lunedì 18 settembre 2017

Dove cadono le ombre - Valentina Pedicini

Valentina Pedicini aveva girato un documentario in cui intervistava l'unica donna minatore italiana, nella grotta di Nuraxi Figus, in Sardegna (qui la scheda su Imdb).
Dove cadono le ombre è la sua opera prima (non documentaristica),
ispirata a una storia di genocidio da parte della Svizzera, contro gli Jenisch.
la storia raccontata si ispira ai libri di Mariella Mehr, una bambina sopravvissuta all'esperimento di eugenetica, di stampo nazista.
film doloroso, con molti silenzi, sguardi, turbamenti, piccole vendette, smascheramento di una storia poco conosciuta.
bravi gli attori, non è un film perfetto, ma vale più di quanto sembri.
non si può perdere, se uno capita vicino a una delle 5-6 sale italiane dove viene proiettato - Ismaele

ps: siamo cresciuti coi miti della civilissima Svizzera e del faro della civiltà che sarebbero gli Stati Uniti d'America, sappiamo adesso che sono stati una schifezza, non tralasciamo di dirlo tutte le volte che capita (parliamo del Potere, naturalmente, non di ogni singolo cittadino di quei paesi).


QUI il film completo




L’esperienza per lo spettatore di Dove Cadono le Ombre è completa, totalizzante: non termina, non può terminare dopo i titoli di coda del film. Si ha come l’impressione di aver ricevuto un pugno in faccia, di dover portare con sé il dolore di quanto si è appena visto: perché si tratta di un’opera di finzione, ma basata sulla storia di forse 2000 persone. Sarà difficile una volta usciti dal cinema non cliccare su google i temi portanti del film, alla ricerca di una verità che Valentina Pedicini ha sapientemente e coscienziosamente voluto denunciare e che la scrittrice Mariella Mehr, protagonista delle vicende denunciate nel film, documenta nei suoi romanzi; e ancora, non vogliamo rivelare nulla, perché le contrastanti emozioni che la pellicola suscita valgono la pena di essere vissute appieno (ed in questo, il trailer è perfetto nel suo non rivelare niente di più di ciò che lo spettatore dovrebbe conoscere prima della visione).
Ci troviamo sicuramente di fronte ad un prodotto lontanissimo dagli standard commerciali ed in quanto tale (sic!) di alto livello, quasi autoriale grazie alle particolari caratteristiche documentaristiche che la sua regista nasconde (come abbiamo affermato fin dall’inizio, neanche troppo velatamente) all’interno di esso, per forza di cose impossibile da far arrivare a tutti in modo adeguato. Dove Cadono le Ombre è al tempo stesso lento ma assolutamente magnetico, a volte ingenuo ma anche straziante, e potrebbe essere facile per alcuni soffermarsi sui (pochi) difetti – per la maggior parte figli dell’inesperienza – anziché sui suoi macroscopici ma forse più insidiosi pregi.

Sulla suggestione forse della poesia della grande Mariella Mehr, jenisch ella stessa e preziosa, autorevole traccia documentale di un orrore consumato sulla propria pelle (Dove non c’è luogo/si nutre la parola della montagna non rimossa./Disperata frase per frase, la mia Babilonia./Solo la ferita da aculeo tace.), la Pedicini ha realizzato un film di fantasmi, sommesso e onirico, un film che non si limita a fare memoria ma che è fatto di  memoria. Dei suoi meccanismi di riemersione e rimozione che si servono di movimenti sincronici di eventi diacronici, di carezze e cazzotti tra passato e presente, compresenti e sempre confliggenti.
Un muro contro muro dialettico, tradotto nello scontro mentale e fisico tra una sopravvissuta e una sopravvivente, tra la jenisch Anna, e la vecchia carnefice Gertrud. La prima, infermiera in un vecchio istituto per anziani, che una volta era stato l’orfanotrofio dove aveva vissuta da bambina; là dove incuteva terrore la seconda, la dottoressa che ora, invecchiata, ricompare come paziente. I ruoli che si invertono, l’una fa all’altra quello che l’altra le aveva fatto a sua volta e nel mezzo giochetti, meschinità, rivendicazioni, questioni non risolte.
Al netto di una certa impostazione teatrale, le due interpreti, Federica Rosellini ed Elena Ciotta, sono bravissime e l’operazione rivela una grande cura formale e un’algida architettura emotiva, un procede per ripetizioni a bassa intensità, (primi) piani severi e sentimenti strozzati come groppi in gola. La scena della memoria non può che essere la stessa dell’accaduto, il luogo dove i ricordi sono eventi intrappolati negli scantinati dell’anima. Immagini vuote, innocue, finché il lucchetto è chiuso. Riportami la notte, l’occhio del giorno mi strappa la ragione, scriveva la poetessa

In "Dove cadono le ombre" la memoria sepolta viene plasticamente messa in scena con le continue buche scavate nel terreno del parco da parte di Hans che porta ogni sera ad Anna resti di ossa di piccoli animali, nel vano tentativo di scoprire la sepoltura di Franziska. Ecco che allora nella diegesi principale nel tempo presente s'innestano numerosi flash back in cui la giovane regista (anche co-sceneggiatrice) mette in fila una serie di episodi che si raccordano l'un l'altro come singoli anelli di una catena che collega drammaturgicamente il presente con il passato dei personaggi. Il senso di decadenza e di disfacimento, di isolamento fisico e freddezza emotiva, sono aumentati dagli interni spogli ed essenziali, dai gesti misurati di Anna che implode le proprie emozioni. Ma quello che più tormenta la donna alla fine è comprendere quanto sia diventata uguale a Gertrud: più volte abbiamo delle inquadrature in cui le due protagoniste sono allo stesso livello, come ad esempio nella doccia oppure sedute dietro a un tavolo, mentre mangiano una caramella, dove persino i gesti sono compiuti in parallelo. La scoperta della verità è anche una liberazione per Anna che si è murata volontariamente nella villa per espiare una responsabilità tutta sua: quella di essere stata la preferita di Gertrud durante gli anni dell'orfanotrofio. La morte di una donna anziana, la quotidianità della vita degli ospiti al termine dell'esistenza sono metonimiche del dolore di Anna, così come la villa è il luogo simbolico di un intero dramma che ha colpito un popolo. I colori desaturati, le riprese claustrofobiche dei lunghi corridoi nella penombra, la stessa Anna inquadrata più volte nella semioscurità, contribuiscono a rendere visivamente il grumo nero che riempie il personaggio.
Se da un lato, "Dove cadono le ombre", forse, pecca di un eccessivo accademismo teatrale nella recitazione delle due protagoniste (a dire il vero di una certa bravura, Elena Cotta - Gertrud e Federica Rosellini - Anna), dall'altro la meritoria opera di disvelamento storico di un dramma umanitario senza mai cadere nel patetismo ne fanno una pellicola degna di essere vista e rigorosa nella sua messa in scena. "Dove cadono le ombre" lo possiamo considerare un'opera interessante alla stregua di "Corpo celeste" di Alice Rohrwacher, "Vergine giurata" di Laura Bispuri, "Liberami" di Federica di Giacomo e "Nico 1988" di Susanna Nicchiarelli. Valentina Pedicini con il suo film si rivela una regista di grandi qualità che la inseriscono di diritto tra le giovani autrici da seguire e affacciatesi nel panorama cinematografico degli ultimi anni.
Generalmente, quando si confeziona il proprio lavoro di debutto, si cerca di mantenere un linguaggio ruffiano e di andare sul sicuro. Valentina Pedicini, invece, decide intelligentemente di rischiare e propone una forma filmica tanto scarna quanto meticolosa nell’allestimento scenico, nella gestione della spazialità e in una direzione attoriale di stampo prettamente teatrale.
Una fotografia algida e particolarmente curata (firmata da Vladan Radovic, autore anche delle immagini della trilogia di Smetto Quando Voglio e qui forse al suo miglior lavoro) ci restituisce interni spettrali, nei quali la cineasta fa muovere gli spiriti del passato in inquadrature di grande suggestione. I tempi sono dilatati, i movimenti di macchina sobri e minimali; il commento musicale di Paolini e Grosso sorprendentemente (e fin troppo) diradato…

…in Dove cadono le ombre Valentina Pedicini rifiuta preconcetti e soluzioni di comodo, una divisione manichea tra bene e male, perfino in un contesto del genere. Soprattutto nei dialoghi tra Anna e Gertrude, che probabilmente rappresentano i momenti più alti e riusciti dell’intero film, assistiamo al dischiudersi di due personaggi senza abbellimenti, umani e autenticamente complessi, che spesso rendono difficile distinguere il confine che intercorre tra donna e bambina, amore e odio, vittima e carnefice.

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