martedì 7 febbraio 2023

Lo specchio (Ayneh) - Jafar Panahi

Mina è una ragazzina perduta, la mamma non la va a prendere a scuola e lei prova a tornare a casa da sola.

solo che non vive in un paesetto di campagna, ma a Teheran, con milioni di persone e mezzi in movimento.

poi scopriamo che Mina è seguita da qualcuno, lei è la protagonista di un film-verità.

a un certo momento decide di non partecipare più, e va via e il film diventa un'altra cosa.

ma si dimentica il microfono addosso, resta la protagonista del film, a sua insaputa.

un piccolo grande film, da non perdere.

buona (vagante) visione - Ismaele

 

 

 

grande film. In certi casi, l'allievo (Panahi) puo' superare il maestro (Kiarostami). Questa pellicola sviluppa brillantemente i vari elementi del cinema kiarostamiano: narrazione anti-ellittica, utilizzo frequente di voci fuori campo, pedinamento, bambini, sguardo critico ma composto sull'Iran moderno e soprattutto la raffinata fusione tra cinema e realta'. Nel film di Panahi, le due cose arrivano a convergere: il personaggio che la bimba interpreta nel film subisce l'arroganza e l'indifferenza degli adulti nel suo ostinato viaggio verso casa; la stessa crudelta' subisce la bimba-attrice nella vita reale ad opera della troupe...Apologo sul cinismo di cio' che sta dietro al cinema e, insieme, sguardo impietoso su un mondo maschilista e autoritario

da qui

 

Ottimamente capace di riprodurre gli umori e i rumori della ordinaria quotidianetà cittadina, Panahi guarda di sottecchi la città di Tehran e c'è ne mostra gli aspetti retrivi attraverso la rappresentazione delle sue assonanze con l'occidente (il traffico cittadino, la partita di calcio, i cittadini affaccendati). La piccola Mina, nel suo girovagare cittadino, si insinua tra le pieghe di una società maschilista e sorda alle richieste d'aiuto dei più deboli, una società complessa e contraddittoria in cui il formalismo delle azioni  ha una forza tale che rischia di anestetizzare anche gli slanci emotivi più puri. Il film è sinceramente poetico oltre che tecnicamente ineccepibile. Sorprendente la piccola Aida Mohammadkhani.

da qui

 

il cinema si pone con occhio vigile ed indagatore, privo da condizionamenti, come colui che non sa e cerca strenuamente di capire. Ma quello che gli giunge, dalla tumultuosa storia quotidiana dell'umanità, è solo  un confuso ed assordante rumore di fondo, che fa da colonna sonora ad una sfilata di icone arrugginite, irrigidite nei loro ruoli prestabiliti ed immutabili. I personaggi che Mina incrocia lungo il cammino sono gli esponenti di una società cristallizzata intorno a pochi tipi: la madre, la nonna, la giovane sposa, la chiromante, la maestra, il faccendiere, il maschilista, il mendicante, il disoccupato: lo stesso regista e la sua troupe fanno parte di questo teatro incapace di cambiare, di venire veramente incontro ai bisogni di chi non afferra il senso di tutto ciò, e perciò si ribella e invoca aiuto. La piccola che non vuole più recitare, che chiede di essere libera di vivere la sua età, di giocare e partecipare alle festicciole, è come l'arte che, di fronte all'indifferenza degli uomini, alla loro indisponibilità a servirla, aprendo la mente in suo onore, decide di ripiegare sulla creatività pura ed individuale, svincolata dai canoni che vorrebbero assoggettarla alle mode. Tornare a casa, rifugiarsi nel privato, è l'extrema ratio a cui si ricorre per proteggere un tesoro minacciato dalla  cinica prepotenza della massa, dei regimi, dell'oscurantismo. Jafar Panahi non è mai stato così critico, nei confronti della sua gente, della sua nazione (e di se stesso) come in questo film: Ayneh è lo specchio in cui anche lui si riflette, e forse si vede e si scruta, o forse si vede e distoglie lo sguardo.

da qui

 

…It makes for a most fascinating film, one that breaks new ground and challenges Hollywood to look more closely at the product it’s putting out and the tremendous influence it has on the world market. It seems astonishing that a country like Iran, which has a government censor for films, can make a film like this that makes you think and is more challenging than most films put out by Hollywood with all its freedoms, big-budgets, special-effects and pools of talent.

da qui

 

El espejo, de Jafar Panahi, es un film extraño, original, y al mismo tiempo netamente inscripto dentro de lo que podríamos denominar cine iraní. Participa por un lado de esa inquietud que Majid Majidi plasmó en Niños del cielo (y en menor medida, en El padre): abrazar el mundo infantil. Estoy hablando de historias protagonizadas por niños, narradas desde su punto de vista y mínimas, absolutamente simples, en su núcleo argumental. Recuerdo un slogan publicitario. En las cosas simples está el verdadero sabor de la vida. El cine iraní, este cine, también existe por ellas y para ellas. Pero demostró, tal vez allí su mayor mérito, que las cosas simples de la vida no son cursis... como un aviso de Criollitas. La primera parte de El espejo gira en torno de una niña extraviada en el centro de Teherán. Su mamá no aparece por la escuela a buscarla y ella, a tientas, busca el rumbo de regreso a casa. La ternura de Mina (Mina Mohammad Khani), su vocecita aguda, que el desamparo afina más y más, parecen polizones en las calles indiferentes y atestadas de la metrópolis.

El espejo también comparte muchas de las obsesiones de Abbas Kiarostami, el más famoso y prestigioso realizador iraní de estos tiempos, de quien Panahi se considera con toda justicia un discípulo. Me refiero al interés por explorar las conexiones entre la realidad y la ficción. En Detrás de los olivos, una entre varias de Kiarostami, hay un director de ficción que convoca a los mismos actores que el director verdadero. Y hace los mismos esfuerzos por dirigirlos, muchas veces en las mismas tomas, con lo que, de alguna forma, la película es la historia de sí misma. Más o menos cautivante, el planteo de Kiarostami es bastante transparente allí. No se puede decir lo mismo del que irrumpe en la segunda parte de El espejo. Que comienza cuando Mina, abrupta e imprevisiblemente, mira a cámara y, hastiada, dice que ya no va a actuar. El director y los técnicos intentan convencerla en vano. Procuran sonsacarle las razones del desplante, pero no hay caso. Mina está empacada y lo único que quiere es irse a casa... y sola. Al director, entonces, se le ocurre aprovechar la crisis (y el hecho de que Mina no se haya quitado el micrófono inalámbrico) para seguir a la niña en su periplo. Prosiguiendo de algún modo, sin que ella lo perciba, el rodaje de la anécdota. Al fin de cuentas, la niña sigue sin hallar el camino a su hogar...

da qui

 


Nessun commento:

Posta un commento