Guillaume Canet e Alba Rohrwacher sono perfetti nei loro ruoli.
lui è un attore famoso, lei una casalinga, con la passione del pianoforte, lui salta da un letto all'altro, lei ha un marito e una figlia, lui è abituato alle luci si Parigi, lei al vento e alla pioggia di una cittadina bretone, sono stati amanti molti anni prima, qualcosa è rimasto, nei loro destini che si erano separati.
dopo sedici anni si incontrano di nuovo ed è un addio come si deve, senza rancori, ma con tanti rimpianti, le loro vite, impone Alice a Mathieu, non devono più incrociarsi.
dopo tre (ottimi) film sul lavoro e gli esseri umani pedine senza valore nel mondo maledetto dell'economia liberista, Stéphane Brizé gira un film non sull'amore, come lascia intendere l'ingannevole titolo italiano, ma su tanto altro.
in ottanta sale, al cinema, non perdetevi Alba Rohrwacher e Guillaume Canet.
buona (ventosa) visione - Ismaele
…Brizé ne fa emergere progressivamente
i due differenti approcci alla vita. Mentre Alice si è ritirata nel suo bozzolo
di moglie e insegnante di piano Mathieu ha sposato una star del telegiornale ed
è un attore molto noto. Ma è proprio un pianoforte ad un certo punto ad offrire
una lettura simbolica delle loro esistenze: i tasti suonano una musica senza
che ci siano delle mani a sfiorarli. È quanto in fondo è accaduto ad entrambi.
Hanno continuato ad eseguire il loro spartito senza che ci fossero le mani
dell'altro a stabilirne la giusta armonia. Un'armonia che ora sembrerebbe da
cercare nuovamente se non fossero intervenuti un distacco e tre lustri di
lontananza.
Fuori stagione potrebbero essere
allora non solo il soggiorno nell'hotel in un periodo non di punta da parte di
Mathieu ma anche il reciproco desiderio di tornare ad essere ciò che un tempo
erano stati superando rancori e incomprensioni e, soprattutto, le condizioni
attuali. Il tempo, affermava un detto popolare, è un gran dottore perché
lenisce le eventuali ferite. Purché chi le ha subìte e chi le ha (più o meno
volontariamente) inferte non si incontrino di nuovo.
Con Hors-Saison,
Stéphane Brizé realizza un’opera intimista e delicata, in cui non sono i
dialoghi o le azioni a guidare la narrazione, ma piuttosto i respiri, i
silenzi, gli sguardi e le espressioni dei protagonisti. Guillaume Canet e Alba Rohrwacher
offrono performance straordinarie, capaci di trasmettere con le sole
espressioni facciali il ricco mondo interiore dei loro personaggi: anime
spezzate, smarrite tra sogni infranti e vite che sembrano essersi
cristallizzate in un’inerzia soffocante. Entrambi vivono intrappolati in
strutture familiari e professionali che, anziché fungere da rifugio o ancora di
salvezza, si rivelano prigioni che soffocano la loro autenticità e creatività…
…Le occasioni dell’amore è
un film solo apparentemente d’amore, ed è anche uno dei più grandi film d’amore
(e sull’amore) che il cinema recente ci abbia dato. C’è la mano di Brizé (che
ha scritto il copione con Marie Drucker), e c’è soprattutto l’alchimia
incredibile tra Canet e Rohrwacher. Lui sembra dissezionare il suo essere
attore e regista famoso (e sposo famoso di Marion Cotillard); lei fa uno dei
lavori più lucenti, sensibili, importanti della sua carriera.
C’è
anche un finale bellissimo e struggente, anzi più di uno. Per alcuni sono
troppi, e invece è giusto che gli amori vadano così, con mille finali. Che
facciano giri immensi, e poi ritornino, e chissà come finiranno. L’amore è,
dopotutto, “un souvenir qui me poursuit, sans cesse”. Lo diceva sempre
quella canzone là, e le canzoni d’amore hanno sempre ragione.
…Ciò che colpisce in Le occasioni dell’amore è il fatto che, tranne
pochi, per altro fantastici e decisivi dialoghi, l’amore è tutto un affare di
silenzi, di sguardi, di stati emotivi e di pensieri. E di comportamenti, di
gesti concreti. Anche contraddittori, certo. Le rotture minacciate e mai
consumate, i ritorni dopo gli addii, i dubbi, i tormenti. Un “non tornare mai più” è un commiato definitivo o un
invito segreto? Del resto, le storie vere non sono mai lineari. E sarà per
questo che quando Guillame Canet e Alba Rohrwacher passeggiano, molto spesso
sembrano allontanarsi e seguire due strade differenti. Come barche che cercano
il vento più adatto per arrivare allo stesso punto di destinazione. Ciò che
conta è che l’amore si vive, non basta solamente dirlo. Tanto non ci saranno
mai parole abbastanza precise (o vaghe) per restituire le sue mille forme. Si
vive anche nei suoi alti e bassi, nei vuoti, anche nelle reticenze. Anche
nell’affanno di un accordo impossibile con gli obblighi, le scelte già
compiute, le responsabilità.
Seguito il solco di un sentiero
m’ebbi l’opposto in cuore, col suo invito.
È questo, lo straordinario film di Stéphane Brizé. Una storia di seconde
possibilità, certo. Ma soprattutto sullo scollamento dal quotidiano delle
proprie vite, sul tempo passato e sul miraggio del futuro, sulla dolorosa
malinconia dei ritorni “fuori stagione”. Sul conflitto insanabile tra la
tortuosità del sentimento e la pretesa coerenza dei percorsi. Infatti Mathieu
viene costantemente richiamato alla responsabilità. Dal regista della pièce
teatrale che avrebbe dovuto segnare il suo debutto sul palcoscenico, ma da cui
è scappato per paura di non essere all’altezza. Dalla moglie che gli chiede di
accettare le sceneggiature che gli vengono proposte, per ripagare i danni dello
spettacolo a cui ha rinunciato. E Brizé non manca di lanciare qui le sue
stilettate a un’idea comoda del cinema: “la strategia migliore è fare prima il
polar e poi la commedia sociale”. Ma, al di là della polemica, conta la
sensazione amara di una gabbia da cui è difficile districarsi…
…Amori perduti e ritrovati, che hanno attraversato la vita come il
vento tra i capelli. Memorie e sentimenti che tornano a riva portati dalle
onde, lasciando la schiuma del loro passaggio sulla sabbia. Descrivere a parole
un film come Hors-saison significa provare a mettere nero su bianco
l’indicibile dei sentimenti personali. Storie di finzione che trovano un legame
universale. Perché quando si affronta lo scorrere del tempo non si può fare a
meno di rivivere una vecchia relazione, riportando alla mente i bivi personali
intrapresi nella nostra vita.
E non sorprende, quindi, che il titolo, fuori stagione, che sottolinea l’inaspettato ritorno
di qualcosa che dovrebbe essere passato, di un incontro breve che non doveva
avvenire e invece è accaduto, di qualcosa che sembra porsi fuori dal tempo,
dona quel senso di eccezionalità, di sorpresa. Che può anche ritrovarsi nei
confronti di un addio, che lascia il rimorso della separazione e il calore del
tempo ben speso.
…Dietro al
disagio, alla malinconia e al rimpianto, c’è però ampio spazio per il sorriso e
per la leggerezza. Anche da questo punto di vista Stéphane Brizé fa centro,
facendo di Hors-saison anche un piccolo
trattato sulla dialettica fra ex, portata avanti a suon di «Mi hai lasciato per una più bella di me» e «Non tornare mai più»
ma anche di autoironia sullo scarso francese di lei e sul successo calante di
lui.
Dove non arrivano
le parole, le espressioni e i gesti ci pensa la splendida musica di Vincent
Delerm, inizia bilico fra brio e nostalgia, e soprattutto lo scenario
attraversato dai protagonisti in lunghe passeggiate. «Il mare d’inverno è un concetto che il pensiero non considera. È
poco moderno, è qualcosa che nessuno mai desidera», cantava
Loredana Bertè, dando voce a un sentimento comune sullo struggente contrasto
fra il luogo per eccellenza del benessere e del divertimento e la cupa e fredda
stagione invernale. Con Hors-saison,
Stéphane Brizé si muove splendidamente lungo questo dolce crinale, trasformando
il mare d’inverno francese in una perfetta metafora degli amori finiti, sopiti
dal tempo e dalle intemperie della vita ma ancora pronti a soffiare.
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