un babbo e una figlia inglesi, in una vacanza che sarà l'ultima insieme, in un villaggio turistico sgarrupato in Spagna.
li vediamo insieme, e anche soli, in quei giorni.
il babbo, Calum, non ha qualcosa che non sapremo mai, e la figlia, Sophie, 11 anni con tutta la vita davanti, non sa che non si vedranno più.
a lei resteranno piccoli filmati che non si stancherà mai di guardare, e interrogare, di quella settimana felice della sua vita.
Calum fa tai chi, sembrava strano in quei tempi, Sophie ci prova a imitarlo, in quella settimana memorabile.
sappiamo che Calum non sta bene, qualche problema nel corpo o nella mente, si sforza, in quei giorni, di costruire un bel ricordo per il futuro di Sophie.
un'opera prima che spiega poco e allo stesso tempo dice moltissimo, da non perdere.
buona visione - Ismaele
…Non è un film di parole, Aftersun. Le parole, che pure ci
sono, sono sempre inadeguate, banali, imbarazzate, incerte o perfino sbagliate.
Quello che conta, in Aftersun, che conta per Sophie e Calum, e per noi che li
stiamo a guardare, sono i gesti, i silenzi, gli spazi, le traiettorie dello
sguardo. Aftersun, non solo per questo, ma anche per
questo, è un film di immagini. Di immagini forti, potenti, fatte di cinema e
con grande consapevolezza: quella per cui l’immagine, al cinema, è estetica e
racconto assieme.
…Aftersun è un film veramente bello:
è lineare, semplice, ed esplode soprattutto alla fine, quando vediamo Calum in
quello che sembra essere un rave (che intravediamo anche al di là delle porte
in aeroporto, che varca dopo aver salutato per sempre sua figlia). Inizialmente
la scena è confusa, le luci stroboscopiche permettono a malapena di intravedere
Calum, poi le immagini si fanno più chiare non appena vediamo la Sophie adulta
raggiungerlo, sembra urlargli contro ma le voci sono sovrastate dalla musica
di Under Pressure. La Sophie adulta e il
Calum del passato sono adesso coetanei: lui sembra abbandonarsi a lei perché
sta male, lei sembra aggrapparsi a lui. Annullata la distanza anagrafica, resta
la tristezza di un’occasione sprecata ma di un affetto che non è mai mancato.
Mentre Paul Mescal
conferma di essere uno degli attori più interessanti degli ultimi anni,
Charlotte Wells firma un esordio davvero promettente. Aftersun,
come lei stessa ha raccontato, è una storia dai contorni autobiografici: il
tentativo di Sophie adulta di riscoprire i ricordi di suo padre sotto una nuova
luce è, molto probabilmente, il riflesso di ciò che lei ha tentato di fare con
la sua storia personale, proprio tramite questo film. Del resto, ci ha
restituito benissimo quelle sensazioni di nostalgia e amore che scorrono tra
genitore e figlia. Un film perfetto da vedere se vi sentite malinconici (se
siete lontani da casa e sentite la mancanza della vostra famiglia, vi farà
venir voglia di fare quella telefonata che state rimandando da tanto tempo).
… Ciò che lascia senza fiato, in Aftersun,
è la sua straordinaria natura di opera così profondamente personale per la
regista (che ha lasciato intendere, in una lettera, che i fatti narrati,
riprendono in parte la sua stessa vita) eppure così potenzialmente vicina a
tutti.
Difficile non ritrovare un po’ di se stessi nel racconto del vuoto che
lentamente divora Calum, difficile non comprendere il suo enorme tentativo di
non far percepire tale vuoto a Sophie. Forse impossibile non restare senza
fiato, col cuore in gola, davanti al loro rapporto che non esplode mai nella
pura gioia ma è continuamente immerso in una sensazione dolce-amara, che sa di
nostalgia, che sembra presagire la fine di un’estate.
…forse la verità si può solo sfiorare. Anche le immagini
“riattraversate” da Sophie sono intrinsecamente false perché distorte dal ricordo
e non possono evitare di caricarsi del trauma di Paul, non possono che
ragionare della loro ambiguità. Charlotte Wells, però non fa un passo indietro
e le asseconda in tutta la loro complessità
Chiude dunque i due
protagonisti in inquadrature strette, li isola come per proteggerli ma è un
gesto che non può evitare un sentore di minaccia, come se in quei piani stretti
bloccasse anche Callum, prigioniero di un modello genitoriale che non sente
suo. Ovvio allora che i momenti migliori sono quelli in cui l’uomo si offre
allo spettatore in tutta la sua imperfezione, costantemente indeciso se
trattare Sophie come una sorella o come una figlia, insicuro, ma sopratutto
incoerente.
Aftersun è un film abissale, l’esordio di una regista
straordinariamente consapevole delle spigolosità dello spazio in cui sta
operando e pronta a raccontarlo senza filtri, esorbitando addirittura in un
finale tanto “impossibile” quanto cinico che mostra, implacabile, tutta la
caducità del fotogramma, quasi a rimarcare quanto la verità stia racchiusa in
immagini mute e a non rimane che un ricordo condannato a sfiorire.
…Charlotte
Wells non ci svela nulla, ci porta fin sulla porta di quella discoteca, la
stessa che Calum , nell'apoteosi del trionfo della metafora, attraversa nel
momento in cui si separa da Sophie dal ritorno dalla vacanza: verso Londra lui,
verso Edimburgo lei, forse per l'ultima volta.
Ed è proprio
nella costruzione di uno dei finali più belli che ci è dato di vedere nel
Cinema degli ultimi anni, pochi minuti di silenzio, di sguardi , di oggetti che
scorrono e di colori che sfumano che si giunge finalmente al nucleo
pulsante del film: la forza del ricordo, la costruzione della memoria
attraverso essi, la caduta dei filtri che il tempo e la nostra esistenza
ci hanno messo lungo il percorso per arrivare a capire la forza di un legame,
il rimpianto per non essere stati in grado di fermare il tempo nella nostra
vacanza in Turchia che abbiamo avuto tutti, gli abbracci carichi di dolore,
quelli veri e quelli idealizzati: ecco perchè Aftersun è un film per tutti, per
tutti quelli che hanno la voglia ed il coraggio di rivedere il passato e i
ricordi con lo sguardo ormai libero.
L'opera
prima di Charlotte Wells è uno di quei film che graffia sulla pelle in maniera
profonda, senza che te ne accorgi; lo capisci solo in seguito quando anche tu
hai attraversato quella porta al termine del corridoio bianco, come fanno , per
strade diverse Calum e Sophie; a quel punto i graffi diventano solchi che
penetrano nella carne e rimangono impressi per sempre , proprio come i ricordi.
Raramente ci
è dato di vedere un'opera così profonda , così difficile e ariosa nello
stesso tempo, priva di difetti, in cui l'immagine, vero focus centrale del
film, è costruita con una maestria eccelsa: gli sprazzi sfocati del nastro di
Sophie, le immagini piene di sole, di allegria e di lacerazioni che covano
nascoste, il montaggio e la scelta delle inquadrature della regista
costruiscono un insieme armonico su cui si innesta una colonna sonora specchio
dei tardi anni 90 su cui troneggia una magnifica Under Pressure di Bowie con i
Queen.
L'esordio della
giovane regista scozzese è di quelli memorabili, grazie ad un film da cui
trasuda limpida la forza dell'autobiografia, un'opera che pone inevitabilmente
Charlotte Wells sotto i riflettori come uno dei talenti cinematografici più
splendenti degli ultimi anni.
Le
interpretazioni di Paul Mescal e della esordiente Frankie Corio sono
strutturalmente fondamentali alla riuscita del lavoro: lui è bravissimo nel
mettere in scena un giovane uomo che sente il peso di una vita che gli sfugge
di mano creandogli un senso doloroso di inadeguatezza che va a minare la sua
sensibilità di padre che vede la figlia che lentamente gli sta lasciando la
mano; la giovane esordiente è una di quelle facce che penetrano lo schermo e
che fonde la freschezza della sua età ad una spontaneità folgorante; la
coppia funziona benissimo si completa e regge con forza degna di due veterani
tutto il peso del film che è sempre centrato sui loro volti.
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