sabato 28 dicembre 2024

Ostia - Sergio Citti

due fratelli, Rabbino e Bandiera, crescono come criminali, con un padre anarchico che fa una brutta fine.

incontrano una ragazza, Monica, che sembrava morta, in campagna, e se ne innamorano perdutamente.

visitano le prigioni, entrano ed escono, sempre attesi dagli amici balordi.

il film è davvero un bel vedere, per regia, attori e tutto, un gioiellino da recuperare sicuramente (nella sceneggiatura c'è la mano di Pasolini).

buona (eccezionale) visione - Ismaele

 

 

Quando i due fratelli Rabbino (Franco Citti) e Bandiera (Laurent Terzieff), criminali da strapazzo, fuggono verso casa dopo un tentativo di furto, si imbattono in una bellissima donna dai lunghi capelli biondi, che pare addormentata profondamente e vestita da abiti discinti, in un prato.

Accolti tutt'altro che con modi diffidenti dalla ragazza, i due buontemponi decidono di portarla con loro e concederle ospitalità. Nasce un forte legame di amicizia ed affetto tra i tre, al punto che i due fratelli finiscono per raccontarle la loro drammatica storia di gioventù, culminata con l'assassinio, accidentale ma non certo avvenuto per caso, da parte dei due del violento e greve padre, un anarchico perennemente brillo che sfogava i suoi deliri sulla povera madre dei due.

Anche la ragazza, di nome Monica (una statuaria e disinibita Anita Sanders) ha un passato drammatico segnato da violenze familiari, che la donna finisce per fare condividere sia a Rabbino che a Bandiera. Quando i due fratelli vengono arrestati per furto e condannati a un anno di reclusione, Monica li aspetterà fino a, richiedere di convivere con uno di loro per avere la possibilità di non perderli…

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Che dietro la carriera di Citti ci fosse Pasolini è evidente, ma l'esordio dell'allievo ci fa capire quanto Citti ci fosse dietro Pasolini: analogo equilibrio tra i due protagonisti, in cui il volto scavato del filodrammatico Terzieff e la grinta animale dell'ex-Accattone Franco riescono a condividere lo stessa disperata risata, perenne e feroce sghignazzamento. Perfino il mito della rivoluzione e degli ideali libertari viene dissacrato (il flashback del padre ubriacone) e l'iconografia della Sacra Famiglia diventa trappola incestuosa e mortale.

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Nella rarefatta poesia pasoliniana, l’anima popolaresca diventa una bizzarra forma di desolazione. La crudeltà diventa un grido lanciato nel nulla, che, casualmente, assume la forma di un canto stonato, cinicamente allegro, e grottescamente decorativo. I fratelli Rabbino e Bandiera si muovono in un assurdo coperto di stracci, in cui la fantasia è contorta nelle intenzioni, ma squallida e primitiva nella messa in pratica. La loro vicenda è una storia di sopravvivenza alla morte, o meglio, all’assassinio (quello del padre, quello della pecora Rosina), che trova come unico appiglio un nonsenso condiviso: un gioco che sembra voler riprendere, e proseguire all’infinito, un’infanzia rimasta traumaticamente in sospeso. Rabbino e Bandiera sono diventati adulti, ma non sono uomini, perché non sanno amare una donna, non sono in grado di fare le cose sul serio, e, soprattutto  non hanno mai  spezzato il cordone ombelicale di quella complicità tra ragazzini che li tiene ancora saldamente uniti. Sono delinquenti, ma per pura incoscienza, rozzi, ma per semplice ingenuità, e il loro attaccamento alla vita è all’insegna di una spregiudicatezza fatta di niente…

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La presenza di Pasolini in produzione è evidentissima nella scelta dei volti, delle tematiche e delle location. Ma Sergio Citti non era regista da poco e anche lui ci mette tanto. È un film d'autore ma senza quella distanza tra regista e pubblico che si vede spesso in film del genere. La storia racconta alla perfezione un triste spaccato di vita popolare, concentrata su tre individui che, come si sa bene, da quella realtà non possono uscirne. Ottimo l'apporto dell'esiguo cast, Ostia fotografata e raccontata con pasoliniano realismo. Non troppo noto, ma da riscoprire assolutamente.

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Due fratelli borgatari e una mignotta: scene da un infimo sottoproletariato, raccontate come una ballata sottilmente intrisa di simbolismi teologici, e calate in una visionarietà lontana dal neorealismo e distanziata perfino dal maestro Pasolini, e invece devota a un gusto pittorico e di composizione originale. Ottimo debutto per Citti e per il suo mondo di reietti in perenne equilibrio tra narrazione popolare e allegoria, a cui difetta solo il senso del ritmo. Ma alcuni momenti sono folgoranti, e le figure dei fratelli simbiotici sono geniali.

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