il film è girato (quasi) tutto in una stanza, nessuno può nascondersi.
Charlie vive solo, malato, superbulimico, e sopravvive facendo (inutili) lezioni online.
ha avuto due grandi amori nella vita, gli è rimasta una figlia, che lo odia per averla abbandonata quando aveva otto anni (anche in The Wrestler Mickey Rourke cercava di riavvicinarsi a una figlia ormai lontana).
solo una persona gli è affezionata, Liz (Hong Chau), e lo cura in tanti modi, dalla salute al cibo, lui non può più.
alla fine, come gli eroi, anche Charlie non se la caverà, ma alla fine qualcuno lo ama, come Ellie (Sadie Sink), la figlia.
in realtà è un film d'amore, sull'amore, sulla sincerità, sui rapporti umani, nient'altro.
e poi c'è Moby Dick, la vittima predestinata, in un misterioso commento su un foglio, in una cartellina preziosa per Charlie.
Brendan Fraser è immenso in tutti i sensi, un'interpretazione da Oscar.
un film che fa soffrire, da non perdere, sarete d'accordo.
Darren Aronofsky è esagerato, non conosce mezze misure, i suoi film si amano o si odiano, comunque non lasciano indifferenti.
se non si è capito, dall'opera prima (vista grazie a FuoriOrario) fino a oggi Darren Aronofsky ha fatto solo cose buone o eccezionali), il dio del cinema lo conservi).
buona (esagerata) visione - Ismaele
…Chi è Moby Dick, the whale? Non l’uomo-balena, ma l’America ribelle
contro Achab il conquistatore, la furia contro la “normalità” che ha giudicato
Charlie e l’ha ridotto a vivere immobile, spalmato sui cuscini, pieno di
rimorsi per la sua scelta di vita. Inutilmente Thomas con i suoi opuscoli
religiosi cerca di “salvarlo”. La Bibbia sbandierata, il peccato e il castigo.
È Charlie, invece, che dovrà salvare gli altri, innanzitutto sua figlia,
convinta di essere eccentrica, anticonformista e cattiva al punto giusto per farsi accogliere
dalla società. Ascesa verso il cielo, Charlie è un angelo, e Brendan Fraser è
magnifico dentro le sue protesi gonfie, il ventre molle, e quello sforzo di
alzarsi in piedi. Candidato come miglior attore a Venezia, ai Golden Globe,
agli Oscar, è rimasto - per ora - fuori dai palmarès.
…Tratto da una pièce teatrale, ma trasformato
forzatamente in cinema tramite queste continue panoramiche “interne” al salotto
di Charlie, come se la camera fosse un pianeta intorno al sole-Fraser, i drammi
di questi uomini e donne schiacciati dall’amore e dalla morte si stendono -
loro sì, molto teatralmente - attraverso ogni possibile pretesto, con un
“cattivo gusto” nelle scelte delle battute e delle frasi che in fondo è
Aronofsky allo stato puro. Perché il melodramma è sempre stato uno spettacolo
di marionette, e a Aronofsky interessa più mostrarle e spostarle nel campo
visivo che non realmente indagarne l’interiorità. Quando lo fa, vengono fuori
personaggi contraddittori, folli, pieni di bene ingenuo o di male cieco,
professori che invitano i loro studenti a scrivere frasi oneste (stile
insegreto, per chi bazzica) piuttosto che a fare saggi analitici; ragazzine
crudeli che fanno uso smodato e immorale dei social; donne frustrate,
lacrimevoli, dipendenti…
…Nel complesso, The whale è una
spugna intrisa di dolore, un film di autentica sincerità e dall’elevato
coefficiente empatico. Un collage stratificato di sensazioni/venature
interconnesse e indipendenti, con un tratteggio che fa (s)correre brividi
lungo la schiena mentre sfoglia i vari paragrafi che decostruisce addentrandosi
in un tappeto ricco di agonie.
Tra deformazioni e assenze, sfoghi e chiarimenti, rinunce e scelte,
sospiri e singhiozzi, smarrimenti e rancori, relitti alla deriva e influssi
speranzosi, un’accettazione affranta e un disagio straripante, corazze
protettive e debolezze scoperte, tentativi di riscatto e viali del tramonto che
non contemplano vie d’uscita, squarci di luce e scatti rabbiosi, carezze negate
e scelte trancianti, questioni in sospeso e anime in pena, lunghi addii e sfide
quotidiane.
Struggente e intenso, di disturbante integrità.
Questo lungometraggio, al contrario del precedente e
bistrattato “Madre!” (titolo che noi però abbiamo
amato), farà molto parlare di sé, anche perché stavolta Darren Aronofsky punta
in parte a far impietosire lo spettatore, grazie ad alcuni passaggi da lacrima
facile che emergono soprattutto durante la seconda metà dell’opera. Ciò non
vuol dire che “The Whale” rappresenti un prodotto da proporre alle masse, sia
chiaro, ma siamo comunque convinti che le dinamiche familiari messe in scena
dal regista possano attirare l’attenzione di un pubblico non necessariamente
selezionato. Un po’ come era accaduto per “The Wrester”, pellicola tuttavia
molto più accattivante e riuscita rispetto a questa.
In definitiva, “The Whale” si rivela un valido e
mai noioso dramma esistenziale, al di là delle forzature emozionali che ne segnano il percorso: il
consiglio è quello di dargli una chance a prescindere, anche solo per
l’incredibile performance di Brendan Fraser, qui nel ruolo della sua vita. Il
suo Charlie non si dimentica: le citazioni per “Moby Dick” possono solo
accompagnare.
Il regista americano Darren Aronofsky ama
i perdenti. E non deve necessariamente trasformarli in
vincenti: gli è sufficiente offrire loro una possibilità di redenzione. Il
paragone più immediato in questo senso è quello fra due suoi film, The Wrestler, Leone d’oro alla 65esima Mostra del cinema di Venezia
nel 2008, e The Whale, in Concorso alla 75esima edizione della Mostra nel 2022.
Il primo era la storia di un wrestler professionista, Randy
“The Ram” Robinson, molto malridotto, che dopo il successo anni
Ottanta si è ritrovato ai margini dello sport e a vivacchiare prestandosi a
spettacolini di provincia e raduni di nostalgici. Randy si è separato dalla
moglie e ha interrotto i rapporti con la figlia Stephanie, e ora, dopo un
infarto, non può più neanche combattere e fa il commesso nel reparto salumi di
un supermercato.
The Whale è
la storia di un professore universitario, Charlie, che interagisce con i suoi studenti solo online e a
telecamera spenta perché non vuole che vedano la sua situazione deprimente: è
infatti un grande obeso che riesce a stento ad alzarsi dal divano e ingurgita
quantità enormi di cibo spazzatura, in preda ad un furore autodistruttivo che
ha le sue radici nella scelta passata di abbandonare la moglie per un nuovo
amore.
Con l’allontanamento dalla casa coniugale, Charlie ha perso
anche il rapporto con la figlia adolescente Ellie, e ora che sente di essere
vicino alla fine a causa dei suoi problemi di cuore legati al sovrappeso
vorrebbe riavvicinarsi a lei, ma incontra solo ostilità da parte della ragazza.
Randy e Charlie sono due perdenti, due uomini fabbri della
propria sfortuna e infelicità, ma che non hanno abbandonato una natura profonda
empatica e gentile, e manifestano un enorme bisogno di amore, da dare e da
ricevere. Aronofsky non prepara per loro una
rinascita gioiosa e un futuro da vincenti, modello Rocky per capirci, e tuttavia presenta loro un modo per riscattarsi, soprattutto agli occhi di quelle figlie
abbandonate e ora rancorose che non si fidano più dei propri padri.
La redenzione di Randy e Charlie avviene proprio attraverso
il loro amore paterno, che non cambia le circostanze fallimentari delle
rispettive vite, ma apre la porta ad una possibilità di riscatto, e forse ad
una dignitosa uscita di scena.
La tenerezza con cui Aronofsky racconta questi perdenti, che fanno tornare
alla mente il Terry Malloy di Fronte del porto, è la stessa con cui Mickey Rourke, ex pugile (oltre che attore) suonato dalla vita
e quasi scomparso dalle scene cinematografiche, e Brendan Fraser, realmente sovrappeso (anche se ben lontano dal
gigantismo con cui appare in The Whale grazie a protesi e trucco) e altrettanto reduce da un
progressivo declino di popolarità e presenza cinematografica, interpretano i
ruoli di Randy e di Charlie, consentendoci di immedesimarci nel loro
smarrimento esistenziale e nella loro straziante ricerca di perdono.
Ed entrambi i film appaiono come un antidoto all’ottimismo yankee e alla regola dell’happy ending, conservando il coraggio di raccontare la vita come è, non come la vorrebbero i suoi antieroi.
speriamo di vederlo presto, questo film mi ispira tantissimo ^^
RispondiEliminaci sarà da soffrire, ma ne vale la pena...
EliminaNel 2011 a presiedere la Giuria del Concorso Venezia 68 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografico fu chiamato Darren Aronofsky. Reduce dal successo ottenuto da Il cigno nero, concorrente l’anno precedente, e ancora prima dalla vittoria del Leone d’oro da parte di The Wrestler (2008), il regista newyorkese rappresentava un polo d’attrazione fatale e di irresistibile carisma per i frequentatori del Lido. La domanda era ovvia: su quale concorrente potranno orientarsi i gusti di Aronofsky? Che in sintesi più perentoria si traduce con: “Cosa mai piacerà a quel genio pazzoide di Aronofsky?”
RispondiEliminaIn coerenza alla propria indole ribelle, il primo passo che Darren fece da presidente fu quello di iniziare a frequentare le “notti” organizzate dall’allora Teatro Valle Occupato presso una struttura abbandonata non lontana dalla zona festivaliera. Trascurando magari le feste ufficiali. Il secondo passo - decisamente più trasgressivo - fu quello di parlare dei film in concorso che man mano vedeva proiettati e di cui avrebbe decretato le sorti.
Chi scrive fu casualmente “oggetto” di alcune confidenze dell’allora presidente di Giuria veneziana proprio in alcune delle “notti” d’intrattenimento culturale off festival organizzate dal Valle Occupato.
A 12 anni di distanza da quelle serate di fine estate, la notizia ha perso ogni suo valore di gossip (posto ne avesse), ma il ricordo più indelebile e oggi pertinente tra quelle parole segrete fu questo: Aronofsky era rimasto letteralmente sconvolto e profondamente turbato dalla visione di Shame di Steve McQueen, che concorreva e avrebbe vinto il Leone d’argento per la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender. Al punto da associarlo e metterlo in parallelo, financo a confronto, con il proprio Requiem For a Dream (2000). Difficile - impossibile, visto il contesto - mi fu rispondere alla domanda “Ti ha sconvolto di più Shame o il mio Requiem?”...
(https://www.mymovies.it/film/2022/the-whale/news/lossessione-di-aronofsky-per-i-corpi/)