venerdì 21 maggio 2021

Musikanten - Franco Battiato

recupero un film di Battiato, e dopo averlo visto mi vengono in mente i primi versi di una sua canzone:

Parlami dell′esistenza di mondi lontanissimi

Di civiltà sepolte, di continenti alla deriva

Parlami dell'amore che si fa in mezzo agli uomini

Di viaggiatori anomali in territori mistici, di più

anche nel film c'è un viaggio nello spazio e nel tempo, per un progetto televisivo che, forse, sfugge di mano ai suoi autori.

non so bene se mi è piaciuto, ma forse questo verbo è anomalo, per questo film.

sotto avete il link al film, buona visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo

 

Dal linguaggio (la televisione e il modo di fare informazione) ai corpi ed alle forma di vita (Beethoven e la sua geniale anormalità) fino alla politica (la sequenza finale con l'annuncio del colpo di stato): Musikanten è un grido anarchico che scompagina la forma e le norme di ogni possibile schema visivo per giungere al cuore pulsante della vita, a quel gesto vitale che solo può resistere al potere di una politica omologante e normalizzante. Un'opera pieni di allusioni (ma la filosofia, quella vera, non è, come ricorda Deleuze, una gigantesca "arte dell'allusione"?), ricamata lungo continui interstizi spaziali e temporali, nicchie e angoli dove i corpi seguono nuove e possibili linee di fuga intrecciando la musica, il cinema, il video e la filosofia. Un film pieno di gesti e atti, stracolmo di volti straordinari (da quello di Juri Camisasca ad Antonio Rezza passando per lo stesso Sgalambro e per uno bravissimo Alejandro Jodorowski) che oppongono la loro giocosa e gioiosa "ecceità" ad una realtà sempre più leggibile e codificata. E forse proprio questo gesto formale e vitale avvicina il cinema di Battiato e Sgalambro a quello di Pier Paolo Pasolini: tutti "scrittori di cinema", "musicanti di immagini" sempre pronti ad avventarsi contro i limiti del linguaggio inventando nuove forme di vita,  altri modi di stare davanti e dietro ad una macchina da presa. Piccole urla di creatività, di scherzosa "rabbia" cinematografica lanciate contro l'omologazione di un'industria culturale sempre più ottusa e sorda al genio del singolo. Ad ogni festosa "ecceità".

da qui

 

Un film che lascia senza parole e non perché si abbandoni solo alla musica, ma perché la prima reazione che suscita, per chi non abbia avuto la furbizia di fuggire dopo la prima mezz'ora, è il silenzio. Un silenzio pregno però di domande, prima fra tutte: come è possibile che un film del genere sia stato prodotto? Ancora: come hanno potuto artisti del livello di Alejandro Jodorowsky, ma anche un Fabrizio Gifuni e una Sonia Bergamasco, parteciparvi come attori? Ma soprattutto come pensare di farlo uscire nelle sale cinematografiche

da qui

 

…non si è davanti a delle buone interpretazioni, ad una buona messa in scena. Jodorowsky è istrionico nella sua interpretazione, ma cade nell’esagerato e nell’odioso. Per non parlare delle battute “ultrafilosofiche e mistiche” che lasciano spazio a delle spontanee risate, che all’inizio fanno pensare a della buona autoironia, ma che in realtà sono considerazioni che appesantiscono inverosimilmente i dialoghi.

La particolarità di Battiato può risultare indecifrabile. Ma come accenna il direttore di rete della emittente del film “tutto è comunicazione, e il messaggio deve arrivare facilmente al pubblico”. Battiato rimandato.

da qui

 

una stroncatura totale:

Imbarazzante. Non ci sono altre parole per descrivere l'opera seconda del musicista Franco Battiato. Attraverso una narrazione dalle pretese oniriche si passa dai giorni nostri all'Ottocento e si ha modo di entrare in contatto con le ultime giornate di, nientepopodimeno che, Ludvig van Beethoven. Ma veniamo ai difetti. La pretenziosità prima di tutto, subito evidente negli improvvisi inserti in digitale sporco che sembrano più derivare dal caso che da una precisa scelta stilistica; così come non si percepisce alcuna direzione degli attori, che vagano senza controllo ripetendo a pappagallo, e con falsissima convinzione, frasi di cui sembrano ignorare il significato. In particolare, davvero imbarazzanti Sonia Bergamasco in abiti maschili e boccoloni nei panni del principe Lichnowsky, amico e mecenate di Beethoven, e Fabrizio Gifuni con capello lungo e sorriso costante stampato sul viso. Per tacere del grande regista Alejandro Jodorowsky. Si butta con mimica eccessiva nel ruolo rischioso di Beethoven e non esibisce alcun carisma (certo, il doppiaggio gracchiante e fuori sincrono non lo aiuta). Ma proprio tutti gli elementi cinematografici risultano insalvabili: il montaggio sbaglia i tempi, i costumi paiono raccattati dove capita, la scenografia è di una povertà che non ha nulla di rigoroso, la fotografia appare sbiadita. Anche la musica, ricercata per evitare scelte banali, non arriva. Ma il peggio del peggio è nelle pretese intellettuali della sceneggiatura (dello stesso Battiato con il filosofo Manlio Sgalambro) che sfida, perdendo, il ridicolo, costruisce sequenze dall'imponderabile valore aggiunto e azzarda dialoghi di sublime vacuità ("esporre l'esoterico a chiunque non va bene", "prenda contatto con l'alluce destro", "le auguro la migliore delle cacate, senza difficoltà, in questo meraviglioso cesso!").
Ed ora passiamo ai pregi: non pervenuti.

da qui

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