lunedì 24 maggio 2021

Nomadland - Chloé Zhao

prima di tutto bisogna dire che Frances McDormand non interpreta Fern, lo è. 

non sono molte le attrici (e gli attori) che vestono non (solo) i panni del personaggio, ma ci entrano dentro, anima e carne, e non sai più chi è chi, Frances McDormand è di questa schiera.

la storia, per chi non la sa, è verissima, milioni di cittadini degli Usa hanno perso la casa (crisi dei mutui subprime, nella seconda parte del primo decennio di questo secolo, ricordate?), anche in Europa, ma in misura meno devastante.

cosa fanno gli ex proprietari?

mettono quello che si può in un camper, e via, insieme a tanto come loro, a vivere per strada, in campeggi per loro (non troppo diversi dai campi nomadi)

quello che succede nella vita di Fern, e di quelle e quelli come lei non ve lo racconto, lo vedrete voi, in questo film un po' documentaristico girato da una bravissima Chloé Zhao.

nel film appare (nelle parole della sorella di Fern), e anche in molte recensioni, anche italiane, il concetto che questi infelici sarebbero come i pionieri, come nomadi in cerca di qualcosa; secondo me è assolutamente rivoltante pensare che questi scarti umani, a causa del sistema economico prevalente (capitalismo finanziario, potremmo chiamarlo), amino la vita di merda che sono costretti a fare.

certo, poi cercano di tirare fuori qualcosa di buono, se e quando c'è, il punto è che a quella vita on the road (sembra figo, detto così, in realtà la traduzione è scarti umani del sistema economico e sociale costretti a vivere in strada) è una maledizione.

agli entusiasti, anche da noi, di questa vita avventurosa suggerirei di provare a farsi sfrattare, o a farsi sbattere fuori di casa (dalle banche alle quali non riuscissero a pagare le rate di mutuo), dormire in macchina, fare qualche lavoretto precario malpagato e godere della vita che gli sorride, che ne godano a sazietà.

guardate questo grande film, al cinema, non ve ne pentirete - Ismaele

 

  

 

 

scrive Gianni Canova:

Ci vogliono quasi due ore per vederla piangere. Prima, persa nel vuoto cosmico del paesaggio americano, nomade per scelta e non per necessità, Fern nasconde tormenti e sentimenti dietro l’apparente impassibilità del volto dell’attrice che le dà vita, la grandissima Frances McDormand. Volto enigmatico, volto laconico, volto sfingeo. Segnato da increspature, da piccole rughe, da deboli e quasi impercettibili sorrisi, ma quasi sempre indecifrabile. Perché Fern pratica la dissimulazione dei sentimenti e fa della conquista dell’anaffettività la condizione necessaria (anche se non sempre sufficiente) per sopravvivere in un mondo e in un tempo che ai sentimenti e agli affetti sembrano non riconoscere il diritto di cittadinanza. Dopo che la fabbrica in cui lavorava a Empire, nel Nevada, ha chiuso i battenti, dopo che suo marito Bob è morto, dopo che lo stato ha cancellato perfino il CAP della località in cui viveva da trent’anni, Fern ha preso le sue poche cose ed è andata via: ora è una houseless, ma non una homeless, non ha una casa ma non è una senzatetto. Il suo camper è la sua casa, la strada la sua patria. Quando incontra qualcuno e avverte la possibilità di un legame, di un affetto, di un’amicizia, subito si allontana. Lo fa con Swankie, con Linda, con Dave. Gira nelle lande desolate. Abita albe livide e tramonti di fuoco. Si perde nel vuoto di pianure innevate e di deserti pietrosi. Si fa paesaggio. Nessun’altra attrice avrebbe saputo fondersi con il paesaggio americano, ed entrare in simbiosi con esso, come sa fare Frances McDormand in questo film. Giù giù, in fondo a inquadrature che la sovrastano, Fern si abbandona alla vertigine di campi lunghissimi in cui si mimetizza…

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"Noi non solo accettiamo la tirannide del dollaro e la tirannide del mercato: noi l'abbracciamo. Ci assoggettiamo volentieri al giogo, alla tirannia del dollaro che ci accompagna per tutta la vita…”

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…Una delle principali forze di Nomadland è proprio la sontuosa regia di Chloé Zhao. L'autrice già acclamata per The Rider è in grado di chiuderci con Fern dentro le comode sbarre del suo furgoncino e in un attimo farci respirare l'ampiezza dei paesaggi, lande enormi ricolme di niente. La delicatezza delle inquadrature strette deflagra nei campi larghissimi dove è splendido perdersi, esattamente come il popolo nomade vuole e deve fare.
Chloé Zhao non perde mai di vista i cocci della sua regia, dando a Fern il compito di rimetterli assieme, l'ossimoro continuo di una tranquilla lotta forsennata contro la vita.
Ed è in questa crepa tra atomi di stelle nel palmo della mano e scogliere assalite dal maremoto che ci posiamo noi, complici di un viaggio continuo senza una meta apparente, una fuga di persone che non hanno motivo per restare ferme, oppure che continuano a muoversi perché altrimenti morirebbero.

Strade unite

Ma allora qual è il conflitto? Cosa cerca di raschiare Nomadland dalla ruggine dei nostri occhi? Una delle piccole grandi lezioni della vita: lasciare andare. Fern deve rompere il suo eterno ritorno per fare quel vero passo avanti che ancora le manca, deve tornare e chiudere con un passato gelido che rischia di seppellirla sotto continui strati di polvere. Sa che è l'unico lancinante modo per darsi una possibilità.
E Chloé Zhao non la abbandona mai, si infila sotto le coperte, la stringe al dito come un anello, la schiaccia contro paesaggi sterminati e si accoccola con lei attorno al fuoco, tirando pietre dentro un braciere…

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Chloé Zhao si affida a Frances McDormand che produce anche il film e che interpreta una Fren strepitosa. Ogni sua ruga, ogni sua espressione è dedicata ad una donna che sembra conoscere e capire intimamente, un ruolo che non fa altro che confermare la delicatezza di un’interprete che negli ultimi anni ha dato prova di migliorare film dopo film, performance dopo performance, nonostante partisse già da livelli altissimi. Ma oltre McDormand, i volti che restano davvero impressi nella mente sono quelli di Linda May, Swankie, Bob Wells, nomadi veri, persone autentiche.

L’occhio di Zhao mostra e racconta con una compassione e una delicatezza rara, costruisce il film passo dopo passo così come i suoi protagonisti un pezzo alla volta ricostruiscono la loro vita, sempre proiettati lungo la strada come fossero carovane di pionieri senza però nulla da scoprire. La ricerca malinconica e disillusa di un nuovo posto in cui stare si rivela presto essere solo una scusa per continuare ad andare avanti, nel ricordo di persone e posti che non torneranno, ma che, proprio perché ricordati, non moriranno mai…

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…Guardare la faccia di Frances McDormand in Nomadland e riconoscervi la vita di una persona. E’ una sensazione questa  che si rinnova ad ogni nuovo incontro, il che,  in generale, fa  pensare che per un attrice come lei  stare davanti alla mdp con così tanta credibilità non sia solo una questione di talento ma dipenda anche dalla coerenza delle sue scelte, a cominciare da quelle relative ai ruoli da interpretare e soprattutto a quelli da rifiutare. A ben vedere la Fern di Nomaland potrebbe essere parente stretta della  Mildred Hayes di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri, il che è tutt’altro che casuale.

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Il film comincia come una sorta di elaborazione del lutto e diventa un percorso personale di rinascita, dove la strada intrapresa non è detto sia per forza quella più comoda, ma finisce per essere l’unica possibile. Almeno per la protagonista e il suo personale vissuto.

Un viaggio che ci conduce insieme a Fern nell’America rurale, nella crisi economica, nel sentire di un singolo che diventa ritratto di una collettività silenziosa, sulle note malinconiche di Ludovico Einaudi a cui è affidata la colonna sonora. 

Un piccolo grande film che forse i tanti riconoscimenti che sta raccogliendo (dal Leone d’Oro a Venezia agli Oscar che sicuramente vincerà) caricheranno di eccessive aspettative, mentre è nella dimensione intima che trova il suo spazio, la sua poesia, ed è lì che bisogna gustarlo per comprenderlo appieno senza sciuparlo.

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Pur non romanticizzando la vita in strada, per la regista è impossibile nascondere che è la gioia, non la sofferenza, a descriverli: la gioia di trovare un nuovo modo di stare al mondo, di creare comunità basate sulla condivisione, come essere indipendenti e essere lieti di ciò che si ha. Una parte importante dell’evoluzione del personaggio di Fern si può osservare quando lei comprende, con lucidità, perché non può accettare l’aiuto degli altri, soprattutto da parte di chi le offre la propria ospitalità. Per lei è difficile ricostruire quel che circonda il concetto di casa, per lei è impossibile rinnovare quel sentimento che cinge l’idea di una dimora, quando quella possibilità è inscritta nelle regole e nelle condizioni di altri individui. Questa è la sua definizione di libertà e di orgoglio. Riscrivere le regole con cui si sta al mondo.

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