giovedì 2 gennaio 2014

The spirit of ’45 – Ken Loach

è un documentario, passato anche nelle sale italiane, a settembre del 2013, per pochi giorni in pochissime sale.
da un documentario di Ken Loach non ci si può aspettare imparzialità, per fortuna, lui è un partigiano.
si raccontano, con immagini e parole degli intervistati e dei protagonisti, le vicende del welfare, perché e come è nato e come viene smantellato a partire da Thatcher.
è illuminante il commento di un vecchio operaio che dice che "fra le due guerre avevamo l'impero più grande del mondo e in patria i poveri dormivano mangiati dalle cimici, i bambini non avevano scarpe, vivevamo negli slum più miserabili d'Europa".
l'etica e la nobiltà del pubblico e dei beni comuni Ken Loach ce li ricorda, e ci ricorda che dopo la seconda guerra mondiale un altro mondo era possibile, e il welfare laburista è stata la cosa più vicina al socialismo in tutta la storia d'Europa.
ed è una storia che ci riguarda, tutti i giorni.
cercate il film, una visione non potrà far male a nessuno, anzi... - Ismaele





Ken Loach firma un interessante documentario sulle trasformazioni della Gran Bretagna dal ’45 (e prima) a oggi, sottolineando con il suo occhio ‘profondamente sociale’ tutte le inversioni di tendenza (che hanno indotto segno positivo o negativo) attraversate dal suo Paese a partire da quei giorni di ricostruzione post Seconda Guerra Mondiale. Un lavoro che ha senza alcun dubbio il suo ‘limite di appetibilità’ nel chiaro posizionamento ideologico del regista ma che non manca (tuttavia) di fornire molte chiavi al fine di una comprensione più ampia di questi bui tempi di crisi internazionali.

…The spirit of '45 ripropone al pubblico del Ventunesimo secolo quell'etica del servizio pubblico contraddetta dal tatcherismo (recente oggetto di celebrazione cinematografica in The iron lady) chiedendo agli spettatori di ritrovare quello spirito generoso e carico di ottimismo. "Dobbiamo combattere il concetto che il profitto fa girare il mondo", dice. Loach cerca di ricostituire anche filmicamente il patto generazionale fra anziani e giovani su cui edificare la ricostruzione, ricordando il tempo in cui le parole d'ordine erano comunità e condivisione. Dunque usa un montaggio secco e veloce, giustappone con disinvoltura le immagini del passato a quelle della contemporaneità, segue un ritmo narrativo che accontenta il gusto contemporaneo anche se racconta storie "vintage".
The spirit of '45 funziona nella struttura a specchio (la prima metà dedicata alla costruzione, la seconda alla decostruzione), nella delicatezza con cui raccoglie le testimonianze dei reduci di un'epoca tramontata, nell'uso di un bianco e nero "storicizzante" che rende fluido il passaggio fra materiali di archivio e interviste recenti. E chiude con un tocco supremamente cinematografico: la fine è palindroma all'inizio, ma con un... tocco di colore che fa tutta la differenza.

Le parole, ferme nella condanna politica, che il regista pronunciò subito dopo la morte della Thatcher, sono d'altronde molto esplicite. Anzi: in un mondo che mostra, oggi più che mai, un preoccupante deficit di memoria, e che tende immediatamente a santificare i morti, siamo convinti che, se The Spirit of '45 fosse arrivato la scomparsa della Thatcher, i riferimenti al presente della Gran Bretagna e all'eredità che esso porta con sé, sarebbero stati ben più presenti e marcati. Nel film, d'altronde, è sempre presente (prima a livello implicito, poi esplicitamente quando si esaminano le riforme economiche post-1979) il confronto tra la Gran Bretagna di quell'epoca e quella di oggi: confronto che è, anche, tra due modelli economici e sociali, nonché tra lo "spirito" del titolo e quello, di segno opposto, che un trentennio dopo ne annullò quasi tutte le conquiste.,,

Il montaggio è tagliente, sfacciatamente parziale, crudelmente ironico: nell’ultimo terzo del film la privatizzazione convulsa sembra riavvolgere a ritroso le immagini viste nella prima parte, cancellare le orme dello spirito del ‘45, inabissare il paese con il fast forward. Non dimentichiamo che il regista, solo pochi mesi dopo la presentazione del documentario, chiosò così la morte della Thatcher: «È stata una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state facilitate dalla corruzione della dirigenza laburista e di gran parte dei sindacati. [...] Come la dovremmo onorare? Privatizziamo il suo funerale. Indiciamo un’asta competitiva e accettiamo l’offerta più bassa. È quello che avrebbe voluto lei». Loach non cerca l’oggettività, né la ricostruzione storica: soffia sulle braci, espande il suo bianco & nero anche al presente per dirci che l’oggi è tangente a quegli anni 30, solo meno sgranato. La sua è un’opera esile, lacunosa, imperfetta: ma ha il grande pregio di sapere da che parte stare.

La soluzione ai problemi del presente sembra poter provenire da un sogno del passato, trasformato felicemente in realtà e poi troppo frettolosamente accantonato. La svolta potrebbe avvenire voltando le pagine all’indietro, fino a ritrovare il racconto di un progetto che, una volta tanto, aveva davvero funzionato. Questa è la tesi sostenuta da lavoratori e funzionari, dagli operai delle miniere e dagli studiosi del libero mercato. Una visione nettamente di parte, ma vissuta con la passione di chi, nonostante l’inarrestabile dilagare della crisi, crede ancora nell’impossibile. La sua sostanza è la poesia la cui tristezza affonda le radici di un’amara realtà, mentre i suoi rami si protendono al di là dell’orizzonte; la concretezza è la base a cui guardare con obiettività, senza però rinunciare a volare con la fantasia…

La razón de ser de El espíritu del 45 no es la autocrítica, no es ofrecer alternativas, es la militancia. No es un tratado histórico-político con múltiples lecturas, es una octavilla combativa con un solo mensaje. El idealismo de la memoria queda reflejado en el colorido final, reflejo de un tiempo que fue mejor. La virtud se encuentra en la necesidad de este film. La izquierda ha sido incapaz de defender la capacidad de intimidación de la población, y los neoliberales no ven motivos para no limitar las concesiones sociales y establecer unas reglas de juego más a su favor. Ken Loach busca enaltecer la conciencia colectiva desde la memoria y el testimonio. Busca conmemorar un hito que otorgue esperanza, que reste presencia al desencanto y a la desilusión de un mundo a la deriva.
da qui

2 commenti:

  1. quando nei tg gli Illustri Commentatori dicono "siamo tornati indietro a vent'anni fa, a trent'anni fa", io dico: "MAGARI!!!". Vent'anni fa eravamo fra le prime cinque potenze economiche e industriali al mondo, mica poco. Trent'anni fa, i miei amici e conoscenti operai e impiegati hanno potuto comprare la casa, fare figli, crescerli bene, farli studiare...e anche ammalarsi in tutta tranquillità, guarire nel tempo necessario, senza perdere il lavoro. Ma questi sono così scemi che non si accorgono di quello che succede nemmeno se ci vanno a sbattere contro... (chiedo scusa, I'm sorry, ma bisognerà pur cominciare a usare le parole giuste - e una generazione che butta via in meno di dieci anni tutto questo, che altre parole si merita?).
    Ken Loach ha al suo attivo (tra gli altri) un film che tutti avrebbero dovuto vedere con attenzione: "The navigators", che da noi è arrivato con un titolo stupido, Paul Mick e gli altri. Lo dico perché è uscito nel 2002, ieri: a quel tempo si poteva ancora salvare qualcosa.

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    1. quando ho sentito della Chrysler e della Fiat ho pensato agli autobus Irisbus, fabbrica chiusa.
      un tempo, pochi decenni fa, esistevano legami fra industrie e territori, ora è un deserto, come dice Marx, sempre più quello che guida tutto, con gli stati e le partecipazioni statali sono evaporati, è il saggio di profitto, banche e fondi d'investimento guidano l'economia, e le vite di tutti, tutto è anonimo, non ci sono più facce che stanno dietro le decisioni, solo entità.
      citi quel film sulle ferrovie, e tutto il resto di Ken Loach, ti segnalo, se ti fosse sfuggito, "Louise-Michel", è già detto tutto, il mondo di oggi, meglio di tante parole truffaldine che ci dicono tutti i giorni.

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