è la storia di una famiglia, dominata da un padre padrone, buono e cattivo e violento (un grande Pete Postlethwaite).
in quei tempi si cantava, era un aiuto e un sollievo per l'anima, si sorrideva, si piangeva.
la musica è una straordinaria protagonista del film, al pari dei tre figli e della madre.
si va avanti e indietro nel tempo, continuamente, ma non c'è bisogno di spiegare niente.
si sente l'aura del capolavoro (mi ha fatto pensare a The dead, di John Houston, dove la musica era una protagonista).
l'ho visto due volte in due giorni, prima in italiano e poi in inglese con i sottotitoli.
se il film vi lasciasse indifferenti sarebbe un brutto segno.
cercatelo, è un film a cui vorrete bene - Ismaele
ps: proprio in questi giorni, in una cinquantina di sale, proiettano A quiet passion, di Terence Davies, su Emily Dickinson. Come privarsene?
Film autobiografico di Davies, il suo Specchio
tarkovskijano è ambientato nella Liverpool proletaria '40/'50, poesia ermetica
accompagnata da una colonna sonora che rimembra frammenti di memoria
rappresentati con sequenze sconnesse come la nostra memoria le partorisce,
associazioni di idee in media res e altrettanto innavvertitamente recise con
brusche interruzioni.Piccoli eventi quotidiani, nella quale emerge la figura
del padre tiranno dipendente etilico, un magnifico Postlethwaite, momenti di
stasi e di svago alla radio sentiamo suonare le canzoni dell'epoca, la musica è
il rifugio collettivo.
" 'Voci lontane... sempre presenti' è un piccolo grande film
da amare, con folgorazioni visive straordinarie, momenti di intensità e rigore
filmici magistrali (vedi l'uso del colore), pensati e realizzati sull'onda
della commozione ma anche distanziati dallo stile e da un senso comune del
pudore che non permette di inserire l'autore nella casella dei romantici
spudorati. Davies è regista personalissimo, convinto che un uomo li possa valere
tutti, e non ha problemi nel parlare dei suoi problemi, dell'invadenza paterna,
dell'amore assoluto per la madre, della violenza della religione. E' cinema in
stato di grazia, e quel che più importa è un cinema che ciascuno può indossare
e misurare sulla propria coscienza, riuscendo a trovare, attraverso l'eco di
un'emozione privata, un brivido che ci riguarda tutti. Che è poi, diciamolo, il
lasciapassare della poesia." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 23
Novembre 1988) "Le canzoni sono il tramite, le depositarie della memoria
collettiva, l'onda musicale che apre e chiude le cicatrici comuni. Conta anche
l'uso del suono col ricorso frequente all'asincronismo dei rumori, delle voci,
delle musiche. Soltanto nella seconda parte il ricorso alle canzoni diventa un
po' ripetitivo, ma qui emerge la profonda natura del film: il mondo vi è
rappresentato dalla parte delle donne. Perciò ho parlato anche di durezza, con
pudore, senza sobbalzi polemici, con dolce pacatezza il giudizio sull'universo
maschile e la sua volgarità è inesorabile. Andate a vedere questo Davies.
Quando ne uscirete, avrete capito meglio perché i Beatles sono nati e cresciuti
a Liverpool." (Morando Morandini, 'Il Giorno', 18 Novembre 1988) "La
novità e la grandezza del cinema inglese contemporaneo le conosciamo ormai
tutti, Davies, in mezzo, vi aggiunge però nuovi pregi. Con una vitalità
d'autore che non tarderà a farne domani una delle voci più rappresentative
della cultura cinematografica del suo Paese. E, forse, il suo poeta più vivido.
Tra i molti interpreti, che si compongono tutti in una galleria straordinaria
di facce, voglio ricordare almeno Freda Dowie, la madre, con una interiorità e
un'espressività che squarciano lo schermo. Per fortuna, come gli altri, non è
doppiata, per un esperimento con sottotitoli che mi auguro sia imitato sempre
più. Godetevi la qualità di quelle voci." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo',
19 Novembre 1988)
…La nozione di tempo nel film viene ad assumere una
struttura ciclica, dove il padre muore all'inizio e poi torna ad opprimere i
suoi familiari, così come il figlio Tony muore prima del finale in cui si
sposa; in questo modo, Davies ha instaurato una fertile dialettica tra presente
e passato, costruendo un'opera dove talvolta è difficile stabilire i vari piani
temporali delle singole immagini. Le difficoltà intrinseche di questo particolare
tipo di linguaggio audiovisivo sono accentuate da un uso reiterato e insolito
della musica, che include una quarantina di canzoni nella colonna sonora (molte
delle quali cantate "a cappella" dai personaggi), così da tenerla in
contrappunto costante con la storia e da farla diventare a tratti la narrazione
stessa. Alcune immagini tornano spesso come leit-motiv visivo, come la porta di
casa che delimita lo spazio di appartenenza dei personaggi e il loro piccolo
mondo che, pur nello squallore di una routine sempre uguale a se stessa, resta
pur sempre il loro mondo. Davies, inoltre, esige dai suoi attori
un'essenzialità espressiva e una rinuncia alle tentazioni istrioniche che sono
sicuramente memori della lezione bressoniana che, del resto, si può avvertire anche
nel rifiuto del calligrafismo e nel legame "necessario" tra le
singole immagini, che acquistano valore solo nella messa in relazione delle une
con le altre. Le simpatie di Davies vanno soprattutto alle donne, spesso
maltrattate o umiliate dai loro mariti, come Nelly, la madre, che accetta in
silenzio le percosse del marito pur di tenere unita la famiglia. Ne esce un
ritratto preoccupante dell'istituzione matrimoniale saturo di scontri violenti
e traumi domestici a scapito delle donne, presentati come la norma della vita
familiare in Inghilterra negli anni Quaranta e Cinquanta.
…The surprising thing is that all this might sound gloomy and depressing,
but it turns like a night out at the pub when you had a few pints and you can
feel the camaraderie around you and things seem a little better while you're a
wee bit tipsy and taken aback with the moment to worry about other things. It's
that kind of glorious pic, without plot, that captures in emotionally charged
ways these Brit working-class types without patronizing them or taking away
that special magic they have in surviving. By its simple filming techniques,
without artifice, it also evokes comparison to great filmmakers such as Michael
Powell and Yasujiro Ozu…
…Extrêmement écrit, précis et travaillé,
on peut trouver « Distant Voices » quelque peu rigide et mécanique. Si l'on
s'attache aux personnages, si les drames nous bouleversent, le film perd
effectivement en émotion. Mais l'émotion, Davies s'en méfie, aussi cette
construction est une sorte de barrière protectrice, une autre forme de ce refus
systématique du réalisateur à se laisser aller au misérabilisme, à la
complaisance ou à chercher une identification artificiellement poussée du
spectateur. Le film trouve ainsi sa propre voie, à la fois dans la distance au
sujet et dans la proximité avec les personnages. Si l'on s'éloigne parfois un
peu d'eux à cause de la froideur du dispositif, les chants reviennent alors et
emportent le film dans un souffle lyrique. L'émotion qui nous saisit alors
n'est pas feinte et Davies sait nous toucher au plus profond du cœur. Une
petite merveille.
…Nel film si susseguono e
rincorrono temi cari al regista: la lontananza affettiva del padre e al
contempo la sua opprimente presenza gerarchica, la figura materna amorevole ma
sottomessa, gli spazi angusti che ispirano socialità, la rassegnazione
femminile e la burbera prepotenza maschile, la Storia che si insinua nelle
piccole storie quotidiane.
Grande e persistente protagonista è la musica, la canzone, la melodia che avvolge con il suo manto spensierato il nitore onirico delle immagini. Spesso la canzone è diegeticamente inserita in scene di intima socializzazione (feste, pub, ricorrenze) ed esplicitamente cantata dai personaggi sullo schermo, altre volte è extra-diegetica e si presta a profondi contrasti visivo/sonori come quando un atto di brutale violenza domestica è accompagnato e, paradossalmente, reso ancor più insopportabile dalla voce di Ella Fitzgerald che canta Taking a chance on love.
Davies è un soffio di pura poesia malinconica all'interno del panorama cinematografico inglese, un autore in grado di condurci nelle sue memorie in punta di piedi e di farci credere che, in un tempo ormai passato, siamo stati anche noi accanto a lui, nella Liverpool degli anni '40, a berci un rum and pep e ad ascoltare Peter Pears.
Grande e persistente protagonista è la musica, la canzone, la melodia che avvolge con il suo manto spensierato il nitore onirico delle immagini. Spesso la canzone è diegeticamente inserita in scene di intima socializzazione (feste, pub, ricorrenze) ed esplicitamente cantata dai personaggi sullo schermo, altre volte è extra-diegetica e si presta a profondi contrasti visivo/sonori come quando un atto di brutale violenza domestica è accompagnato e, paradossalmente, reso ancor più insopportabile dalla voce di Ella Fitzgerald che canta Taking a chance on love.
Davies è un soffio di pura poesia malinconica all'interno del panorama cinematografico inglese, un autore in grado di condurci nelle sue memorie in punta di piedi e di farci credere che, in un tempo ormai passato, siamo stati anche noi accanto a lui, nella Liverpool degli anni '40, a berci un rum and pep e ad ascoltare Peter Pears.
Titolo italiano Voci
lontane, sempre presenti, si tratta di un
film particolare nel quale la musica gioca un ruolo fondamentale.
È un film particolare perché è
uno dei pochi prodotti cinematografici riusciti, e tuttora citato come esempio,
di storia raccontata per frammenti e associazioni di idee, come un ritorno alla
luce di ricordi rimasti seppelliti nella memoria, un film quindi senza una trama
esplicita, senza dialoghi, senza alcun rispetto della cronologia, e senza alcun
ricorso alle regole consolidate di scrittura cinematografica.
Si può dire che da un certo
punto di vista che è un film in forma di poesia, contrapposto ai film
tradizionali in forma di prosa.
La storia quindi viene
ricostruita dallo spettatore stesso, che integra mentalmente le parti mancanti
e le interconnessioni, esattamente come avviene nei video, solo che nei video
questo avviene per raccontare una storia in tre minuti, in questo notevole film
invece tutta la scrittura cinematografica è costruita intorno a questo metodo.
La storia in sé stessa è
suddivisa in due parti, proprio come il titolo, Distant Voices (Voci lontane),
è il ricordo angosciante del padre etilista e violento, interpretato
magistralmente dall'attore inglese Pete Postlethwaite, dittatore in
famiglia, dove cerca la rivalsa da una vita grigia, il tutto ambientato in una
Liverpool grigia e popolare, prima dell'era Beatles, negli anni '40 e nei primi
anni del decennio successivo, fotografata in modo impressionistico da Patrick
Duval.
L'altra parte del film,
"Still Lives", tradotto in italiano con qualche libertà "sempre
presenti", è incentrato sul voltare pagina della famiglia, dopo la morte
del padre, e tutta la vicenda ruota intorno al matrimonio del figlio e
protagonista semi-autobiografico Tony, momento simbolico di nuovo inizio.
Un nuovo inizio che però il
film ci fa capire essere sempre all'interno degli stessi meccanismi, come se i
protagonisti fossero forzati a ripetere gli errori dei quali hanno subito le
conseguenze, e riprodurre nella loro famiglia, la famiglia di origine.
Per marcare la differenza i
frammenti di ricordi sono separati dallo schermo nero nella prima parte, e
dallo schermo bianco e pieno di luce, nella seconda.
Nei fatti quello che vediamo
di questa vicenda sono frammenti, piccoli eventi quotidiani, gesti consueti,
riunioni di famiglia, insomma quei momenti che per motivi tipici o casuali si
fissano nella memoria di tutti noi, e spesso in questi ricordi vediamo i
protagonisti cantare o sentiamo la radio suonare le canzoni dell'epoca.
Non è un modo di cantare tipo
musical, cioè fuori contesto, è un cantare realistico, coerente con le
situazioni, che nasce per il proprio piacere o in riunioni conviviali, nei pub,
dove in un'era pre-discoteca e pre-karaoke gli avventori facevano in modo
attivo la colonna sonora della serata.
La musica fa quindi da
sottofondo e collante, è il rifugio della famiglia, della madre, delle sorelle
Eileen e Masie, che si ritrovano la sera fuori casa, ed esprimono cantando le
canzoni commerciale dell'epoca, il loro desiderio di astrazione dalla loro vita
di tutti i giorni, una musica quasi terapeutica, una via di fuga dalla realtà.
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