venerdì 20 dicembre 2024

La stanza accanto - Pedro Almodóvar

a Venezia nel 2024 leone d'oro come miglior film.

non ricordo film di Almodóvar senza qualche sorriso, anche nei film più "seri".

nell'ultimo film non c'è niente da ridere, la Morte è la protagonista. 

e però, sia pure con "mestiere" e con attori davvero bravi, il film appare freddo, troppo serio e troppo tragico, per lo stile di Almodóvar. 

nel suo primo film in inglese (sia pure girato per metà vicino a Madrid, leggi qui) il regista perde quella virtù che spesso pratica, la leggerezza. 

se gli dessi un voto sarebbe la sufficienza, comunque è un film da vedere, ognuno si farà la sua opinione.

buona (mortale) visione - Ismaele

 

 

 

 

A mancare, rispetto al passato, è il calore tipico dei film di Almodóvar, il quale nelle sue incursioni più serie è sempre riuscito a trovare un giusto equilibrio tra la gravità del dramma e l’ironia del mondano. Ne La stanza accanto, invece, si percepisce spesso una certa disconnessione tra ciò che si vede a schermo e la materia trattata, un lirismo visivo poco ispirato, nonché dialoghi farraginosi, didascalici e spesso ridondanti, tanto che il personaggio interpretato da John Turturro – un ambientalista radicale – sembra inserito solamente per lanciare un tiepido monito extrafilmico. A tratti, sembra quasi di essere di fronte a una versione depotenziata di Julieta. Così, suggestioni di pura poesia, a partire dalla neve rosa sino ad arrivare allo splendido riferimento a I morti di James Joyce (con tanto di richiamo a The Dead di John Huston), si alternano a momenti di grande spessore attoriale che appaiono come eccessivamente autoreferenziali e fini a se stessi. Perché nemmeno le ottime prove di Tilda Swinton e di Julianne Moore possono compensare, a malincuore, il substrato emotivo carente di un film che colpisce solo in superficie, senza mai spingere fino in fondo.

da qui

 

La stanza accanto non è soltanto un’altra variazione sulla morte ma anche sui sentimenti – la passione, il rancore – e sul tempo perduto. È un’altra dichiarazione d’amore alla ‘magnifica ossessione’ di un cinema che guarda, in modo ancora più evidente che in passato, Fassbinder e Sirk in cui Julianne Moore e Tilda Swinton possono essere le sue reincarnazioni, soprattutto l’attrice londinese, che incarna la morte e la rinascità e dimostra, dopo Suspiria di Guadagnino, che può duplicarsi o, in quel caso, addirittura moltiplicarsi in tre personaggi. Nei fitti dialoghi tra le due protagoniste però qualcosa si blocca, non arriva, resta a metà strada. Certo c’è tutto: abbracci, lacrime, rimpianti. La stanza accanto poteva avere quegli slanci del vertiginoso Zinnemann di Giulia nella sintonia che si era instaurata tra Jane Fonda e Vanessa Redgrave. Il film di Almodóvar si blocca invece al primo livello, quello della rappresentazione dove delle due protagoniste, in cui il metodo, la tecnica, diventano tra gli elementi principali per far apparire questo film struggente quando invece non lo è al contrario del grandissimo film precedente, Madres paralelas. Le cicatrici della ‘storia privata’ restano otturate invece da una ‘personale autocelebrativa’ del proprio cinema. La stanza accanto è come una mostra sul cineasta spagnolo dove in una stanza ci sono i suoi modelli di riferimento: Buster Keaton in tv, i dvd di Lettera da una sconosciuta e The Dead. Gente di Dublino, il poster di Ingrid Bergman per creare un parallelismo con il personaggio interpretato da Julianne Moore (ma no!).

La stanza accanto è funereo ma non come Wilder di Fedora. Quando l’opera del cineasta non è al meglio, si chiude in una forma elegante e artefatta, proprio come la neve rosa che cade su New York. Solo la deviazione dell’interrogatorio in polizia risveglia il film dal suo lungo e compiaciuto grande sonno. Ma forse lì c’è già, o ci poteva essere, un’altra storia…

da qui

 

Almodovar al suo debutto in un lungometraggio in lingua inglese. Almodovar che prende di petto un tema fra i più spinosi e controversi, quello dell'eutanasia, con una netta presa di posizione politica che ha ispirato anche il suo toccante discorso di ringraziamento a Venezia per il Leone d'oro. Almodovar che dirige due fra le più talentuose ed esigenti attrici del panorama mondiale.

"La stanza accanto" è un melodramma raffreddato, che evita facili sottolineature emotive e tentazioni strappalacrime, è puro Almodovar ma è anche una ricognizione originale in un territorio diverso, un tentativo di raccontare sullo schermo un dolore così straziante da poter essere placato solo con il desiderio della morte…

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E qui Almodóvar compie il primo passo verso la sublimazione. Quando Martha lascia la clinica e torna a casa fermamente decisa a organizzare la propria dipartita, la messa in scena si fa infatti più sintetica e il melodramma viene silenziato, disinnescato. Il passato rocambolesco sparisce dalle immagini, niente più flashback, niente più storie, niente più tortuosità ma un lucido e metodico piano che prende forma circondato dei segni di quella vita dalla quale la donna sta per congedarsi.  Mobili, oggetti, libri, taccuini, film, fotografie, scatole, buste, fogli, tutto nella casa è traccia e sedimento, memoria senza mai nostalgia: la casa è li, accogliente, avvolgente come un abbraccio discreto. Ma non è li che Martha può morire. Ci vuole un’altra casa e una altro passaggio della messa in scena verso un’ulteriore asciuttezza, verso un’ulteriore svuotamento, verso un’ulteriore essenzialità. Così Martha e Ingrid possono abitare insieme solo un nuovo spazio, uno spazio altro dove non c’è memoria, minimale ma non asettico, elegantissimo, ricercatissimo, ma dove nulla è personale o familiare: solo superfici, linee, vetrate, pieni, vuoti, dove i colori possono essere solo pieni, dove non ci sono sfumature, dove le porte possono essere solo aperte o chiuse, definitive. E dove la morte può diventare un magnifico quadro composto con precisa meticolosità al momento giusto.

 

In quegli spazi che mutano, in quella scena che si asciuga, in quelle parole che dicono tutto senza mai pesare, Almodóvar trova il compimento di un vero capolavoro, una lezione di cinema, di regia, di messa in scena, di scrittura. La grande lezione di un maestro per nulla senile, ma capace come nessuno di parlare con umanità e magnificenza della vita e della morte dicendo tanto del mondo strambo in cui viviamo, di dignità e di diritti, di minacce e di speranza, di sofferenza e di bellezza, di amicizia e di condivisone, di responsabilità e di empatia, di rispetto e di autodeterminazione.

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Insulso. Banale. Mortale. Si ma nella noia! Altro che eutanasia. Qui lo spettatore muore da solo. Senza aiuti esterni

Insulso. Banale. Mortale. Si ma nella noia! Altro che eutanasia. Qui lo spettatore muore da solo. Senza aiuti esterni

Alla prova americana non ha retto.

Ma chi glielo doveva dire al Pedro de noialtri di andare a crasharsi a 75 anni nelle produzioni, sistemi, visioni USA, quando il suo è sempre e solo stato un cinema europeo? MAH

I misteri della fede

Bastassero due eccelse attrici a far riflettere su un tema cosi delicato come quello della malattia, il cancro alla cervice e due amiche che non si vedono da trent'anni 

Ma voi davvero uccidereste una che non vedete da secoli?

O le stareste vicino con i problemi che comporta a livello legale, morale e spirituale l'eutanasia? 

Il film non regge, annoia ha in sostanza una brutta energia, non di vita, ma di bieca assoluta e devastante morte !

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"Se vuoi mandare un messaggio, spedisci un telegramma, non fare un film"

Non sembra neanche Almodóvar! Film a tesi pretenzioso e noioso, due ore di dialoghi privi d'interesse, situazioni statiche e una citazione letteraria ripetuta più e più volte nel vano tentativo di commuovere lo spettatore.

Julianne Moore e Tilda Swinton sono brave e ce la mettono tutta ma non riescono a salvare un film in cui le situazioni di potenziale conflitto e le occasioni per far emergere il dilemma etico (ad esempio la perdita e il ritrovamento della busta con la pillola) si risolvono da una scena all'altra come in uno sceneggiato televisivo. E mentre lo spettatore assonnato aspetta il guizzo di regia o di sceneggiatura che giustifichi la spesa del biglietto, Turturro pontifica sul disastro ecologico.

Tutto si svolge ineluttabilmente come da copione. L'unico momento in cui il film si rianima un po' è l'interrogatorio con la guardia bigotta, ma anche questa occasione cade nel vuoto con l'arrivo dell'algida avvocatessa. Quando infine si presenta la figlia della Swinton ci si aspetta una svolta, un sussulto, e invece anche questa possibilità cade nel vuoto e il film si spegne mestamente.

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