giovedì 23 maggio 2013

La grande bellezza - Paolo Sorrentino

l’inizio mi ha ricordato “Reality”, di Garrone, entrambi iniziano il film con una festa, in altri momenti c’era qualcosa di “The tree of life”, di Malick (Malick celebra la grandezza della vita, Sorrentino la grandezza di Roma e del suo passato), oltre al fatto di avere entrambi “usato” musica di Zbigniew Preisner (grandissimo musicista, già autore delle musiche dei film di Krzysztof Kieślowski).

Toni Servillo (Jep) è perfetto, come pure Carlo Verdone (Romano), entrambi hanno una storia comune, Romano, sembra una specie di Flaiano con meno capacità, non ha avuto successo, ha conservato l’anima di un tempo, e quando abbandona quella Roma che non l’ha mai voluto, lui povero e ingenuo, uno di paese, quando lo dice a Jep, Jep vacilla, perde l’unico, forse, amico sincero.

Romano, con quella faccia e quei baffetti, sembra un attore anni ’50. E in effetti sembra un film vecchio, poteva farsi uguale 50-60 anni fa, l’Italia sembra ferma, è terribile, e Jep lo sa, alla fine riesce a dire parole sincere, dice che è tutto finto e inutile.

fa venire poi i capelli dritti lo sfogo del mafioso Moneta (il super latitante Denaro?), quando dice che il Paese lo portano avanti loro.

molte altre parti sono impagabili, la preparazione al, e il, funerale del ragazzo, per esempio.

alla fine sai che è un film ricco, denso, forse troppo pieno, barocco, dispersivo, bello visivamente, col tempo si apprezzerà di più, penso - Ismaele






Inutile dire che la performance di Servillo è perfetta e ironica al punto giusto, fisicamente e intellettualmente debordante, ben accompagnata dalle ottime prove di Verdone – pienamente a suo agio nel ruolo dell’attore sfigato ma in fondo rimasto “puro” – e della Ferilli. Una piacevole sorpresa, in effetti, la naturalezza con cui la bella attrice romana si cala nella parte dell’emotiva e fragile Ramona.
Qualche eccesso di virtuosismo qua e là Sorrentino se l’è concesso, e qualche immagine sfiora il retorico. Detto ciò, La grande bellezza è un gioiello ed un lodevole esempio di cinema, quasi mistico, brutale nella sua capacità (e necessità) di mettere a nudo le mostruosità del presente.

Scrive il Guardian: “Sorrentino è tornato a Cannes con un bellissimo film, girato nello stile classico della Dolce vita di Fellini e della Notte di Antonioni. La grande bellezza è un ritorno al suo naturale linguaggio cinematografico, dopo la difficile esperienza in inglese con Sean Penn in This must be the place. Il film è superbo, ma c’è anche un eccesso di ricchezza che va un po’ a discapito delle emozioni. Toni Servillo meriterebbe il premio per il miglior attore, grazie alla stupenda interpretazione di Jep”.
Secondo Lee Marshall, che ha scritto la recensione su Screen Daily, La grande bellezza piacerà più al pubblico straniero che a quello italiano: “Il paragone naturale da fare è quello con un’altra operetta impressionistica del regista napoletano: Il divo. Quel film però era immerso in una realtà storica, mentre La grande bellezza è più una raccolta di vignette senza tempo. Paradossalmente, questo è un film che potrebbe piacere di più all’estero che non in Italia. Sul terreno di casa, la visione di Roma di Sorrentino e della sua vita pseudo letteraria potrebbe sembrare un po’ obsoleta”.
Anche Le Monde ha scritto una recensione sull’ultima fatica di Sorrentino: “Con il suo broncio malizioso, il protagonista Jep ha un’aria da Walter Matthau alla romana mentre contempla le glorie dell’unica città al mondo in grado di fargli sentire l’eternità. L’ultimo lavoro del regista italiano è un omaggio alla Fiera della vanità, che alla fine restituisce un’umanità che sembrava non esserci all’inizio del film. Pur restando molto lontano dalla grandezza dei suoi maestri, Sorrentino dimostra sempre di avere delle belle trovate cinematografiche”.
Positivo anche il parere di Variety. Scrive Jay Weissberg: “La grande bellezza è un ricco banchetto cinematografico, che omaggia Roma in tutta la sua bellezza e superficialità. Di certo farà venire un’indigestione a qualcuno, che potrebbe vederla come l’opera di un cinefilo in posa che manca di vera profondità. E non importa se la stessa critica è stata mossa alla Dolce vita 53 anni fa. Il confronto non è casuale: come il capolavoro di Fellini,La grande bellezza fa di una figura esausta dal punto di vista esistenziale una guida dantesca attraverso la decadenza della vita romana”.

7 commenti:

  1. "L’inizio mi ha ricordato “Reality”, di Garrone" --> Wow, devo assolutamente vederlo!
    "In altri momenti c’era qualcosa di “The tree of life”, di Malick" --> No, meglio di no.

    :P

    RispondiElimina
    Risposte
    1. più Garrone che Malick, tranquillo, ma sopratutto Sorrentino:)

      (il post cancellato è perché era un doppione)

      Elimina
    2. Sorrentino mi garba già di più di Malick, "Il divo" è un gran film. Più incerto sarei su "This must be the place", che mi è sembrato un film abbastanza furbo: qualche frase ad effetto qua e là, il viaggio on the road ormai strabusato etc.

      Elimina
    3. questo è il film per te, allora.
      per me era perfetto "Il divo", qua è più che perfetto Toni Servillo, sempre meglio

      Elimina
  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  3. Sai che ne penso Ismaele...

    Però correggerei una tua frase

    Malick celebra la bellezza della vita, Sorrentino la sua bruttezza

    RispondiElimina
    Risposte
    1. vero, entrambi lo fanno con maestosità, col sottofondo di una musica celeste (galeotta è stata quella musica, il punto d'incontro fra quelle bellissime immagini)

      Elimina