Tre Film Al Giorno, Tre Libri Alla Settimana, Dei Dischi Di Grande Musica Faranno La Mia Felicità Fino Alla Mia Morte. (François Truffaut)
domenica 30 giugno 2019
sabato 29 giugno 2019
Oro verde – C'era una volta in Colombia (Pájaros de verano) - Ciro Guerra, Cristina Gallego
Ciro Guerra è il regista di quel capolavoro che è El abrazo de la serpiente, nel 2018 con Cristina Gallego ha girato un film che racconta di un popolo della Colombia e di cosa è stata la droga per quelle popolazioni.
l'avidità e la ricchezza senza fine (o il suo sogno) rendono l'essere umano una macchina da guerra, senza nessuna pietà verso nessuno.
non ci sono più rapporti umani, se non gli affari, all'inizio, e poi l'odio e la vendetta, senza fine.
il film inizia e finisce col canto di un pastore cieco, che racconta la storia.
una popolazione con regole antiche e vive viene (s)travolta dalla piena dei dollari versati da chi compra la droga per portarla al nord.
non perdetevelo, se vi capita, e cercatelo comunque, è un grande e terribile film - Ismaele
ps: se c'è qualcuno che viene turbato dalla violenza dei film di Tarantino, è meglio che lasci perdere Oro Verde, al confronto i film di Tarantino sono per ragazzine e ragazzini che frequentano i corsi di catechismo per la prima comunione.
e comunque tutto il sangue che si vede è cronaca, mai gratuito.
l'avidità e la ricchezza senza fine (o il suo sogno) rendono l'essere umano una macchina da guerra, senza nessuna pietà verso nessuno.
non ci sono più rapporti umani, se non gli affari, all'inizio, e poi l'odio e la vendetta, senza fine.
il film inizia e finisce col canto di un pastore cieco, che racconta la storia.
una popolazione con regole antiche e vive viene (s)travolta dalla piena dei dollari versati da chi compra la droga per portarla al nord.
non perdetevelo, se vi capita, e cercatelo comunque, è un grande e terribile film - Ismaele
ps: se c'è qualcuno che viene turbato dalla violenza dei film di Tarantino, è meglio che lasci perdere Oro Verde, al confronto i film di Tarantino sono per ragazzine e ragazzini che frequentano i corsi di catechismo per la prima comunione.
e comunque tutto il sangue che si vede è cronaca, mai gratuito.
…seguendo la struttura di una tragedia sapientemente allestita in cinque atti ben distinti, Oro verde – C’era una volta in Colombia si delinea come una sorta di saga padrinesca in ambito etnico con piena filologia rispetto all’uso della lingua wayùu, dove niente può opporsi alla disfatta culturale davanti a modelli che s’impongono con la loro capacità di solleticare bassi istinti. Guerra e Gallego squadernano un’ammirevole sapienza di messinscena, che non disdegna sorprendenti uscite verso il conclamato cinema di genere (vi è posto pure per un “Mexican standout” di lunga tradizione, che di prima impressione ricorda le riletture tarantiniane) mantenendo però una salda e determinata significazione. Più volte interviene anche la gelida messincena di grottesche iperboli (quella bianca villa che d’improvviso si staglia, geometrica nel disegno, nell’incoerente paesaggio brullo; i pacchi di marijuana che si moltiplicano su scala esponenziale come i velivoli incaricati del loro trasporto), mentre i rappresentanti di un’antica cultura minoritaria vanno incontro a una bizzarra e stridente musealizzazione – la loro collocazione negli interni della villa. In ultima analisi, quel che viene scoperto dalla comunità wayùu protagonista è la sistematizzazione della violenza, che da garante implicito della stabilità di una cultura si tramuta in esplicito atto economico, del tutto sintonico a un nuovo modello di vita basato sulla prevaricazione prodotta in serie. E non è un caso se il salto decisivo verso la scoperta della gratuita umiliazione avvenga per via di uno sciroccato rappresentante della nuova generazione. Una volta innescato il tritacarne, la violenza genera violenza, la sete di potere fa scoprire il piacere distorto del dominio sugli altri. Di lì al suicidio eterodiretto di un’intera cultura non vi è che un passo.
Il discorso di Guerra e Gallego è insomma chiaro ed esplicito, e non lascia spazio a molte interpretazioni alternative. Tuttavia la coppia di autori evita il rischio del rigido film a tesi rifrangendo il racconto sulle strutture assolute della saga e della tragedia. Raccontando cioè una precisa tragedia storica, colta agli albori di un futuro e fiorente regno del narcotraffico, ma collocata nel panorama della tragedia universale dell’innocenza perduta. Avvincente, appassionante, potente. Si vede, e rimane la voglia di rivederlo subito. E non è poco.
da qui
… Les longues séquences de deal entre les deux clans familiaux, les
premiers transferts de marchandise sur des ânes sont traités méticuleusement
par le duo de cinéastes. Les discours parfois exaltés sur les règles à ne pas
transgresser pour un Wayuu reviennent souvent, trop souvent. À trop faire
allusion à l’oiseau de mauvais augure, Les Oiseaux de Passage sombre dans une
lente description expliquant l’engrenage désastreux dans lequel s’est fourré
Rapayet notamment. Son avidité lui fait perdre la boule. Entre vendetta
ennuyeuse et coutumes ancestrales, le coeur de l’un des premiers boss des
cartels balance. Derrières ses lunettes, chapeau vissé sur la tête, il voit
l’argent le vampiriser et le prendre à la gorge. Sa folie des grandeurs le
rattrape, l’isole de la réalité et de sa propre famille.
Une immersion parfois brouillonne, parfois
sanglante, voire imprévisible. Le métrage fait l’élastique entre les bonnes
séquences et les longueurs. Malgré les quelques fulgurances, Les Oiseaux de
Passage est un récit souvent lancinant, souvent statique. L’histoire reste
toutefois intéressante grâce à son sujet de base, grâce à sa réflexion sur ces
peuples pauvres et rattrapés par le spectre de l’argent.
…Porque Pájaros de verano es
también (y sobre todo) una cronología de los orígenes del narcotráfico en
Colombia, una genealogía de la violencia que ha marcado el país en el último
medio siglo. Una cronología que no se apoya en un documentalismo de corte
histórico o en una crónica periodística sino en el mito y la leyenda. La
narración se organiza como un canto épico recitado por un cantor (un juglar, un
bardo, un aedo según la tradición) que abre y cierra la película. Como un
relato oral y popular que estructura la leyenda mediante una serie de capítulos
(llamados cantares) que retrata varios momentos temporales entre 1968 y los
años 80.
En el film se mezcla lo etnográfico con la tragedia personal y familiar.
El relato mafioso se reviste con las tradiciones locales marcadas por un
espiritualismo capaz de contactar con el más allá a través de los sueños o por
la interpretación de los signos de la naturaleza, lo que provoca que aflore, en
ocasiones, ese realismo mágico tan propio de la cultura y la realidad
latinoamericana, una realidad violenta(da) fruto del contraste/choque cultural.
Como cualquier relato sobre la mafia, Pájaros de verano,
es también un relato sobre la familia, sobre sus leyes internas, sobre el papel
de los Padrinos (en este caso una Madrina) y los consigliere (o palabrerosaquí), sobre la lealtad, el honor y la
traición, sobre la ambición y la violencia desmedidas, sobre el asesinato y la
venganza. En definitiva, sobre la destrucción de un ecosistema humano cuyas
consecuencias llegan hasta nuestro presente en forma de metáfora representada
por ese sonido de lluvia que sigue retumbando una vez finaliza el relato y los
créditos finales desfilan sobre una pantalla en negro.
…La puesta en escena y la fotografía son
excepcionales, tanto como el desierto de Guajira y la Magdalena donde se grabó
la cinta y que son base fundamental. La película es capaz de desplazar el cine
de narcos a un territorio donde el trapicheo llega a convivir con los
matrimonios pactados, las dotes y las danzas tradicionales. Uno de los aspectos
que siempre se enmarcan en las películas de Ciro Guerra son los colores vivos y
aquí se vuelve a representar de manera impecable.
La película no dejará indiferente a ningún espectador, tiene mucha violencia, momentos de venganza y nos muestra un modelo de gánster pocas veces visto. Muy recomendable.
La película no dejará indiferente a ningún espectador, tiene mucha violencia, momentos de venganza y nos muestra un modelo de gánster pocas veces visto. Muy recomendable.
…Pájaros de Verano es una película que goza de su riqueza
estética, narrativa y argumental, con esto quiero decir que es un filme que se
nutre de todo para fortalecerse. Tiene una exploración detallada de un
pasado que poco –o nada- se indaga en el cine actualmente, pero también tiene
personalidad para no caer en lo documental enteramente, sabe cocerse a un ritmo
lento, pero con la sustancia suficiente para moverse de un género a otro
sin generar ningún tipo de ruido, es como si Pájaros de Verano supiera hacerte parte de su mundo de una forma silenciosa y
tranquila a pesar de su premisa.
venerdì 28 giugno 2019
giovedì 27 giugno 2019
Demolition - Amare e Vivere - Jean-Marc Vallée
il film è un po' pazzo, tutto nasce da una lettera di reclamo verso l'impresa che gestisce i distributori automatici di bevande e snack in un ospedale dove è ricoverata la moglie.
l'impiegate che legge le lettere e gli risponde arriverà a conoscere Davis (Jake Gyllenhaal) insieme i due si rifaranno una vita, meno ansiosa e arrivista di prima.
Davis taglia tutti i ponti con la vita precedente, in tutti i sensi.
un film dove appare Jake Gyllenhaal è sempre un bel film, almeno.
buona visione - Ismaele
l'impiegate che legge le lettere e gli risponde arriverà a conoscere Davis (Jake Gyllenhaal) insieme i due si rifaranno una vita, meno ansiosa e arrivista di prima.
Davis taglia tutti i ponti con la vita precedente, in tutti i sensi.
un film dove appare Jake Gyllenhaal è sempre un bel film, almeno.
buona visione - Ismaele
…Demolition –
Amare e vivere vuole
essere esattamente questo: la vicenda di un cinico uomo che si scopre incapace
di provare dolore o sentimento alcuno per la perdita, ma che comunque sprofonda
in una forma autodistruttiva di depressione. Jake Gyllenhaal è il lui di una
coppia tutt’altro che perfetta, protagonista di un viaggio di riabilitazione
confezionatogli su misura dal regista.
È una
pellicola che paga la sua frenetica voglia di suscitare emozione, di spingere
il pubblico alla lacrima. Creando un personaggio cinico, insolente e
insensibile al dolore, però, Vallée ottiene fallisce nell’ottenere
quell’empatia necessari da parte del pubblico e il tracciato scritto per il suo
protagonista si rivela essere un percorso troppo didascalico.
Se vuoi
risalire devi prima toccare il fondo e se vuoi conoscere veramente
come sono fatte le cose devi prima smontarle pezzo per pezzo: pare questo il
messaggio che il regista voglia far passare; una demolizione fisica necessaria
per la ricostruzione fisica degli ambienti e psico-fisica del protagonista che
deve riscoprire il bello della vita. Già visto troppe volte.
Demolition è, insomma, un sincero inno
alla vita, un grido alla speranza e alla felicità, uno slogan sicuramente
positivo, lanciatoci però dal Gyllenhaal più antipatico degli ultimi anni.
…Azione dopo azione, il protagonista percorre la
scoperta delle sensazioni. Il dolore si trasforma da godimento fisico a un
movimento introspettivo che permette al personaggio di riconoscersi. Seguire
questa ricerca ruba al pubblico parecchie lacrime, senza mai scadere
nell’emotivo. Un ampio spazio è lasciato all’analisi dell’apatia e
dell’autobugia di cui il protagonista è succube. Per raccontarlo vengono presi
in considerazione tutti i livelli fisico-emotivi dell’essere umano, mettendo in
scena anche quelli più ambigui che spesso la psiche cerca di eludere nella sua
autonarrazione. La denigrazione personale in più ambiti porta David ad
affrontare una battaglia complicata ma profonda che raggiunge picchi di
imbarazzo molto intimi: viene dichiarato un piacevole masochismo messo in
pratica per sentirsi vivi, per credersi “veri”, che non deraglia verso una vera
psicosi, ma che può essere riconosciuto come un piccolo vizio piacevole. Grazie
alla costruzione estremamente umanizzata, il protagonista non diventa mai
vittima di se stesso, non provoca compassione e non permette nessun sentimento
di pena. Il pubblico è portato a riconoscersi attraverso una delicata finezza
narrativa.
Le immagini forti di una
macchina da presa traballante finiscono per creare un quadro profondo in
grado di narrare un ampio ventaglio di realtà. Non sono tanto le parole quanto
l’accostamento di un sapiente montaggio a creare una narrazione efficace.
Ciò che sarebbe potuto diventare un rovello intimista riesce, invece,
ad inglobare una visione d’insieme realistica e profonda della psiche umana.
L’elaborazione di Vallèe si trasforma in un’indagine affascinante di un
piano ben più interessante: la coscienza e l’accettazione del dolore.
È sempre estremamente
difficile inquadrare un'opera di Jean-Marc Vallée. Nulla si manifesta nei modi
in cui ci aspettiamo si manifesti. Lo spostamento delle consuetudini del lutto
si sposta oltre, devia, prende forme opposte, si espande e si trasforma in
relazioni, picconate, assenze, reazioni e non reazioni. Vallée sposta
continuamente il fuoco, spara ovunque tranne che guardando il mirino,
consapevole che razionalizzare un evento secondo i codici dello spettatore è
un'opera da falsario. Ci consegna quindi un film devastato, senza ritmo, non
coerente, plastico, ironico e bastardo, un'opera umana e insensata proprio come
lo è la vita, proprio come può essere un lutto, che è sempre comunque privo di
una definizione, perché se ogni storia di amore è una storia di lutto e ogni
storia di lutto è una storia di amore, ogni storia di lutto è una mancanza di
storia, è un'assenza di definizione.
…Ci
piace perché mette sempre a tema il disagio che ci portiamo un po’ tutti
dentro, quel non sentirsi mai a posto. Davis, interpretato da Gyllenhaal, è uno
che cerca di elaborare il lutto a modo suo: prima reprimendo i sentimenti, poi
cercando qualcuno con cui condividere i passi falsi. Troverà due persone
scombinate peggio di lui che lo aiuteranno a mettersi in piedi.
Film
strano, contraddittorio e senz’altro irrisolto. Meno riuscito dei film
precedenti perché c’è troppa carne al fuoco e un personaggio (quello della
Naomi Watts) lasciato a metà. Ma ad avercene di film che mettono a tema l’ansia
dello stare al mondo, la ricerca della felicità e di un punto fermo.
mercoledì 26 giugno 2019
martedì 25 giugno 2019
Jauja - Lisandro Alonso
siamo nella Patagonia argentina, in una delle tante guerre di conquista, nel periodo dell'accumulazione primaria, che sempre coincide con lo sfruttamento dei lavoratori e/o con lo sterminio delle popolazioni indigene, in mezzo a questi estremi sta la riduzione di popolazioni intere allo stato si schiavitù.
il capitano Dinesen, arrivato a combattere nell'esercito argentino, si è portato dietro la figlia quindicenne, che idea balzana, in un mondo di soldati assatanati di sesso.
si trova a far coesistere il ruolo di padre e quello di soldato e quando la figlia sparisce va a cercarla e fa degli strani incontri nella pampa e nei deserti.
siamo in un mondo magico e strano, ma se segui il cane scoprirai l'arcano.
Lisandro Alonso è sempre bravissimo, non perdere questo strano e piccolo grande film - Ismaele
il capitano Dinesen, arrivato a combattere nell'esercito argentino, si è portato dietro la figlia quindicenne, che idea balzana, in un mondo di soldati assatanati di sesso.
si trova a far coesistere il ruolo di padre e quello di soldato e quando la figlia sparisce va a cercarla e fa degli strani incontri nella pampa e nei deserti.
siamo in un mondo magico e strano, ma se segui il cane scoprirai l'arcano.
Lisandro Alonso è sempre bravissimo, non perdere questo strano e piccolo grande film - Ismaele
…in Jauja il
cinema di Alonso sembra fare un passo in direzione della narrazione. La
struttura del viaggio consente d’altronde una serie di stazioni per questa
“passione” paterna sofferta e irredimibile. Il capitano Dinesen incontrerà
dunque una serie di personaggi che, come in una progressione inesorabile verso
il fantasmatico, diventano via via sempre meno realistici e possibili. Si parte
infatti da un manipolo di soldati intenti a scavare una trincea, segue
l’incontro con una delle vittime di Zuluaga, poi fa la sua comparsa un cane –
animale desiderato dalla figlia del Capitano – poi il soldato che con lei è
fuggito e infine una donna che forse è strega o forse incarna la figlia stessa,
ma in una diversa dimensione temporale.
Splendidamente fotografato in digitale
Jauja è inoltre denso di riferimenti cinematografici che vanno dal cinema di
Jodorovski (Il topo, in particolare)
ad Apocalypse Now (il disertore sanguinario
Zuluaga è una sorta di Colonnello Kurtz), a Sentieri selvaggi (la ragazza da ritrovare)
ad Aguirre furore di Dio di Werner Herzog (per
via del “conquistatore” accompagnato dalla figlia). Ma il suo substrato è tutto
filosofico e prettamente di stampo pre-socratico, Jauja mira infatti a riflettere, come ci
rivelano le scarne sequenze di dialogo che contiene, sul funzionamento
dell’universo – nelle sue singole parti così come nel suo insieme –
sull’essenza dell’uomo (“Sei un uomo tu?” chiede l’anziana donna/figlia al
Capitano), ma anche sulla paternità, sul funzionamento e il perpetuarsi della
vita. Dunque la temporalità del film non può che essere dilatata, rarefatta,
infine ripiegata su sé stessa come in un nastro di Moebius, perché un uomo “non
è tutti gli uomini”, ma può sempre ritornare sulla terra, sotto le sembianze
più varie e differenti, come sospinto da un’eterna risacca di stelle. E se
dunque ad alcuni potrà sembrare che la metafora totalizzante di Jauja richieda troppo tempo e troppa
attenzione, è perché questa è la dura legge che regolamenta l’epifania di tutte
le cose belle.
…En Jauja el
desierto es un monstruo que ilustra no solo una aventura solitaria, sino
también la esencia de una tierra mágica y surrealista. Al principio de la
película, hay una placa explicativa del origen mítico de “Jauja” como un
extraordinario territorio prospero en riquezas y abundancia, pero que era solo
una leyenda porque nunca pudo corroborarse su existencia real. A través de esta
introducción mitológica del título del film, ubicamos una historia en donde un
paraíso terrenal es protagonista por sus propiedades mágicas de felicidad. El
lugar es importante y hay que tenerlo en cuenta porque está instalado de forma
equilibrada para explicar dos temáticas que he insinuado al principio: Fantasía
y soledad.
El lugar vinculado a la fantasía tiene que ver con esa
antigua tradición de la leyenda que marca la génesis de los relatos de la
humanidad. En las sociedades “primitivas” se encontraron estos recursos
narrativos para construir la imaginación de los pueblos que se pasaban las
historias de boca en boca.
“Esas son habladurías del mundo. No se cómo se llegan a
decir cosas tan demenciales”, le dice
un soldado a otro mientras charlan a la luz de una fogata en la montaña. El
rumor y la fascinación por transmitir estos relatos orales que no encontraban
argumento comprobable se refleja en el diseño de un personaje misterioso
llamado el “Coronel Zuluaga” del que se desconoce su paradero y muchos suponen
que desertó del Ejército y ahora es un bandido salvaje vagando por el paisaje
desértico. Este parece ser el conflicto central del film, pero se pierde entre
la trama acomplejada por otra búsqueda más profunda en el mismo desierto.
Esta subtrama que se va tejiendo con el avance del
capitán Gunnar por las llanuras inmensas tiene que ver con una reflexión sobre
la soledad humana. Antes de la expedición por su hija, al principio de la
película se visibiliza un hombre masturbándose, mientras está sumergido en un pozo
de agua del desierto. Un acto solitario en un lugar solitario. Desde allí,
todos los personajes que van apareciendo siguen marcados por la desolación de
la tierra que los rodea. Pero no es solo el desierto, sino las secuelas de una
devastadora guerra social que estaba fragmentando la nación, haciendo más
oscuro al monstruo solitario de la gigantesca llanura. Cada uno de los
soldados, son “hombres de guerra”: Perdidos y marcados por la soledad de un
conflicto bélico genocida, como lo estaba el Coronel Aureliano Buendía en la
reconocida novela de García Márquez…
…Singular película del argentino Lisandro Alonso,
coproducción de casi media docena de países, rodada con formato de pantalla
4:3, donde Viggo Mortensen tiene
la oportunidad de demostrar que domina el danés además del inglés y el español.
Se trata sobre todo de una película de atmósfera, en que se juega al contraste
entre los personajes y sus vestidos del norte y el paisaje patagónico, y en que
se pulsan sentimientos atávicos. Crece en intensidad en el tramo de la
búsqueda, con el hermoso pasaje de la noche estrellada en el monte. El
desenlace es de un completo desconcierto, y más de uno lo calificará, quizá no
sin razón, de tomadura de pelo.
…Gunnar
è presto perso in un deserto borgesiano che racchiude dentro di sè un’infinità
universale labirintica priva di pareti. Come nel libro di sabbia di
Borges anche Jauja perde qualsiasi chiave narrativa verso la fine del film,
restituendoci una finzione cinematografica che lascia piena libertà allo
spettatore di scegliere da quale fotogramma iniziare la propria visione. Molte
scene sembrano infatti come essere già state girate, quasi fossero riprese
interrotte o variazioni di un eterno ritorno. Un cinema quello di Alonso che
impedisce qualsiasi interpretazione chiusa, un film incorniciato (anche nelle
inquadrature che racchiudono le scene dando quel tocco di riflessione
psicologica interiore) da un orizzonte mitico senza tempo. Disperso
infatti nel deserto della Patagonia dopo aver percorso il labirinto della sua
coscienza Gunner incontra una donna, figura piuttosto felliniana-Fellini/sogno,
che da sempre trascorre la sua intera esistenza in una grotta insieme al
suo cane. L’incontro con la sua psiche irrisolta raggiunge il punto più alto
della poetica filosofica di Alonso. La donna infatti altri non è che sua figlia
cresciuta, invecchiata che gli riconsegna la sua amata e perduta bussola e gli
chiede di sua madre. Avrebbe sempre voluto sapere…
…Jauja è
in questo senso una sorta di paradosso estetico che tenta di riportare il
cinema e, in generale la narratività, a un grado zero, a una struttura
discorsiva primitiva che il cineasta desume da modelli come Apichatpong
Weerasethakul, Andrej Tarkovskij, Robert Bresson e Tsai Ming-Liang (si dia
un’occhiata, a tal proposito, alla lista dei film preferiti del regista
argentino pubblicata sul sito ufficiale del British Film Institute: ).
E inoltre,
ponendosi – tra le altre cose – come la storia di un padre alla ricerca della
figlia nel mezzo di una terra dell’oro ostile e pronta ad essere
colonizzata, Jauja sembra vagamente replicare,
differenziandole e adattandole al sopraggiungere delle coeve dinamiche
storiche, le strutture del fordiano Sentieri Selvaggi e
in generale del western di cui il film è indiscussa immagine iconica. Il
percorso lineare, classico, dotato di precisi criteri di separazione sociale e
culturale di Sentieri Selvaggi, si trasforma qui in un groviglio indistricabile
di apparenze, in una successione inesplicabile di forme dell’esistere, di
spazi, di tempi. La frontiera di John Ford, intesa come
divisione e separazione, viene ridefinita da Alonso e si trasforma in luogo
ambiguo di convergenza e attraversamento, in soglia labile dominata dalla
progressiva dispersione del limite più che dal valore escludente del limite
stesso.
Jauja si
configura, in questo senso, come un film che non pretende di offrire
interpretazioni solide e si propone, al contrario, alla stregua di un
affascinante esperimento che testa la possibilità stessa della molteplicità
drammaturgica come modo di essere di un’opera. Un film che si disperde,
annullando le coordinate narrative di riferimento, che confonde, rigettando il
principio stesso della razionalità. Jauja concide con quella
terra incantata e misteriosa che, in fin dei conti, non è altro che il cinema.
domenica 23 giugno 2019
Il Flauto Magico dell'Orchestra di Piazza Vittorio - Mario Tronco, Gianfranco Cabiddu
se non ne potete più delle parole vomitevoli di Salvini e dei suoi complici, se pensate che l'arte sia un milione volte superiore a qualsiasi tweet che vomita odio, se pensate che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, se ancora non sapete che solo a Ellis Island, per tacere del Sudamerica, nei 40 anni fra il 1880 e il 1920, sono sbarcate dalle navi migliaia di persone che insieme si chiamavano, Conte, Di Maio, Salvini e Mattarella, se credete che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge,
sappiate che questo film è per voi.
attori quasi tutti di altri continenti, componenti dell'Orchestra di piazza Vittorio, di quella città che un tempo era caput mundi.
la storia di Mozart è bellissima e anche questa volta non si smentisce, si ride e ci si commuove.
fatevi un regalo, guardatevi questo film (solo in una ventina di sale in tutta Italia, purtroppo) - Ismaele
…Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu raccontano…
sappiate che questo film è per voi.
attori quasi tutti di altri continenti, componenti dell'Orchestra di piazza Vittorio, di quella città che un tempo era caput mundi.
la storia di Mozart è bellissima e anche questa volta non si smentisce, si ride e ci si commuove.
fatevi un regalo, guardatevi questo film (solo in una ventina di sale in tutta Italia, purtroppo) - Ismaele
…Una natura teatrale che il
film non nasconde, anzi cavalca, impiegando gli stessi performer dell'Orchestra
come attori - accanto ad altri professionisti, come Petra Magoni nei panni di
una regina dark lady o Fabrizio Bentivoglio, Sarastro e co-autore del progetto
- giocando con l'unità spaziale - Piazza Vittorio è la location sia del regno
di Sarastro che di quello della Regina della Notte - e mantenendo una messa in
scena costantemente sopra le righe, esagerata, a cavallo tra favola urbana e
musical onirico.
Un ibrido che inevitabilmente si consegna, al cinema, a un pubblico meno
popolare e più di nicchia di quello teatrale, ma che proprio per la sua natura
visionaria e pionieristica offre almeno due spunti che meritano attenzione.
Perché con la sua eccellente partitura musicale, fatta di intelligenti e
spassosi riadattamenti mozartiani in chiave jazz, balcanica, reggae o
brasiliana, intrecci ritmici africani e orientali e musiche originali di
Leandro Piccioni, Il Flauto Magico dell'Orchestra di Piazza Vittorio spezza
(un'altra) lancia in favore di un genere, il musical, che il nostro paese sta
lentamente riscoprendo. E perché grazie all'eterogeneità di volti e corpi dei
suoi performer, provenienti da dieci paesi diversi nel mondo, e alla varietà
linguistica dei testi, in otto lingue, è un film che apre Roma, e il cinema
italiano, al mondo.
Regalando una sensazione incredibile di novità e freschezza, come se si fosse aperta per la prima volta una finestra in una stanza rimasta chiusa troppo a lungo.
Regalando una sensazione incredibile di novità e freschezza, come se si fosse aperta per la prima volta una finestra in una stanza rimasta chiusa troppo a lungo.
Wolfgang
Amadeus Mozart’s The Magic Flute is re-adapted in a feast of
world-music influences by the multi-ethnic Piazza Vittorio Orchestra. Prince
Tamino’s quest to set his love, the beautiful Tamina, free from the charms of
the maleficent wizard Sarastro is sung and performed through sounds coming from
Africa, Asia and South America in a magnificent mix of fascinating imagery and
immortal music.
…Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu raccontano…
“Questo film nasce per essere
una favola musicale, sognata da un’intera piazza,
di una grande città europea di oggi. Piazza Vittorio nel centro di
Roma, con i suoi giardini e palazzi frequentati quotidianamente da
un’umanità variegata che ne fa il centro del quartiere più multietnico della
città è anche il luogo che ha visto nascere l’orchestra omonima. I
suoi musicisti, che recitano nel film hanno trasformato l’opera di Mozart
in una travolgente interpretazione multilingue. Nel
nostro film la Piazza, dopo l’orario di chiusura, dal tramonto fino all’alba
del giorno seguente, diventa il luogo dove tutto può accadere e dove tutto
effettivamente accade, come in una favola“.
“In questi nostri tempi caratterizzati da un fenomeno migratorio
che è quasi un’emergenza, che interessa tutta l’Europa, il messaggio di
integrazione, convivenza e scambio necessario trova nella nostra favola
una sintesi chiara e immediata, che rende evidente il
reciproco arricchimento umano e artistico di cui sono portatrici culture e
tradizioni diverse, che sono capaci, nell’incontro, di integrarsi
attraverso lo scambio sia musicale che umano. Con una compagnia
multietnica di questo genere, confortati da un “punto di
partenza” universale e popolare come la musica di Mozart, abbiamo
intrapreso questo viaggio cinematografico con la certezza che lo splendore
della musica e della poesia veicoli al meglio un messaggio oggi più che
mai necessario e universale”.
sabato 22 giugno 2019
La cara oculta - Andrés Baiz
un nazista, un nascondiglio impenetrabile, un tombeur de femme, un cane, la gelosia, fra le altre cose, mescola tutto con forza ed esce questo film, meglio di come si dice in giro.
qualche colpo di scena rende il film meritevole di essere visto, promesso - Ismaele
qualche colpo di scena rende il film meritevole di essere visto, promesso - Ismaele
La verità nascosta è un film a tratti abbastanza sorprendente. Se la prima parte sembra
preludere alla boiata dell’anno, la seconda metà si riscatta eccome.
Si inizia con lui lasciato da lei, i fumi dell’alcol,
l’immediato rimpiazzo e via così mentre cresce la sensazione di aver buttato il
proprio tempo: dialoghi assurdi, banalità una dietro l’altra e questi rumori
domestici che la nuova ragazza avverte ma che lo spettatore vive con un certo
distacco. Ma abbiate pazienza. Per la cronaca, ma non tanto, la ragazza
precedente dopo averlo lasciato sparisce nel nulla.
…Giocando con i vari punti di vista,
ottenendo un incastro sufficientemente efficace, Baiz riesce a sopperire a una
sceneggiatura difettosa, allungata da uno schema a ripetizione che tenta, non
riuscendoci fino in fondo, di costruire un triangolo amoroso basato sulla
possessività tormentata dell’uomo-trofeo. Sebbene si respiri, per brevi tratti
del film, una sensazione di presenza estranea, di spirito disturbatore, questa
vaga percezione non riesce a piegare la pellicola alle regole di genere ghost; si avvicina molto, ma non vuole prendervi parte
del tutto. Scarsamente intenso e inquietante, La verità nascosta cerca troppa commistione
di generi (horror, sentimentale, drammatico), non facendone proprio nessuno,
confermandosi una pellicola incompiuta e di difficile collocazione
cinematografica. Spremendo a fondo una trama troppo spesso utilizzata e già
vista, il film di Baiz si perde definitivamente in una conclusione sbrigativa,
che lascia decisamente con l’amaro in bocca.
Nonostante tutto, trascinandosi per
novanta minuti, La verità nascosta sfoggia
due protagoniste femminili (Martina Garcia e Clara Lago) che spiccano
all’interno della storia, non tanto per la loro prova recitativa, che si
compone principalmente di sguardi vacui e disperati a favore di camera, quanto
per la loro bellezza. Magra consolazione per Baiz.
…Pochi secondi necessari per riconoscere
in Baiz il frutto di qualche più o meno prestigiosa film academy, dalla quale
si trascina dietro piccoli vezzi stilistici, movimenti di camera manieristici,
tic di quello stile medio internazionale che impregna le tante giovani
produzioni che rinunciano al piacere di raccontare il mondo per mostrare
l'ennesima variante di una storia già frusta. La vulgata vuole che i brutti
film siano privi di quelle densità simbolica, linguistica ed estetica che
filtrano lo sguardo, risultando per tale privazione più espliciti nell'essere loro
malgrado specchio del proprio tempo: ingenuità del luogo comune. Il tempo
di La cara oculta è prigioniero di un bunker
segreto e l'ossigeno scarseggia.
« Inside » est indéniablement un brillant
thriller hispano-colombien, support d'un suspense haletant, dû à une montée en
puissance de la tension parfaitement calculée. Allant crescendo dans
l'oppression, les manifestations étranges dans la maison (coupures de courant,
vibrations dans l'eau du lavabo ou de la douche, eau qui devient bouillante
d'un seul coup...) se doublent d'une présence grandissante de la police, avec
un inspecteur soupçonneux et son acolyte silencieux, cure-dent à la bouche. Le
film navigue ainsi dans sa première partie entre film de fantômes et enquête
policière juste esquissée, mais assez efficace pour nous guider vers diverses
pistes.
La seconde partie du film, long flash-back sur les moments
heureux entre Adrian et sa fiancée, décrit notamment l'installation dans la
maison. Elle ne fait que renforcer les doutes concernant la disparition de la
fiancée, décrivant les soupçons d'adultère que celle-ci développe. Et elle
renforce aussi le sentiment que cette maison, occupée dans le passé par une
famille d'immigrés allemands, cache certainement quelque chose... Une fois le
retournement de situation passé, l'entrée dans une troisième partie se fait
alors avec un changement de style adéquat, sans pour autant relâcher la
pression sur un spectateur malmené.
Le suspense est alors à son comble, même s'il change de
nature. Une lutte s'engage, déployant des trésors de perversité, car il s'agit
dans le fond ici de récupérer ou conserver sa vie... « Inside »,
thriller captivant, montre ainsi la complexité des sentiments amoureux, mais
aussi une certaine logique de la femme impliquée ou jalouse qui peut, selon la
situation, faire beaucoup de dégâts. Et le film nous emmène épuisés vers un
final éblouissant, à vous glacer le sang...
venerdì 21 giugno 2019
La fórmula secreta - Rubén Gámez
scritto da Juan Rulfo, che ha scritto la poesia che dà il titolo al film.
è cinema sperimentale, impossibile vederlo al cinema.
racconta di un popolo colonizzato dal vicino todopoderoso.
immagini che non si dimenticano facilmente.
un film da recuperare - Ismaele
è cinema sperimentale, impossibile vederlo al cinema.
racconta di un popolo colonizzato dal vicino todopoderoso.
immagini che non si dimenticano facilmente.
un film da recuperare - Ismaele
Secret Formula,
Provocative and
surreal Mexican 45 minute movie. Animals are slaughtered graphically or
lassoed, only for the animals to turn into humans, while apathetic lovers make
out in the background. An endless string of fast-food sausages slides through
the city over all industrial and city life, budding child priests fake the crucifixion
then bash older priests off their climbing frame, a dead man is carried on bags
of flour, some poetic existential whining serves as narration, etc. I'm not
sure what it all means but it delivers somewhat interesting provocations
nevertheless.
…Vaya, los
romanos católicos apostólicos no tienen ninguna oportunidad contra la fórmula
secreta aquí expuesta y posiblemente esté ya excomulgada. El vistazo en todo
caso no sería reconfortante y requiere algo de capacidad de asombro. Aunque
algún surrealista estaría feliz de inscribirla a su género, el film de Gámez es
realmente un poema construido con lenguaje cinematográfico y logra con creces
un discurso paradójico: por un lado es un retrato etnográficamente fiel que
tranversa el México capitalino con el provincialismo rural y por el otro es una
manifestación algo tipo de protesta sobre la psique cultural la cual es
atemporal del todo. Dicho de otra manera: el México de principios de los años
sesenta como poema cinematográfico, lo que es mucho más honesto y veraz en su
subjetividad que cualquier documental etnográfico “objetivo”.
Média
metragem experimental que já a partir de sua bravíssima originalidade dos
planos iniciais, filmados na monumental praça da Cidade do México, antecipa o
festival de idiossincrasias visuais, assentando-se principalmente em eixos
próximos da psicanálise e rebatendo forte influência do surrealismo presente
nos primeiros filmes deBuñuel, que encerrava sua carreira mexicana
por esse momento, ao mesmo tempo antecipando elementos de filmografias de igual
apelo experimental, como o cinema marginal brasileiro. Como em Buñuel, elementos que ligam a repressão
sexual e religiosidade assomam em diversos momentos do filme, assim como
perversões dos mais diversos tipos e imagens como a de um boi sendo sacrificado
ou um homem sendo arrastado, após ter sido laçado por um vaqueiro encontram-se
dentre as mais notáveis, por mais que o excesso de experimentações também pague
o seu preço.
La fórmula
secreta (poesia di Juan Rulfo)
I
Ustedes dirán que es pura necedad la mía,
que es un desatino lamentarse de la suerte,
y cuantimás de esta tierra pasmada
donde nos olvidó el destino
La verdad es que cuesta trabajo
aclimatarse al hambre
Y aunque digan que el hambre
repartida entre muchos
toca a menos,
lo único cierto es que aquí
todos
estamos a medio morir
y no tenemos ni siquiera
dónde caernos muertos
Según parece
ya nos viene de a derecho la de malas.
Nada de que hay que echarle nudo ciego
a este asunto.
Nada de eso.
Desde que el mundo es mundo
hemos andado con el ombligo pegado al espinazo
y agarrándonos del viento con las uñas.
Se nos regatea hasta la sombra
y a pesar de todo
así seguimos:
medio aturdidos por el maldecido sol
que nos cunde a diario a despedazos,
siempre con la misma jeringa,
como si quisiera revivir más el rescoldo.
Aunque bien sabemos
que ni ardiendo en brasas
se nos prenderá la suerte.
Pero somos porfiados.
Tal vez esto tenga compostura.
El mundo está inundado de gente como nosotros,
de mucha gente como nosotros.
Y alguien tiene que oírnos,
alguien y algunos más,
aunque les revienten o reboten
nuestros gritos.
No es que seamos alzados,
ni le estamos pidiendo limosnas a la luna.
Ni está en nuestro camino buscar de prisa la covacha
o arrancar pa’l monte
cada que nos cuchilean los perros.
Alguien tendrá que oírnos
Cuando dejemos de gruñir como avispas en
enjambre,
o nos volvamos cola de remolino,
o cuando terminemos por escurrirnos sobre
la tierra
como un relámpago de muertos,
entonces
tal vez
nos llegue a todos
el remedio.
II
Cola de relámpago,
remolino de muertos.
Con el vuelo que llevan,
poco les durará el esfuerzo.
Tal vez acaben deshechos en espuma
o se los trague este aire lleno de cenizas.
Y hasta pueden perderse
yendo a tientas
entre la revuelta obscuridad.
Al fin al cabo ya son puro escombro.
El alma se la han de haber partido a golpes
de tanto potreones a la vida.
Puede que se acalambren entre las hebras
heladas de la noche,
o el miedo los liquide
borrándoles hasta el resuello.
San Mateo amaneció desde ayer
con la cara ensombrecida.
Ruega por nosotros.
Ánimas benditas del purgatorio.
Ruega por nosotros.
Tan alta que está la noche y ni con qué velarlos.
Ruega por nosotros.
Santo Dios, Santo Inmortal.
Ruega por nosotros.
Ya están todos medio pachiches de tanto que el sol
les ha sorbido el jugo.
Ruega por nosotros.
Santo san Antoñito.
Ruega por nosotros.
Atajo de malvados, punta de holgazanes.
Ruega por nosotros.
Sarta de bribones, retahíla de vagos.
Ruega por nosotros.
Cáfila de bandidos.
Ruega por nosotros.
Al menos éstos ya no vivirán calados por el hambre.
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