Lettere
di condannati a morte della Resistenza di Fausto
Fornari è quello che Ferruccio Parri definì “il primo
documentario antifascista”. Tratto dall’omonima raccolta di lettere pubblicata
da Einaudi nel 1952, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, il
cortometraggio di Fornari ricostruisce gli ultimi messaggi lasciati da alcuni
Partigiani condannati a morte tra l’8 settembre 1943 e
il 25 aprile 1945. Messaggi scritti in fretta, spesso su
fogli di fortuna o incisi con il temperino sulle pareti delle celle, che
raccontano i luoghi dove i condannati vissero, lottarono e si sacrificarono.
Un racconto della Resistenza che viaggia da
Vercelli a Savona, da Fiano a Roma, dal carcere di Torino al muro del poligono
di tiro del Martinetto dove vengono eseguite le fucilazioni. “Un documentario
girato sui luoghi dove si svolsero fatti dolorosi ed eroici della recente
storia d’Italia”, recita il cartello che apre il corto. Da lì, le voci dei
condannati prendono vita e iniziano a raccontare le loro dolorose storie, che
da dramma privato si fanno Storia collettiva. Fornari, allievo di Attilio
Bertolucci ed esordiente assoluto, costruì questo lavoro secondo modalità
espressive e narrative (le panoramiche, la soggettiva conclusiva) proprie
del cinema di finzione e quasi estranee, almeno per
l’epoca, al documentario.
Presentato alla Mostra di Venezia, dove il
pubblico lo accolse inizialmente tra i fischi e alla fine della proiezione lo
elogiò tributandogli “l’applauso più lungo della Mostra”, come scrisse la
rivista “Cinema nuovo”, Lettere di condannati a morte della Resistenza venne
realizzato nel 1952, a ben sette anni di distanza dai fatti della
Resistenza. Un silenzio che si spiega con la fobia per l’espansionismo
sovietico che portò alla guerra fredda e con la precisa volontà politica, da
parte dello stesso Pci di Togliatti (che alla Resistenza non aveva
partecipato), di non smorzare l’euforia della pace americana che animava il
Paese, il Sud in particolare.
“In tutt’Italia, con la rinuncia ai processi
di epurazione e di esproprio dei beni accumulati illecitamente, la
classe dirigente era sempre la stessa“, ha raccontato Fornari in
un’intervista con Giampaolo Parmigiani, realizzata in occasione della
proiezione del corto presso il Teatro Europa di Aprilia nel 2002. “La società,
come scrive Parri, ‘rimane, così pigramente ancorata, in tanta sua parte, ai
retaggi del passato’. Negli uffici ministeriali romani preposti al
finanziamento delle opere cinematografiche continuavano a sedere le stesse
persone che dovevano la loro carriera ai ben esternati sentimenti fascisti e
alle loro fasciste amicizie. I cortometraggi non godevano di incassi propri da
parte delle sale in cui venivano proiettati; godevano solo di contributi
statali. Si figuri con che spirito potevano venire esaminati, per l’accesso al
contributo, i cortometraggi antifascisti!”.
La realizzazione di questo progetto fu
particolarmente complicata. Ricevuto il via libera da Pirelli e Malvezzi e poi
da Giulio Einaudi, a Fornari venne “imposto” Cesare Zavattini come
collaboratore alla sceneggiatura: se avesse ricevuto un no da parte sua,
avrebbe dovuto distruggere, per impegno sottoscritto, copia campione e
negativi. Zavattini fu però entusiasta del risultato e a montaggio terminato
accettò di apparire col suo nome, nei titoli, come sceneggiatore.
Il corto fu un successo di critica, pluripremiato
in Italia e all’estero, ma non ebbe mai una distribuzione nel
circuito delle sale dell’epoca. “Il clima politico e morale –
racconta Fornari – era tale, a quei tempi, che nessun distributore se ne volle
occupare, nemmeno il presidente della più importante casa di produzione e
distribuzione di cortometraggi del tempo. Mi pare fosse la Documento Film,
chiedo scusa se ricordo male. Questo signore, guarda un po’, era Medaglia
d’oro, ovviamente vivente, della Resistenza. Molto gentilmente mi liquidò così:
‘Lei ha molto talento; mi faccia cento film su qualsiasi argomento, glieli
compro tutti a scatola chiusa. Ma la Resistenza, no. L’argomento è finito e
nessuno ne vuole sapere più'”.
“La sensazione più forte – ha scritto Gian
Piero Brunetta nel libro Identità italiana e identità europea nel
cinema italiano dal 1945 al miracolo economico – è che l’italiano
nuovo, nato dalla guerra e dalla lotta di Resistenza, non abbia alcun tipo di
storia o identità anagrafica, sia colpito da stati amnesici
profondi da cui riemergerà solo all’inizio degli anni sessanta.
La perdita consapevole della memoria anteriore, che il
cinema a sua volta facilita, accogliendo il patto della rimozione collettiva
accettato e sottoscritto da tutte le forze politiche, impone la costruzione di
un’identità basata quasi solo sul presente e sulla capacità immaginativa, a
corto raggio, dei nuovi mondi possibili”.
Nonostante il successo, Fornari abbandonò il
mondo del cinema per tornare a Parma ad occuparsi dell’azienda di famiglia.
Resta questo cortometraggio tremendamente attuale in un periodo storico, oggi
come allora, in cui la rimozione collettiva è
diventata una sorta di missione sociale, come quelle mitragliatrici nemiche che
sparano all’impazzata all’inizio e alla fine del film.
(scritto da Alessandro Zoppo)
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