l’ultima serata di un cinema, l’ultimo spettacolo è un
vecchio film di arti marziali.
(quel cinema ricorda uno di quelli che anche da noi non
esistono più, lasciati decadere, sempre più “sgarruppati”, adesso ci sono le
multisale).
casualmente (?) “L’ultimo spettacolo” è anche il titolo di un
grande film di Peter Bogdanovich (qui),
anche lì una sala chiude, l’ultimo spettacolo è un film western.
il mondo cambia, sale così e film così, che sono state la
vita, muoiono, non servono più.
la sala è popolata di fantasmi, forse, tra cui alcuni che
lavoravano nel cinema, e resteranno vivi fino a che qualcuno li ricorderà, li
vedrà nelle pellicole.
a parte le parole dell’ultimo spettacolo proiettato nel
cinema, praticamente non si parla nel film, ma non te ne accorgi, sei catturato
e non hai scampo, ti ricordi che il cinema è nato come immagini in movimento,
le parole sono venute dopo.
è un film sulla morte di una sala, magari solo un film sulla
morte, i movimenti dei due lavoratori del cinema, che non si incontrano mai,
sono come quelli di due infermieri che curano e preparano un vecchio malato nell’ultimo
viaggio.
un capolavoro sulla fine, da non perdere - Ismaele
Abissale. Goodbye, Dragon Inn è letteralmente l'abisso, che
sprofonda e dal quale è impossibile emergere. È il cinema che muore, o
forse è già morto e Goodbye,
Dragon Inn ne è il requiem,
un feretro che Tsai, qui più asciutto che mai, trasporta senza cerimonie di
sorta né rimpianti e malinconia, perché la malinconia si genera nella memoria,
alla quale si direbbe che il taiwanese avesse già rinunciato ai tempi di Dong, e, soprattutto, la malinconia si genera da una
strana forma di consapevolezza per cui ciò che avrebbe potuto essere non sia
stato o sia stato altrimenti, ed è sempre uno stato che trascina il malinconico
nel passato, la malinconia, ma in Goodbye,
Dragon Inntutto è presente e il solo passato, quello del film in
proiezione, è un passato falso, di un temporalità differente rispetto a quella
vissuta dai personaggi che brancolano nel cinema; è, Goodbye, Dragon Inn, un
funerale dal punto di vista del morto, il quale piange la propria condizione
presente, a differenza degli astanti che lo piangono a causa di una riflessione
del passato nel presente, di ciò che hanno condiviso con lui e non potranno ora
più condividere…
…La lentezza, forse, è quella della vita
stessa che si ostina a non correre appresso a tanta robaccia per poter rimanere
sicura delle proprie radici. Una lentezza che crea nel film quasi dei quadri
(che assomigliano a delle nature morte ma non lo sono). Se il cinema è per sua
stessa natura, "movimento", allora questo film è vita. Ma allo stesso
tempo è anche cinema: in fondo c'è uno schermo, anzi due.
D'altra parte anche la sensazione che il film lascia ("il dopo"), cresce molto lentamente. Già dopo mezz'ora il film sembra irritante per quanto è statico. Dopo però, quando si esce dal cinema, è come se avessimo vissuto un'esperienza diversa.
Il fatto è che il film conserva i ritmi già lenti (almeno per noi occidentali) di molto cinema orientale, rallentandoli ulteriormente. E tutto questo è raccontato, non in maniera spocchiosa o fredda, anzi c'è un'esplicita sensazione di commozione e ironia, elementi che, anche loro, hanno contribuito a far sì che il sogno del cinema nascesse.
Ed è per questo che lo sentiamo così vicino alla nostra vita.
D'altra parte anche la sensazione che il film lascia ("il dopo"), cresce molto lentamente. Già dopo mezz'ora il film sembra irritante per quanto è statico. Dopo però, quando si esce dal cinema, è come se avessimo vissuto un'esperienza diversa.
Il fatto è che il film conserva i ritmi già lenti (almeno per noi occidentali) di molto cinema orientale, rallentandoli ulteriormente. E tutto questo è raccontato, non in maniera spocchiosa o fredda, anzi c'è un'esplicita sensazione di commozione e ironia, elementi che, anche loro, hanno contribuito a far sì che il sogno del cinema nascesse.
Ed è per questo che lo sentiamo così vicino alla nostra vita.
…Con un senso di pathos ed ironia quasi palpabili, ma
accompagnati dalla squisita capacità di riuscire a non sfociare mai apertamente
nel dramma o nel comico si libra con inafferrabile potenza la poetica
cinematografica di Tsai tra le geniali intuizioni che il regista riesce a
riversare sulla pellicola. Partendo da una riflessione sulla dimensione
spaziotemporale del cinema Tsai orchestra con i lenti, quasi impercettibili,
movimenti della sua cinepresa una strutturata e indimenticabile metafora della
condizione dell'essere umano regalandoci un cinema fantasmatico ed irripetibile.
Una visione che è pura estasi.
da qui
Mioddio, questo film. Hai perfettamente ragione a parlare di film sulla morte, tant'è che Lisandro Alonso, rimastone sconvolto, con "Fantasma" ha voluto in sostanza 'rispondere' a questo capolavoro di Tsai, che giudicava troppo 'triste'...
RispondiElimina"Fantasma" mi manca ancora:(
RispondiEliminaanche il capolavoro di Ceylan ("C'era una volta in Anatolia"), a pensarci, è un film sulla morte, in realtà.
Orpo, vedilo "Fantasma", è un filmone e mi pare ci sia ancora sul Tubo. Sì, "C'era una volta in Anatolia" è anche per me un film sulla morte...
RispondiElimina"Fantasma" ce l'ho, ma ho sempre aspettato adesso è arrivato il momento:)
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