Mattia Torre è morto troppo presto, e questo sei pezzi facili sono un bellissimo omaggio alla sua opera, con un regista di serie A e attori perfetti per le loro parti.
i sei pezzi fanno ridere e pensare, fanno immedesimare gli spettatori, e di sicuro guardare i sei pezzi non è tempo perduto, anzi...
buona (speciale) visione - Ismaele
ps: su Raiplay è possibile vedere, di Mattia Torre, anche La linea verticale
QUI si possono vedere i sei pezzi facili, su Raiplay
REZIOSO
…Se volete conoscere un autore gigantesco come Mattia Torre gustatevi
questo piccolo gioiello di perfidia e umanità. 6 pezzi facili è un regalo di
cui godere a lungo, un'eredità che fortunatamente non ci verrà mai tolta.
Mattia Torre scriveva di noi, di quello che siamo, dell’essenza disinibita
delle cose. I suoi spettacoli teatrali erano specchi: il pubblico li vedeva, e
intanto si riconosceva. Parlava di cibo, politica e comunità. Di cosa vuol dire
stare insieme, e di cosa, poi, significa vivere in solitudine. Torre sapeva,
perché partiva dall’assunto di raccontare ciò che aveva visto e provato; e se
esagerava, esagerava in modo lungimirante, contando le distanze, affidandosi
agli attori, dando a ogni parola e ogni pausa un peso preciso. Non si limitava
a scrivere: intesseva trame, le creava; si divertiva a tenerle insieme, a
vederle intrecciate, ordinatamente confuse, e a rileggerle. Era preciso. Un
fedele, prima che un esperto, di quello che faceva. Descriveva la commedia come
una cosa seria, serissima, e sacra. Con le sue regole, i suoi accorgimenti, il
suo modo d’essere. Torre usava la realtà come fonte d’ispirazione, e non si
allontanava molto nelle sue opere: rimaneva lì, meditabondo, musicale,
perfetto. E probabilmente, per raccogliere questa visione, non poteva esserci
miglior regista di Paolo Sorrentino. Perché anche lui, come scrittore, è
preciso. Anche lui usa l’immagine non per saltare, ma per unire. Da una parte
c’è il teatro, con la sua elegante povertà e la sua fiera essenzialità; e
dall’altra c’è il cinema da Oscar, che punta ad ammaliare con la sua bellezza e
con la sua pienezza.
Eppure, in mezzo, c’è molto di più. C’è, appunto, un’idea precisa di
scrittura e messa in scena, di ritmo e dialogo: io inizio, tu continui; tu
rilanci, e io rilancio. Un botta e risposta costante, frenetico, che non
annoia, non appesantisce, ma regge. Migliora. Supera qualunque tipo di
aspettative: non siamo qui per vedere la vita e basta; siamo qui per riderne,
per bearcene, per poter ascoltare attivamente, senza mai subire. In Sei
pezzi facili, dal 19 novembre su Rai3 e in anteprima su Raiplay, Sorrentino
dirige Torre ed è facile notare immediatamente il meglio di entrambi: la mano
che guida la camera e che si mette al servizio della parola scritta, e la
parola scritta che, grazie alla mano che guida la camera, può essere ancora più
libera. «Questo lavoro è il tentativo di valorizzare e amplificare la cassa di
risonanza sul teatro di Mattia Torre», ha detto Sorrentino. «Io ho fatto una
regia con dei minimi appigli cinematografici, perché è l’unica cosa che so
veramente fare. C’è una leggera ibridazione del teatro con il cinema. Però
rispettando sempre e comunque quello che aveva in testa Mattia. Che, da quello
che ho capito raccogliendo mezze frasi dei suoi attori, aveva delle idee molto,
molto precise sui suoi spettacoli. Io ho cercato di intervenire senza alterare
le sue decisioni. Anche se tutto questo deve andare in televisione, il teatro
di Torre è totalmente compiuto, e quindi non aveva bisogno di interventi, se
non di interventi di – appunto – ritmo cinematografico».
Tutto, insomma, sembra ridursi (o allargarsi?) a questo: al modo in cui la
forma cerca il contenuto, e in cui il contenuto, in un’altra dimensione, può
finalmente trovare spazio. Guardando “Gola” con Valerio Aprea, si vede subito
la semplicità della scenografia, con il leggio, le luci, un solo uomo fermo sul
palco. Poi intervengono i suoni, le inquadrature a tradimento di Sorrentino sul
pubblico che ride, che si diverte, che – incredibilmente – partecipa. Ci sono
due velocità, e sono due velocità che non vanno mai in contrasto: quella della
sceneggiatura, e quindi dell’interpretazione, e quella della regia, e quindi
delle immagini. Valerio Mastandrea, parlando di Sei pezzi facili,
l’ha descritto come un «viaggio sentimentale»: «Voglio ringraziare Paolo perché
ha portato la sua emozione vicino alla nostra, e non sopra di essa: non è stato
invasivo, è stato rispettosissimo e ha avuto un approccio sano». Sorrentino ha,
prima di tutto, osservato. E poi capito, appreso e, solo alla fine, agito.
Nelle foto delle prove, scattate da Ago Panini, si riconoscono l’allegria
trascinante dell’esercizio e la condivisione genuina con gli attori.
«Mattia era un regista molto rigoroso, perché era uno scrittore molto
rigoroso, e dirigeva i suoi spettacoli come una prosecuzione della sua scrittura»,
ha detto Francesca Rocca. «Paolo è stato un’intuizione, e io ho avuto il
privilegio di poter intuire e desiderare una persona come Paolo avendo al mio
fianco un amico e un fratello come Lorenzo [Mieli, produttore e AD di The
Apartment, ndr]. Perché Paolo? L’ho capito solamente ieri, lo
ammetto. Quando abbiamo celebrato Mattia all’Ambra Jovinelli, l’apertura l’ha
fatta Lorenzo e ha detto delle cose incredibili. Da lui, però, me lo aspettavo:
Lorenzo era lo sposo lavorativo di Mattia. […] Paolo ha letto un pezzo che
aveva scritto per Mattia, e ascoltandolo ho capito che Paolo aveva fotografato
Mattia pur non conoscendolo da molto tempo. Ha mantenuto una distanza
rispettosa, goliardica, raccontando il Mattia dei loro incontri lavorativi,
delle cena; ed era esattamente quello che amo di Mattia».
Ora, in Sei pezzi facili, ritroviamo Torre, il suo genio, la
sua penna onesta, magnetica, assoluta, e anche, come sguardo silenzioso,
Sorrentino: i due, insieme, si muovono su due strade parallele; non c’è sfida,
non c’è voglia di trasformare tutto in qualcos’altro; c’è – e ne abbiamo già
parlato – il rispetto di un autore per un altro, e la centralità, conquistata
così duramente, della parola scritta sul resto. Gli attori, le figure, le
facce, sono la sostanza viva e vibrante, il ponte di carne ed espressioni che
chiude, in modo piuttosto preciso, questo cerchio. Sei pezzi facili è
qualcosa di cui essere felici: come spettatori, certo; ma pure come persone.
Perché un gruppo d’amici s’è riunito, ha lavorato insieme, e ha ascoltato un
altro regista, un altro direttore d’orchestra, per suonare la musica di chi non
c’è più. E il merito, per una volta, è tutto loro. Non del fato, non di
qualcosa più grande: da Francesca Rocca a Lorenzo Mieli, e da Paolo Sorrentino
al cast di attori e attrici. Mattia Torre vive nella sua parola, e finalmente,
anche se solo per pochi sabati, avrà il pubblico che ha sempre meritato.
Sei pezzi facili raccoglie alcune delle opere più famose e
apprezzate di Mattia Torre. È una produzione di Fremantle in collaborazione con
The Apartment, parte Fremantle, per Rai Cultura. La regia televisiva è curata
da Paolo Sorrentino. Sei pezzi facili andrà in onda dal 19
novembre per cinque sabati conseguitivi, alle 22, su Rai3. Andranno in scena:
“Migliore” con Valerio Mastandrea, “Perfetta” con Geppi Cucciari (26 novembre),
“Qui e ora” con Valerio Aprea e Paolo Calabresi;
“456” con Giordano Agrusta, Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino e Carlo De
Ruggieri (10 dicembre), “In mezzo al mare” e “Gola” con Valerio Aprea (17
dicembre).
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