domenica 17 giugno 2018

Tito e gli alieni - Paola Randi

come sempre Valerio Mastandrea è una sicurezza, se lui c'è il film merita.
qui interpreta uno strano scienziato che anziche gli alieni cerca di restare in contatto con i morti umani, gli alieni siamo noi, è evidente.
un film normale per la prima parte, poi il film cresce e alla fine ti commuovi.
bravissimi anche i bambini, naturalmente.
è estate, ma qualche cinema ancora lo programma.
buona visione - Ismaele








Nel deserto del Nevada, abbandonato da uomini e alieni, Paola Randi trasloca un professore muto e senza nome, fedele a un amore di cui chiede ragione alle stelle. La risposta è sempre la stessa e si centra sull'impossibilità di dimenticare chi non c'è più. La rielaborazione del lutto esige tempo e lo scienziato di Valerio Mastandrea ha deciso di prenderselo tutto, cronicizzando il dolore fino allo spegnimento del sentimento vitale. Aspettare ogni maledetto giorno un segnale dall'universo dona il senso della durata del lutto, ascoltare ogni notte in laboratorio la stessa traccia registrata sulla segreteria telefonica misura la forza della fissazione mortale. Fermo sulla scomparsa, provato dall'assenza e avido di nutrire la pena, il professore è un sopravvissuto che nel mondo vede solo un pretesto a una nuova variazione sul tema unico e inestinguibile del dolore…


Ne scaturisce un film gradevole, forse un po' lezioso, avvalorato dall'ottima performance di Valerio Mastandrea e di Clemence Poesy, irresistibile nel suo ruolo di organizzatrice di matrimoni spaziali e buffa, coloratissima procacciatrice di cibo in pieno deserto.

Esilarante la soluzione gonfiabile della casa che accoglie i bambini, come pure l'alloggio dalle pareti mobili dello scienziato. Non sempre indovinati i momenti e i vezzi attribuiti ai due fratelli, un po' troppo caricaturali nella loro sin troppo esibita napoletanità.

Ma il coraggio di dirigere un film decisamente fuori dei nostri più scontati canoni, è un valore che va riconosciuto e messo in risalto in capo a questo piccolo ambizioso tenero film.



è un film sul ritrovare se stessi, sul contrasto tra la realtà e l'immaginazione (il credere fermo del piccolo ed esuberante Tito di poter parlare con la foto del papà scomparso), ma soprattutto si sviluppa non con troppa freschezza ma coerenza la narrazione sul ritrovamento del rapporto familiare e sopratutto un film che prova a riflettere sui mezzi per elaborare un lutto, e si concede anche un finale che lascia qualche attimo di commozione.


Il risultato è un film semplice, lineare, capace di far ridere e piangere allo stesso tempo, senza mai scadere nel banale o nel melenso. Una sorta di risposta nostrana a pellicole come Contact, Interstellar, Arrival, che punta su autenticità e freschezza per veicolare il suo messaggio.
Se Valerio Mastandrea è una garanzia, e risulta tenero e credibile nel ruolo di uno stralunato e geniale professore, gli esordienti Luca Esposito e Chiara Stella Riccio sono una piacevole sorpresa, che fa compiere il salto di qualità al film. I due giovani attori non mostrano alcun timore reverenziale, creando con il veterano Mastandrea un’ottima alchimia.

Importante il contributo di Gianfelice Imparato, soprattutto nel rendere toccante e magico il finale, che omaggia chiaramente “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, e porta lo spettatore, anche il più cinico, a credere almeno un pochino in “cose dell’altro mondo”.



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