un qui s'affole car il n'arrive pas à trouver la bonne vitesse et qui se met à bouger par saccade dans tous les sens. Le pathétique du personnage, c'est qu'il cherche à fixer des sentiments avec des mots et que dans son affolement de ne pas arriver à comprendre (là où il n'y a sans doute rien à comprendre avec des mots qui ne renvoient qu'à eux-mêmes, mais tout à regarder, ce que Camille sait mieux faire que lui comme le prouve ce dialogue où il lui demande : "pourquoi tu as l'air pensive ?" Et où elle lui répond : "c'est parce que je pense, imagine-toi"), il se heurte précisément aux apparences, à la surface des choses où il n'a pas la patience, ni la sagesse de chercher la vérité. Dans cette précipitation à comprendre, il va se heurter à l'inertie de Camille qui sait elle que l'amour passe par une attention à la surface, comme le montre la fameuse scène d'ouverture aux masques et aux remparts dont s'entoure Jérémie Prokosch et à la sagesse suprême de Fritz Lang qui est celle des dieux, à la fois ironique et bienveillante, totalement réconciliée.
Comme le disait lui-même Jean-Luc Godard dans le compte-rendu de son film dans les Cahiers du cinéma d'août 1963 :
"le Mépris est un film simple et sans mystère, film aristotélicien, débarrassé des apparences, le Mépris prouve en 149 plans (176 après montage) que, dans le cinéma comme dans la vie, il n'y a rien de secret, rien à élucider, il n'y a qu'à vivre et à filmer"
Comment parler des choses les plus simples (l'émergence d'un sentiment, les différences de comportement) en les incarnant dans des images sublimes et définitives. Succession de plans magnifiques montés musicalement, les saccades désordonnées de Piccoli, les accélérations de Jack Palance et le rythme étale de Fritz Lang. D'une ligne à l'autre, il ne reste plus que l'intensité sans la substance, la vitesse sans la masse, l'émotion sans le pathos afin de saisir les différences de rythmes et de comportements (la sublime inertie de Bardot)
Pourtant Godard a pris grand soin dans son scénario de définir ses personnages :
Camille n'agit que deux ou trois fois dans le film. Et c'est ce qui provoque les trois ou quatre rebondissements véritables du film, en même temps que ce qui constitue le principal élément moteur.
Mais contrairement à son mari, qui agit toujours à la suite d'une série de raisonnements compliqués, Camille agit non psychologiquement, si l'on peut dire, par instinct, une sorte d'instinct vital comme une plante qui a besoin d'eau pour continuer à vivre.
Le drame vital entre elle et Paul, son mari vient de ce qu'elle existe sur un plan purement végétal, alors que lui vit sur un plan animal.
Si on se pose des questions sur elle, comme le fait Paul, elle ne s'en pose aucune. Elle vit de sentiments pleins et simples, et n'imagine pas de pouvoir les analyser. Une fois le mépris pour Paul entré en elle, il n'en sortira pas, car ce mépris, encore une fois, n'est pas un sentiment psychologique né de la réflexion, c'est un sentiment physique comme le froid ou la chaleur, rien de plus, et contre lequel le vent et les marées ne peuvent rien changer ; et voilà en fait pourquoi le Mépris est une tragédie.
Paul est d'un aspect un peu antipathique, dans le genre gangster de film, mais d'une antipathie sympathique, si l'on peu dire, secrètement attiré que l'on est par son côté renfermé, maussade, souvent provocateur, qui cache une âme tourmentée, rêveuse, qui se cherche elle-même. Avec l'argent qu'il gagnera, Paul espère pouvoir enfin se consacrer tranquillement à la pièce de théâtre qu'il médite depuis longtemps mais en est-il vraiment capable ? Son ambition change trop souvent de sens pour être vraiment pure. Du moins il pense que Camille pense peu à peu ça de lui et que c'est une raison supplémentaire qui alimente le mépris qu'elle a conçu pour lui. Sur ce point Fritz Lang dans les discussions qui les oppose l'un à l'autre au sujet des aventures d'Ulysse, lui fera la morale. La vérité s'opposera ainsi au mensonge, la sagesse à l'esprit brouillon, un certain sourire grec, fait d'intelligence et d'ironie, à un sourire moderne incertain, fait d'illusion et de mépris. C'est l'insécurité perpétuelle de Paul qui doit être touchante, car elle est néanmoins, malgré les apparences signe de candeur et de non-méchanceté. Jérémie Prokosch américain du nord, né à Tulsa, il y a environ 37 ans. Il a sauvé Francesca à la fin de la guerre d'un camp de concentration allemand et ne se prive pas de le lui faire sentir. Jérémie Prokosch est producteur par orgueil bien plus que par intérêt, comme la majorité des producteurs. Il a toujours dans sa poche ce que Francesca appelle sa bible, un petit livre plein de maximes, dont il se sert quand il est pris de court dans une discussion ; Jérémie Prokosch n'est ni homme ni dieu, amis comme tous les grands producteurs, seulement un demi-dieu, ce qui est sa force et sa faiblesse. Il voudrait comme Dieu, en effet, façonner les hommes à son image. C'est oublier dira Lang que ce ne sont pas les dieux qui ont créé les hommes mais les hommes qui ont créé les dieux !
Aujourd'hui, Fritz Lang, l'auteur de Mabuse, ressemble un peu à un vieux sage indien, sage serein, qui a médité longtemps et enfin compris le monde et qui abandonne les sentiers de la guerre aux jeunes et turbulents poètes.
Francesca Vanini est une jeune femme italienne d'environ 25-26 ans les cheveux noirs, l'air un peu eurasienne, vive et jolie. Elle parle quatre langues, le français, l'américain, l'allemand et l'italien naturellement. Elle escorte Jérémie Prokosch jour et nuit, et lui sert autant de secrétaire particulière que de chargée de presse pour ses firmes la Compagnie Cinematografica Minerva et la Jérémie Prokosch and Associates. Le film étant parlé en plusieurs langues, le rôle de Francesca sera de traduire simultanément les conversations à deux, trois ou quatre langues, suivant les nécessités du moment. Elle le fera de son propre chef, comme quelque chose d'admis sans que personne même ne lui demande. Sa voix, ainsi sera comme un violon supplémentaire qui paraphrase dans d'autres tons les mélodies des autres violons du quatuor formé par Camille et Paul Javal, Fritz Lang et Jérémie Prokosch
La deuxième partie du film se passe à Capri le seul décor utilisé est celui de la villa Malaparte avec, aux alentours, les énormes et grandioses blocs de rochers sauvages plongeant directement dans le royaume de Poséïdon, lequel, ne l'oublions pas, est l'un des seuls dieux à ne pas aimer Ulysse et à ne pas le protéger. C'est pour cette raison que la situation géographique de la villa est importante. Seul face à la mer, elle renforcera l'idée d'un monde odysséen, en lui donnant une réalité et une présence quasi palpable. Toute la deuxième partie sera dominée du point de vue couleurs par le bleu profond de la mer, le rouge de la villa et le jaune du soleil, on retrouvera ainsi une certaine trichromie assez proche de celle de la statuaire antique véritable. Dans tout le film, le décor ne doit être utilisé que pour faire sentir la présence d'un autre monde que le monde moderne de Camille, Paul et Jérémie Prokosch. Les scènes de l'Odyssée proprement dite, c'est à dire les cènes que tournent Fritz Lang en tant que personnage, ne seront pas photographiées de la même façon que celles du film lui-même. Les couleurs en seront plus éclatantes plus violentes, plus vives, plus contrastées, plus sévères aussi, quant à leur organisation. Disons qu'elles feront l'effet d'un tableau de Matisse ou Braque au milieu d 'une composition de Fragonard ou d'un plan d'Eisenstein dans un film de Rouch. Disons encore que d'un peint de vue purement photographique, ces scènes seront tournées comme de l'anti-reportage. Les acteurs y seront très maquillés. La lumière du monde antique tranchera ainsi par sa dureté par sa netteté de celle du monde moderne où s'agitent nos héros (ou plutôt nos pantins- car les héros ce sont Ulysse et ses compagnons
Contrairement au roman, le temps n'est pas fragmenté en une série de petites scènes s'étalant sur plusieurs moins, mais composé de quelques longues scènes s'espaçant sur une durée de quelques jours. Il s'agit, dans le film, de raconter l'histoire à la fois du point du vue de chaque personnage, surtout Paul et Camille et d'un point de vue extérieur à eux et c'est ici que le personnage de Fritz Lang prend toute sa valeur.

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