prima di tutto bisogna dire che Frances McDormand non interpreta Fern, lo è.
non sono molte le attrici (e gli attori) che vestono non (solo) i panni del personaggio, ma ci entrano dentro, anima e carne, e non sai più chi è chi, Frances McDormand è di questa schiera.
la storia, per chi non la sa, è verissima, milioni di cittadini degli Usa hanno perso la casa (crisi dei mutui subprime, nella seconda parte del primo decennio di questo secolo, ricordate?), anche in Europa, ma in misura meno devastante.
cosa fanno gli ex proprietari?
mettono quello che si può in un camper, e via, insieme a tanto come loro, a vivere per strada, in campeggi per loro (non troppo diversi dai campi nomadi)
quello che succede nella vita di Fern, e di quelle e quelli come lei non ve lo racconto, lo vedrete voi, in questo film un po' documentaristico girato da una bravissima Chloé Zhao.
nel film appare (nelle parole della sorella di Fern), e anche in molte recensioni, anche italiane, il concetto che questi infelici sarebbero come i pionieri, come nomadi in cerca di qualcosa; secondo me è assolutamente rivoltante pensare che questi scarti umani, a causa del sistema economico prevalente (capitalismo finanziario, potremmo chiamarlo), amino la vita di merda che sono costretti a fare.
certo, poi cercano di tirare fuori qualcosa di buono, se e quando c'è, il punto è che a quella vita on the road (sembra figo, detto così, in realtà la traduzione è scarti umani del sistema economico e sociale costretti a vivere in strada) è una maledizione.
agli entusiasti, anche da noi, di questa vita avventurosa suggerirei di provare a farsi sfrattare, o a farsi sbattere fuori di casa (dalle banche alle quali non riuscissero a pagare le rate di mutuo), dormire in macchina, fare qualche lavoretto precario malpagato e godere della vita che gli sorride, che ne godano a sazietà.
guardate questo grande film, al cinema, non ve ne pentirete - Ismaele
scrive Gianni Canova:
Ci vogliono quasi due ore
per vederla piangere. Prima, persa nel vuoto cosmico del paesaggio americano,
nomade per scelta e non per necessità, Fern nasconde tormenti e sentimenti
dietro l’apparente impassibilità del volto dell’attrice che le dà vita, la
grandissima Frances McDormand. Volto enigmatico, volto laconico,
volto sfingeo. Segnato da increspature, da piccole rughe, da deboli e quasi
impercettibili sorrisi, ma quasi sempre indecifrabile. Perché Fern
pratica la dissimulazione dei sentimenti e fa della conquista
dell’anaffettività la condizione necessaria (anche se non sempre sufficiente)
per sopravvivere in un mondo e in un tempo che ai sentimenti e agli affetti
sembrano non riconoscere il diritto di cittadinanza. Dopo che la fabbrica in
cui lavorava a Empire, nel Nevada, ha chiuso i battenti, dopo che suo marito
Bob è morto, dopo che lo stato ha cancellato perfino il CAP della località in
cui viveva da trent’anni, Fern ha preso le sue poche cose ed è andata
via: ora è una houseless, ma
non una homeless, non ha una casa ma non
è una senzatetto. Il suo camper è la sua casa, la strada la sua patria. Quando
incontra qualcuno e avverte la possibilità di un legame, di un affetto, di
un’amicizia, subito si allontana. Lo fa con Swankie, con Linda, con Dave. Gira
nelle lande desolate. Abita albe livide e tramonti di fuoco. Si perde nel vuoto
di pianure innevate e di deserti pietrosi. Si fa paesaggio. Nessun’altra
attrice avrebbe saputo fondersi con il paesaggio americano, ed entrare in
simbiosi con esso, come sa fare Frances McDormand in questo film. Giù giù, in
fondo a inquadrature che la sovrastano, Fern si abbandona alla vertigine di
campi lunghissimi in cui si mimetizza…
"Noi non solo accettiamo la tirannide del dollaro e la tirannide del mercato: noi l'abbracciamo. Ci assoggettiamo volentieri al
giogo, alla tirannia del dollaro che ci accompagna per tutta la vita…”
…Una delle principali forze di Nomadland è proprio la
sontuosa regia di Chloé Zhao. L'autrice già acclamata per The
Rider è in grado di chiuderci con Fern dentro le comode sbarre del suo
furgoncino e in un attimo farci respirare l'ampiezza dei paesaggi, lande enormi
ricolme di niente. La delicatezza delle inquadrature strette deflagra nei campi
larghissimi dove è splendido perdersi, esattamente come il popolo nomade vuole
e deve fare.
Chloé Zhao non perde mai di vista i cocci della sua regia,
dando a Fern il compito di rimetterli assieme, l'ossimoro continuo di una
tranquilla lotta forsennata contro la vita.
Ed è in questa crepa tra atomi di stelle nel palmo della mano e scogliere
assalite dal maremoto che ci posiamo noi, complici di un viaggio continuo
senza una meta apparente, una fuga di persone che non hanno motivo
per restare ferme, oppure che continuano a muoversi perché altrimenti
morirebbero.
Strade unite
Ma allora qual è il conflitto? Cosa cerca di raschiare
Nomadland dalla ruggine dei nostri occhi? Una delle piccole grandi
lezioni della vita: lasciare andare. Fern deve rompere il suo eterno ritorno
per fare quel vero passo avanti che ancora le manca, deve tornare e chiudere
con un passato gelido che rischia di seppellirla sotto continui strati di
polvere. Sa che è l'unico lancinante modo per darsi una possibilità.
E Chloé Zhao non la abbandona mai, si infila sotto le coperte,
la stringe al dito come un anello, la schiaccia contro paesaggi sterminati e si
accoccola con lei attorno al fuoco, tirando pietre dentro un braciere…
… Chloé Zhao si
affida a Frances McDormand che produce anche il film
e che interpreta una Fren strepitosa. Ogni sua ruga, ogni sua espressione è
dedicata ad una donna che sembra conoscere e capire intimamente, un ruolo che
non fa altro che confermare la delicatezza di un’interprete che negli ultimi
anni ha dato prova di migliorare film dopo film, performance dopo performance, nonostante
partisse già da livelli altissimi. Ma oltre McDormand, i volti che restano
davvero impressi nella mente sono quelli di Linda May, Swankie,
Bob Wells, nomadi veri, persone autentiche.
L’occhio di Zhao mostra e
racconta con una compassione e una delicatezza rara, costruisce il film passo
dopo passo così come i suoi protagonisti un pezzo alla volta ricostruiscono la
loro vita, sempre proiettati lungo la strada come fossero carovane di pionieri
senza però nulla da scoprire. La ricerca malinconica e disillusa di un nuovo
posto in cui stare si rivela presto essere solo una scusa per continuare ad
andare avanti, nel ricordo di persone e posti che non torneranno, ma che,
proprio perché ricordati, non moriranno mai…
…Guardare la faccia di Frances McDormand in
Nomadland e riconoscervi la vita di una persona. E’ una sensazione
questa che si rinnova ad ogni nuovo incontro, il che, in
generale, fa pensare che per un attrice come lei stare
davanti alla mdp con così tanta credibilità non sia solo una questione di
talento ma dipenda anche dalla coerenza delle sue scelte, a cominciare da quelle
relative ai ruoli da interpretare e soprattutto a quelli da rifiutare. A ben
vedere la Fern di Nomaland potrebbe essere parente stretta
della Mildred Hayes di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri, il che è tutt’altro che casuale.
…Il film comincia come una sorta di elaborazione del lutto e
diventa un percorso personale di rinascita, dove la strada intrapresa non è
detto sia per forza quella più comoda, ma finisce per essere l’unica possibile.
Almeno per la protagonista e il suo personale vissuto.
Un
viaggio che ci conduce insieme a Fern nell’America rurale, nella crisi
economica, nel sentire di un singolo che diventa ritratto di una collettività
silenziosa, sulle note malinconiche di Ludovico Einaudi a cui è affidata la
colonna sonora.
Un
piccolo grande film che forse i tanti riconoscimenti che sta raccogliendo (dal
Leone d’Oro a Venezia agli Oscar che sicuramente vincerà) caricheranno di
eccessive aspettative, mentre è nella dimensione intima che trova il suo
spazio, la sua poesia, ed è lì che bisogna gustarlo per comprenderlo appieno senza
sciuparlo.
…Pur non romanticizzando la vita in
strada, per la regista è impossibile nascondere che è la gioia, non la
sofferenza, a descriverli: la gioia di trovare un nuovo modo di stare al mondo,
di creare comunità basate sulla condivisione, come essere indipendenti e essere
lieti di ciò che si ha. Una parte importante dell’evoluzione del personaggio di
Fern si può osservare quando lei comprende, con lucidità, perché non può
accettare l’aiuto degli altri, soprattutto da parte di chi le offre la propria
ospitalità. Per lei è difficile ricostruire quel che circonda il concetto di
casa, per lei è impossibile rinnovare quel sentimento che cinge l’idea di una
dimora, quando quella possibilità è inscritta nelle regole e nelle condizioni
di altri individui. Questa è la sua definizione di libertà e di orgoglio.
Riscrivere le regole con cui si sta al mondo.
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