Mina è una ragazzina perduta, la mamma non la va a prendere a scuola e lei prova a tornare a casa da sola.
solo che non vive in un paesetto di campagna, ma a Teheran, con milioni di persone e mezzi in movimento.
poi scopriamo che Mina è seguita da qualcuno, lei è la protagonista di un film-verità.
a un certo momento decide di non partecipare più, e va via e il film diventa un'altra cosa.
ma si dimentica il microfono addosso, resta la protagonista del film, a sua insaputa.
un piccolo grande film, da non perdere.
buona (vagante) visione - Ismaele
grande film. In certi casi, l'allievo (Panahi) puo' superare
il maestro (Kiarostami). Questa pellicola sviluppa brillantemente i vari
elementi del cinema kiarostamiano: narrazione anti-ellittica, utilizzo frequente
di voci fuori campo, pedinamento, bambini, sguardo critico ma composto
sull'Iran moderno e soprattutto la raffinata fusione tra cinema e realta'. Nel
film di Panahi, le due cose arrivano a convergere: il personaggio che la bimba
interpreta nel film subisce l'arroganza e l'indifferenza degli adulti nel suo
ostinato viaggio verso casa; la stessa crudelta' subisce la bimba-attrice nella
vita reale ad opera della troupe...Apologo sul cinismo di cio' che sta dietro
al cinema e, insieme, sguardo impietoso su un mondo maschilista e autoritario
…Ottimamente capace di riprodurre gli umori e i rumori
della ordinaria quotidianetà cittadina, Panahi guarda di sottecchi la città di
Tehran e c'è ne mostra gli aspetti retrivi attraverso la rappresentazione delle
sue assonanze con l'occidente (il traffico cittadino, la partita di calcio, i
cittadini affaccendati). La piccola Mina, nel suo girovagare cittadino, si
insinua tra le pieghe di una società maschilista e sorda alle richieste d'aiuto
dei più deboli, una società complessa e contraddittoria in cui il formalismo
delle azioni ha una forza tale che rischia di anestetizzare anche gli
slanci emotivi più puri. Il film è sinceramente poetico oltre che tecnicamente
ineccepibile. Sorprendente la piccola Aida Mohammadkhani.
…il cinema si pone con occhio vigile ed indagatore,
privo da condizionamenti, come colui che non sa e cerca strenuamente di capire.
Ma quello che gli giunge, dalla tumultuosa storia quotidiana dell'umanità, è
solo un confuso ed assordante rumore di fondo, che fa da colonna sonora
ad una sfilata di icone arrugginite, irrigidite nei loro ruoli prestabiliti ed
immutabili. I personaggi che Mina incrocia lungo il cammino sono gli esponenti
di una società cristallizzata intorno a pochi tipi: la madre, la nonna, la
giovane sposa, la chiromante, la maestra, il faccendiere, il maschilista, il
mendicante, il disoccupato: lo stesso regista e la sua troupe fanno parte di questo teatro incapace di
cambiare, di venire veramente incontro ai bisogni di chi non afferra il senso
di tutto ciò, e perciò si ribella e invoca aiuto. La piccola che non vuole più
recitare, che chiede di essere libera di vivere la sua età, di giocare e
partecipare alle festicciole, è come l'arte che, di fronte all'indifferenza
degli uomini, alla loro indisponibilità a servirla, aprendo la mente in suo
onore, decide di ripiegare sulla creatività pura ed individuale, svincolata dai
canoni che vorrebbero assoggettarla alle mode. Tornare a casa, rifugiarsi nel privato, è l'extrema ratio a cui si ricorre per proteggere un tesoro minacciato
dalla cinica prepotenza della massa, dei regimi, dell'oscurantismo. Jafar
Panahi non è mai stato così critico, nei confronti della sua gente, della sua
nazione (e di se stesso) come in questo film: Ayneh è lo specchio in cui anche lui si riflette, e forse si
vede e si scruta, o forse si vede e distoglie lo sguardo.
…It makes for a most fascinating
film, one that breaks new ground and challenges Hollywood to look more closely
at the product it’s putting out and the tremendous influence it has on the
world market. It seems astonishing that a country like Iran, which has a
government censor for films, can make a film like this that makes you think and
is more challenging than most films put out by Hollywood with all its freedoms,
big-budgets, special-effects and pools of talent.
El espejo, de Jafar
Panahi, es un film extraño, original, y al mismo tiempo netamente inscripto
dentro de lo que podríamos denominar cine iraní. Participa por un
lado de esa inquietud que Majid Majidi plasmó en Niños del cielo (y
en menor medida, en El padre): abrazar el mundo infantil. Estoy
hablando de historias protagonizadas por niños, narradas desde su punto de
vista y mínimas, absolutamente simples, en su núcleo argumental. Recuerdo un
slogan publicitario. En las cosas simples está el verdadero sabor de
la vida. El cine iraní, este cine, también existe
por ellas y para ellas. Pero demostró, tal vez allí su mayor mérito, que las
cosas simples de la vida no son cursis... como un aviso de Criollitas. La
primera parte de El espejo gira en torno de una niña
extraviada en el centro de Teherán. Su mamá no aparece por la escuela a
buscarla y ella, a tientas, busca el rumbo de regreso a casa. La ternura de
Mina (Mina Mohammad Khani), su vocecita aguda, que el desamparo afina más y
más, parecen polizones en las calles indiferentes y atestadas de la metrópolis.
El espejo también comparte muchas de las
obsesiones de Abbas Kiarostami, el más famoso y prestigioso realizador iraní de
estos tiempos, de quien Panahi se considera con toda justicia un discípulo. Me
refiero al interés por explorar las conexiones entre la realidad y la ficción.
En Detrás de los olivos, una entre varias de Kiarostami, hay un
director de ficción que convoca a los mismos actores que el director verdadero.
Y hace los mismos esfuerzos por dirigirlos, muchas veces en las mismas tomas,
con lo que, de alguna forma, la película es la historia de sí misma. Más o
menos cautivante, el planteo de Kiarostami es bastante transparente allí. No se
puede decir lo mismo del que irrumpe en la segunda parte de El espejo.
Que comienza cuando Mina, abrupta e imprevisiblemente, mira a cámara y,
hastiada, dice que ya no va a actuar. El director y los técnicos intentan
convencerla en vano. Procuran sonsacarle las razones del desplante, pero no hay
caso. Mina está empacada y lo único que quiere es irse a casa... y sola. Al
director, entonces, se le ocurre aprovechar la crisis (y el hecho de que Mina
no se haya quitado el micrófono inalámbrico) para seguir a la niña en su
periplo. Prosiguiendo de algún modo, sin que ella lo perciba, el rodaje de la
anécdota. Al fin de cuentas, la niña sigue sin hallar el camino a su hogar...
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