l'impiegate che legge le lettere e gli risponde arriverà a conoscere Davis (Jake Gyllenhaal) insieme i due si rifaranno una vita, meno ansiosa e arrivista di prima.
Davis taglia tutti i ponti con la vita precedente, in tutti i sensi.
un film dove appare Jake Gyllenhaal è sempre un bel film, almeno.
buona visione - Ismaele
…Demolition –
Amare e vivere vuole
essere esattamente questo: la vicenda di un cinico uomo che si scopre incapace
di provare dolore o sentimento alcuno per la perdita, ma che comunque sprofonda
in una forma autodistruttiva di depressione. Jake Gyllenhaal è il lui di una
coppia tutt’altro che perfetta, protagonista di un viaggio di riabilitazione
confezionatogli su misura dal regista.
È una
pellicola che paga la sua frenetica voglia di suscitare emozione, di spingere
il pubblico alla lacrima. Creando un personaggio cinico, insolente e
insensibile al dolore, però, Vallée ottiene fallisce nell’ottenere
quell’empatia necessari da parte del pubblico e il tracciato scritto per il suo
protagonista si rivela essere un percorso troppo didascalico.
Se vuoi
risalire devi prima toccare il fondo e se vuoi conoscere veramente
come sono fatte le cose devi prima smontarle pezzo per pezzo: pare questo il
messaggio che il regista voglia far passare; una demolizione fisica necessaria
per la ricostruzione fisica degli ambienti e psico-fisica del protagonista che
deve riscoprire il bello della vita. Già visto troppe volte.
Demolition è, insomma, un sincero inno
alla vita, un grido alla speranza e alla felicità, uno slogan sicuramente
positivo, lanciatoci però dal Gyllenhaal più antipatico degli ultimi anni.
…Azione dopo azione, il protagonista percorre la
scoperta delle sensazioni. Il dolore si trasforma da godimento fisico a un
movimento introspettivo che permette al personaggio di riconoscersi. Seguire
questa ricerca ruba al pubblico parecchie lacrime, senza mai scadere
nell’emotivo. Un ampio spazio è lasciato all’analisi dell’apatia e
dell’autobugia di cui il protagonista è succube. Per raccontarlo vengono presi
in considerazione tutti i livelli fisico-emotivi dell’essere umano, mettendo in
scena anche quelli più ambigui che spesso la psiche cerca di eludere nella sua
autonarrazione. La denigrazione personale in più ambiti porta David ad
affrontare una battaglia complicata ma profonda che raggiunge picchi di
imbarazzo molto intimi: viene dichiarato un piacevole masochismo messo in
pratica per sentirsi vivi, per credersi “veri”, che non deraglia verso una vera
psicosi, ma che può essere riconosciuto come un piccolo vizio piacevole. Grazie
alla costruzione estremamente umanizzata, il protagonista non diventa mai
vittima di se stesso, non provoca compassione e non permette nessun sentimento
di pena. Il pubblico è portato a riconoscersi attraverso una delicata finezza
narrativa.
Le immagini forti di una
macchina da presa traballante finiscono per creare un quadro profondo in
grado di narrare un ampio ventaglio di realtà. Non sono tanto le parole quanto
l’accostamento di un sapiente montaggio a creare una narrazione efficace.
Ciò che sarebbe potuto diventare un rovello intimista riesce, invece,
ad inglobare una visione d’insieme realistica e profonda della psiche umana.
L’elaborazione di Vallèe si trasforma in un’indagine affascinante di un
piano ben più interessante: la coscienza e l’accettazione del dolore.
È sempre estremamente
difficile inquadrare un'opera di Jean-Marc Vallée. Nulla si manifesta nei modi
in cui ci aspettiamo si manifesti. Lo spostamento delle consuetudini del lutto
si sposta oltre, devia, prende forme opposte, si espande e si trasforma in
relazioni, picconate, assenze, reazioni e non reazioni. Vallée sposta
continuamente il fuoco, spara ovunque tranne che guardando il mirino,
consapevole che razionalizzare un evento secondo i codici dello spettatore è
un'opera da falsario. Ci consegna quindi un film devastato, senza ritmo, non
coerente, plastico, ironico e bastardo, un'opera umana e insensata proprio come
lo è la vita, proprio come può essere un lutto, che è sempre comunque privo di
una definizione, perché se ogni storia di amore è una storia di lutto e ogni
storia di lutto è una storia di amore, ogni storia di lutto è una mancanza di
storia, è un'assenza di definizione.
…Ci
piace perché mette sempre a tema il disagio che ci portiamo un po’ tutti
dentro, quel non sentirsi mai a posto. Davis, interpretato da Gyllenhaal, è uno
che cerca di elaborare il lutto a modo suo: prima reprimendo i sentimenti, poi
cercando qualcuno con cui condividere i passi falsi. Troverà due persone
scombinate peggio di lui che lo aiuteranno a mettersi in piedi.
Film
strano, contraddittorio e senz’altro irrisolto. Meno riuscito dei film
precedenti perché c’è troppa carne al fuoco e un personaggio (quello della
Naomi Watts) lasciato a metà. Ma ad avercene di film che mettono a tema l’ansia
dello stare al mondo, la ricerca della felicità e di un punto fermo.
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