mercoledì 26 maggio 2021

La mia classe - Daniele Gaglianone

Valerio Mastandrea insegna in un corso serale per stranieri, di sera.

il film è un po' finzione un po' documentario, gli studenti sono tutti veri immigrati e Valerio Mastandrea si immedesima nell'insegnante in modo naturale, è un insegnante.

insegnare l'italiano non è una cosa astratta, più che in una scuola per italiani, tutti hanno una vira prima, curante e dopo, è quella vita non può mai essere messa da parte, è impossibile.

la storia raccontata da Valerio Mastandrea, alla fine del film, è inquietante e fa male.

non perdete il film, merita molto - Ismaele

 

 

 

 

 

 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

 

…Gli stimoli che il film smuove sono sicuramente interessanti, ma il limite dell’esperimento è nella mancanza di sincerità nei confronti dello spettatore, che non ha mai modo di capire quanto di ciò che vede sia autentico, simulato o indotto. Che senso ha far recitare un attore in un contesto vero? Cosa aggiunge, inoltre, far fingere ai ragazzi il loro disagio (molto spesso i non attori sono chiamati a ripetere alcune scene)? Non sarebbe sufficiente, e più onesto, captarlo, comunicarlo, imprimerlo nei fotogrammi, scegliendo chiaramente quale strada percorrere? Altrimenti la sensazione è che l’evolversi delle situazioni sia frutto di una mistificazione. Così come la lunga parte centrale, in cui ogni studente racconta la sua triste storia, sembra figlia della tv del dolore, in cui si cerca di pungolare l’emotività dello spettatore attraverso vicende strappalacrime a cui è impossibile resistere…

da qui

 

Nel momento in cui avviene il passaggio dalla fase pedagogica a quella psicologica, il film subisce un vero contraccolpo e ne cambia completamente lo stile di regia. L’intera troupe si mette a nudo, regista compreso, e collabora nel rendere la realtà filmabile, quasi fosse una finzione. L’espediente di un permesso di soggiorno scaduto provoca la vera collisione, e la messa in scena diventa una vera e propria storia corale, dove un sentimento di solidarietà e condivisione diventa protagonista di questa nuova forma metalinguistica. Assistenti alla regia si fanno protagonisti quasi quanto i ragazzi della classe, Mastandrea si spoglia dalla veste di attore e diventa amico, addirittura ci si pone il quesito davanti la macchina da presa se valga ancora la pena portare avanti il progetto o meno. Insomma è l’esempio pratico di work in progress, nel quale si giunge a una soluzione stilistica, per cui resta difficile trovare il limite definitivo tra realtà e finzione, entrambe le dimensioni confluiscono l’una nell’altra creando questa sorta di documentario emozionale su come si svolge il lavoro su un set cinematografico e su come, a volte e non sempre, si riesca a costruire una vera famiglia anche tra semi-sconosciuti…

da qui

 

Non è fiction, e non è nemmeno documentario. Creatura vagante, non catalogabile, progettata in divenire, sembra voler assomigliare il più possibile ai corpi degli studenti protagonisti, migranti veri provenienti da tutti i Terzomondi possibili, che vogliono imparare la lingua italiana per guadagnarsi il diritto all’esistenza. Metacinema  solo fino ad un certo punto, La Mia Classe è film politico fino in fondo, grondante militanza, schierato dicotomicamente dalla parte giusta contro la parte sbagliata…

 

…Nel contesto avantrealistico dell’opera, brilla come al solito Valerio Mastandrea, che recita il ruolo di maestro di Italiano. La sua è una prova di umanità ineccepibile e recitazione misurata, e si inserisce in maniera naturale nella (volutamente) incerta materia filmica realizzata da Gaglianone.

L’aspetto frustrante per noi spettatori consapevoli riguarda l’amara certezza che questo film sarà apprezzato da un numero bassissimo di persone, e si tratterà esclusivamente di persone GIA’ sensibili alla materia. Tutti gli altri si addormenteranno, perchè manca il racconto, e così la storia non riesce a diventare Storia.

da qui

 

Va tuttavia riconosciuto, pur nei limiti e nelle imperfezioni del progetto, il coraggio di Gaglianone nel proporre un soggetto così battuto dal nostro cinema (i drammi sociali, e specie quelli sull'immigrazione, si sono moltiplicati negli ultimi anni) inserendovi un punto di vista nuovo, almeno per i nostri standard: quello di un cinema che si interroga sui suoi stessi meccanismi, sul confine tra realtà e finzione, tra racconto e ricostruzione, tra vita colta nel suo dispiegarsi e la sua (ri)organizzazione cinematografica. Se è vero che l'amalgama non sempre funziona al meglio, e il materiale a tratti sfugge di mano al regista, gli intenti, e parte della resa, vanno comunque premiati.

da qui


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