recupero un film di Battiato, e dopo averlo visto mi vengono in mente i primi versi di una sua canzone:
Parlami dell′esistenza di mondi lontanissimi
Di civiltà sepolte, di continenti
alla deriva
Parlami dell'amore che si fa in mezzo agli uomini
Di viaggiatori anomali in territori mistici, di più
anche nel film c'è un viaggio nello spazio e nel tempo, per un progetto televisivo che, forse, sfugge di mano ai suoi autori.
non so bene se mi è piaciuto, ma forse questo verbo è anomalo, per questo film.
sotto avete il link al film, buona visione - Ismaele
QUI il film completo
… Dal linguaggio (la televisione e il
modo di fare informazione) ai corpi ed alle forma di vita (Beethoven e la sua
geniale anormalità) fino alla politica (la sequenza finale con l'annuncio del
colpo di stato): Musikanten è un grido anarchico che scompagina la forma
e le norme di ogni possibile schema visivo per giungere al cuore pulsante della
vita, a quel gesto vitale che solo può resistere al potere di una politica
omologante e normalizzante. Un'opera pieni di allusioni (ma la filosofia,
quella vera, non è, come ricorda Deleuze, una gigantesca "arte
dell'allusione"?), ricamata lungo continui interstizi spaziali e
temporali, nicchie e angoli dove i corpi seguono nuove e possibili linee di
fuga intrecciando la musica, il cinema, il video e la filosofia. Un film pieno
di gesti e atti, stracolmo di volti straordinari (da quello di Juri Camisasca
ad Antonio Rezza passando per lo stesso Sgalambro e per uno bravissimo
Alejandro Jodorowski) che oppongono la loro giocosa e gioiosa "ecceità"
ad una realtà sempre più leggibile e codificata. E forse proprio questo gesto
formale e vitale avvicina il cinema di Battiato e Sgalambro a quello di Pier
Paolo Pasolini: tutti "scrittori di cinema", "musicanti di immagini"
sempre pronti ad avventarsi contro i limiti del linguaggio inventando nuove
forme di vita, altri modi di stare davanti e dietro ad una
macchina da presa. Piccole urla di creatività, di scherzosa "rabbia"
cinematografica lanciate contro l'omologazione di un'industria culturale sempre
più ottusa e sorda al genio del singolo. Ad ogni festosa "ecceità".
Un film che lascia senza parole e non
perché si abbandoni solo alla musica, ma perché la prima reazione che suscita,
per chi non abbia avuto la furbizia di fuggire dopo la prima mezz'ora, è il
silenzio. Un silenzio pregno però di domande, prima fra tutte: come è possibile
che un film del genere sia stato prodotto? Ancora: come hanno potuto artisti
del livello di Alejandro Jodorowsky, ma anche un Fabrizio Gifuni e una Sonia
Bergamasco, parteciparvi come attori? Ma soprattutto come pensare di farlo uscire
nelle sale cinematografiche…
…non si è davanti
a delle buone interpretazioni, ad una buona messa in scena. Jodorowsky è
istrionico nella sua interpretazione, ma cade nell’esagerato e nell’odioso. Per
non parlare delle battute “ultrafilosofiche e mistiche” che lasciano spazio a
delle spontanee risate, che all’inizio fanno pensare a della buona autoironia,
ma che in realtà sono considerazioni che appesantiscono inverosimilmente i
dialoghi.
La particolarità di Battiato può risultare indecifrabile. Ma
come accenna il direttore di rete della emittente del film “tutto è
comunicazione, e il messaggio deve arrivare facilmente al pubblico”. Battiato
rimandato.
una stroncatura totale:
Imbarazzante. Non ci sono altre parole per descrivere l'opera
seconda del musicista Franco Battiato. Attraverso una narrazione dalle pretese
oniriche si passa dai giorni nostri all'Ottocento e si ha modo di entrare in
contatto con le ultime giornate di, nientepopodimeno che, Ludvig van Beethoven.
Ma veniamo ai difetti. La pretenziosità prima di tutto, subito evidente negli
improvvisi inserti in digitale sporco che sembrano più derivare dal caso che da
una precisa scelta stilistica; così come non si percepisce alcuna direzione
degli attori, che vagano senza controllo ripetendo a pappagallo, e con
falsissima convinzione, frasi di cui sembrano ignorare il significato. In
particolare, davvero imbarazzanti Sonia Bergamasco in abiti maschili e
boccoloni nei panni del principe Lichnowsky, amico e mecenate di Beethoven, e
Fabrizio Gifuni con capello lungo e sorriso costante stampato sul viso. Per
tacere del grande regista Alejandro Jodorowsky. Si butta con mimica eccessiva
nel ruolo rischioso di Beethoven e non esibisce alcun carisma (certo, il
doppiaggio gracchiante e fuori sincrono non lo aiuta). Ma proprio tutti gli
elementi cinematografici risultano insalvabili: il montaggio sbaglia i tempi, i
costumi paiono raccattati dove capita, la scenografia è di una povertà che non
ha nulla di rigoroso, la fotografia appare sbiadita. Anche la musica, ricercata
per evitare scelte banali, non arriva. Ma il peggio del peggio è nelle pretese
intellettuali della sceneggiatura (dello stesso Battiato con il filosofo Manlio
Sgalambro) che sfida, perdendo, il ridicolo, costruisce sequenze
dall'imponderabile valore aggiunto e azzarda dialoghi di sublime vacuità
("esporre l'esoterico a chiunque non va bene", "prenda contatto
con l'alluce destro", "le auguro la migliore delle cacate, senza
difficoltà, in questo meraviglioso cesso!").
Ed ora passiamo ai pregi: non pervenuti.
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