martedì 28 marzo 2017

Vedete, sono uno di voi - Ermanno Olmi

Vedete, sono uno di voi non è solo un film sul cardinale Martini, e non è solo un film di Olmi, a me è sembrato un film su Ermanno Olmi che cura una biografia sul cardinale Martini, sugli anni che hanno vissuto, e quindi è anche una storia dell'Italia.
lo sguardo di Olmi non è mai freddo, è davvero coinvolgente, e Martini riesce a farsi capire da tutti.
è in pochissime sale, forse quindici, se capita nella vostra zona non perdetevelo, è un film di Ermanno Olmi - Ismaele









Quest’ultimo lavoro di Olmi, presentato a Milano il 10 febbraio e proiettato la sera stessa in Duomo, in occasione dei 90 anni dalla nascita del Cardinale che guidò la Diocesi Ambrosiana, è un film d’una potenza straordinaria, emotivamente pregnante. L'adesione rispettosa nel riportare i testi scritti da Martini nella sceneggiatura della pellicola, si perde nel montaggio sequenziale che diventa invece espressione d’emotività, che è forse la via più vicina ai tanti ed esclusivi significati delle nostre comuni esistenze. Finalmente l’utilizzo del credito d’imposta previsto dalla legge ha dato vita ad un film profondamente utile e che non ha bisogno di riconoscimenti ufficiali, per palesarsi da subito come qualcosa di profondo interesse culturale. Semplice, chiaro e lineare a livello di sceneggiatura e di immagine, il film sintetizza nella visione estremamente lucida di Martini, quasi cento anni di analisi, osservazione e riflessione sulla nostra società. Sull’Europa, l’Italia, Milano e Roma in particolare, ma anche sulla Gerusalemme contemporanea e soprattutto sul concetto di Democrazia.
L’onestà intellettuale del Cardinale arriva dritta allo spettatore così come quella di Olmi e del coautore Garzonio. La figura di Martini ci mette di fronte alla verità dell’umiltà, alla funzione del pensiero e della speculazione intellettuale rispetto alla realtà: all’impatto che le idee hanno sulla società umana, cosa della quale spesso ci si dimentica. Olmi ha dichiarato che il film dovrebbe portare a chiederci, come pubblico, cosa facciamo per la nostra società: per la democrazia, per la chiesa e per il popolo in generale. È un film che parla del pensiero: di come si sviluppa, della sua importanza, e che allo stesso tempo mette in moto le menti degli spettatori.  Nella consapevolezza di Martini che tutte le verità contengono qualcosa che le rende simili, questa pellicola oltre a colpire e commuovere, facendoci ripercorre le nostre vicende, sia personali che sociali e dunque politiche, ci invita a porci in ascolto e dunque ad indagare: su noi stessi, sulla nostra esistenza, e sulla direzione che stiamo prendendo come umanità

Il titolo dice tutto. Dice del vedere il film, e dice del voi a cui è indirizzato: quel voi siamo noi, ma anche Carlo Maria Martini ed Ermanno Olmi. In realtà, abbiamo un dubbio, ed è in quel sono: non è prima persona singolare, ma terza plurale, sono Olmi e Martini insieme.
Il documentario è Martini secondo Olmi, ma anche Olmi secondo Martini, e dunque Martini e Olmi secondo noi spettatori e viceversa: non casualmente, il controcampo è sovente campo, e sempre ineludibile, ed è la Storia. vedete, sono uno di voi passa in rassegna il nazifascismo, dall’ora delle decisioni irrevocabili del 10 giugno 1940 al cadavere di Mussolini preso a calci in testa a Piazzale Loreto, gli anni di piombo e le vittime del terrorismo, quali Vittorio Bachelet e Aldo Moro, Tangentopoli e la discesa in campo di Berlusconi, che perlustra l’hinterland a scopo edilizio e viene tallonato dall’Olmi che sferza in voce over la “Milano infestata da tre pestilenze: solitudine, corruzione e violenza”…

Quel che Olmi ci vuole dire in questa dinamica tra la violenza della Storia e l’anelito di pace (e di dialogo) incessantemente proposto da Martini è la lotta di un uomo contro il male oscuro dei suoi simili, una lotta necessariamente impari ma che ha il merito (e l’ingenuità, se vogliamo) di essere mossa dalla bontà assoluta.
L’uomo buono può cambiare il mondo, può rivoluzionarlo? Forse sì, ci dice Olmi con vedete, sono uno di voi; ma, quando poi quest’uomo muore, scompare tutto con lui, non resta niente se non qualche muro disadorno e un paio di suppellettili. Così le ultime parole di Martini, sempre recitate da Olmi, sono rivolte all’accusa verso le forme che aveva assunto la Chiesa cattolica come istituzione nei primi anni Duemila; e così vediamo un’ultima intervista in cui Martini anziano, malato, e quasi senza voce dà un’ultima benedizione, tristemente grottesca perché fatta non alla presenza dei fedeli ma a quella di una telecamera.
E quel mondo che sparisce con gli uomini che gli hanno dato forma è un mondo fatto di speranze ed illusioni perdute: la guerra è finita, il terrorismo è stato sconfitto, il cardinale Martini è diventato un santo, ma cosa ci rimane tra le mani? Nulla. Come in torneranno i prati è l’umano che si congeda e che evapora. Se resta un qualcosa al di là della vita non lo possiamo sapere, perché dobbiamo – sempre – confrontarci con il silenzio di Dio. E al cinema non resta che rintracciarlo nella sensazione – eternamente speranzosa ed eternamente disattesa – di un’assenza più acuta presenza…
… Con tatto e finezza di sguardo, Olmi ripercorre la storia personale di Martini, intrecciandola con i suoi pensieri, ritenuti “laici” per le cariche che ha ricoperto. Il bello di quest’uomo religioso e, di conseguenza, punto di forza di vedete, sono uno di voi è il suo indirizzarsi a tutti, a tutti noi appunto, senza pensare di intercettare soltanto i credenti.
La storia personale di Martini si intreccia con la Storia con la “S” maiuscola (a partire dal periodo della Seconda Guerra Mondiale), ne viene condizionato e soprattutto, se c’è un aspetto, tra i tanti, che colpisce è il suo imparare ad ascoltare gli altri, il prossimo, lui che era abituato a essere un religioso con le “sudate carte”.
Olmi entra in punta di piedi in questa vita e in quella stanza, che verso la fine scopriremo cosa sia stata. Vedete, sono uno di voi racconta tanto di Milano, riuscendo a commuovere anche chi ha scelto questa città per viverci senza esservi nato. Bastano soltanto le immagini di Piazza Fontana e la reazione di Martini a quel terrore che sempre più penetrava nella vita quotidiana negli anni critici, a mostrare un servo di Dio nel suo smarrimento (nell’accezione positiva), quello stesso smarrimento che viveva la gente attorno a lui. É, appunto con la nomina ad arcivescovo di Milano (1979) che il religioso muta, sviluppando una luce umana nuova, in linea coi tempi e con le persone, non più chiuso tra le mura di una biblioteca. S’impasta con le periferie, con gli ultimi nelle carceri e tutto ciò accade spontaneamente. «Avevo fatto a Martini la prima intervista per Rai Uno, subito dopo la nomina, mi mise in imbarazzo per come ascoltava», ha dichiarato il regista di torneranno i prati durante la conferenza stampa milanese. Bisogna saper “sostenere” lo sguardo di chi ti ascolta, anche perché non si è più abituati – ci sentiamo di aggiungere noi. Martini ha fatto sempre qualcosa che lo facesse crescere e ha capito che essere uomo dei passi sulle strade dell’umanità era più importante»…

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