attori splendidi ti coinvolgono senza che tu possa resistere, insomma un piccolo capolavoro da non perdere (e magari rivedere), stando attenti alle parole - Ismaele
…Ciò
che funziona davvero è l'alchimia di interpretazioni attoriali, tema portante e
sollecitazioni continue mandate allo spettatore, il cui cervello viene fatto
ruotare a 1000 giri fra riflessioni in tema e ricostruzioni soggettive di un
orrore che viene raccontato e quasi mai mostrato. Pontypool non
è un film che fa sentire intelligenti, è semplicemente un film intelligente,
capace di cavarsela con pochi mezzi ma molta attenzione alla sceneggiatura, e
ciò non stupisce dato che l'idea iniziale era quella di fare un film senza
immagini se non la linea di frequenza e la voce dei protagonisti. Idea
coraggiosa quest'ultima che però probabilmente non avrebbe pagato in termini di
incasso; rimane l'afflato al grottesco con il gruppo musicale dei Lawrence and
the Arabians e un finale post titoli di coda dal gusto vagamente tarantiniano.
Eccellente interpretazione del cast, su tutti chiaramente McHattie, in questa
pellicola con il look alla Crocodile Dundee ma con la voce di Mario Biondi.
Meno apprezzabile l'incontenibile tendenza degli sceneggiatori a far entrare in
scena il solito personaggio (in questo caso, come in molti altri, uno
scienziato) che spiega per filo e per segno cosa sta accadendo, rischi e
prevenzione; anche questo però risponde alla necessità di fare un film vedibile
dal più ampio pubblico. Anche con i suoi limiti, Pontypool rimane
un pezzo di cinema horror con le carte in regola per la categoria cult, uno
smacco per ben altre pellicole dello stesso genere che, a fronte di budget
elevatissimi, hanno saputo dire davvero poco. Da vedere e da acquistare, questo
film sulla comunicazione realizzato in un periodo storico di uso ed abuso di
essa.
…McDonald riflette sull’odierna bulimia comunicativa,
sull’abuso verbale, sull’eccesso che vanifica la parola. Arriva a dirci che
comunicare fa male, se continuiamo ad ostinarci a fare della comunicazione una
meccanica compulsione a ripetere espressioni omologate. Ravvisa nel luogo
comune della routine - sociale, sentimentale, culturale - la radice di ogni
microfascismo quotidiano.
«Il termine stesso che designa la comunicazione si è fatto inghiottire, in maniera precipitosa negli ultimi dieci anni, e con il beneplacito superfluo ma imperdonabile di molti presunti intellettuali e artisti, dalla dimensione della strategia aziendale, mediatica e pubblicitaria. Che ci ha restituito e subdolamente imposto, di generazione in generazione, di deformazione in deformazione, un'icona svilita, edulcorata e conciliante del comunicare» (Nobili 2002, pp. 217-218).
Nella melassa strategica dell'eccesso informativo si svende un'idea di comunicazione diabolicamente identificata con un tipo di trasmissione unilaterale. È necessario smascherare le circonvoluzioni retoriche del potere, i “cortocircuiti” della significazione, l’ipocrisia delle parole d’ordine escogitate per conseguire il sostegno di un’opinione pubblica acquiescente. Non cadere vittime di quella che Orwell ha definito in 1984 “neolingua”, cioè quel complesso di contenuti simbolici coerenti, sistematici, e finalizzati a un obiettivo preciso, quello della “fabbricazione” del consenso. In poche parole, non farsi manipolare come un branco di zombie.
Così come accade a Pontypool dove il segno verbale smette la propria funzione relazionale per diventare veicolo di distruzione e cannibalismo. Il virus della rabbia si trasmette attraverso uno degli idiomi più diffusi (l’inglese) e tramite sostantivi inevitabilmente pronunciati, come semplici interlocuzioni o come espressioni di affetto.
La sintomatologia infettiva si manifesta dapprima in una ripetizione ossessiva d’una parola, come se la persona volesse sincerarsi del suo reale significato, quindi il suo discorso diventa incoerente e insensato, così come accade poi al comportamento, che si fa violento e autolesionistico, sino a che questa, infine, si riduce ad uno zombie aggressivo. McDonald si rifà alla lezione romeriana, a quel processo di metaforizzazione del non morto, allegoria dell’alienazione di massa causata da una deformazione mostruosa della società, attraverso il consumismo, il conformismo e soprattutto la deriva incontrollata dei mass media.
La sola possibilità di resistenza sembra essere rappresentata da un libero e rigoroso dispiegamento della creatività, da una lingua insubordinata, capace di uscire dalle maglie degli automatismi comunicativi. Sovvertire gli abituali ordini simbolici per sfuggire alle catene della comunicazione di massa, stravolgere la semantica col fine di dar nuovo valore alle parole per evitare di rimanerne infetti.
da qui«Il termine stesso che designa la comunicazione si è fatto inghiottire, in maniera precipitosa negli ultimi dieci anni, e con il beneplacito superfluo ma imperdonabile di molti presunti intellettuali e artisti, dalla dimensione della strategia aziendale, mediatica e pubblicitaria. Che ci ha restituito e subdolamente imposto, di generazione in generazione, di deformazione in deformazione, un'icona svilita, edulcorata e conciliante del comunicare» (Nobili 2002, pp. 217-218).
Nella melassa strategica dell'eccesso informativo si svende un'idea di comunicazione diabolicamente identificata con un tipo di trasmissione unilaterale. È necessario smascherare le circonvoluzioni retoriche del potere, i “cortocircuiti” della significazione, l’ipocrisia delle parole d’ordine escogitate per conseguire il sostegno di un’opinione pubblica acquiescente. Non cadere vittime di quella che Orwell ha definito in 1984 “neolingua”, cioè quel complesso di contenuti simbolici coerenti, sistematici, e finalizzati a un obiettivo preciso, quello della “fabbricazione” del consenso. In poche parole, non farsi manipolare come un branco di zombie.
Così come accade a Pontypool dove il segno verbale smette la propria funzione relazionale per diventare veicolo di distruzione e cannibalismo. Il virus della rabbia si trasmette attraverso uno degli idiomi più diffusi (l’inglese) e tramite sostantivi inevitabilmente pronunciati, come semplici interlocuzioni o come espressioni di affetto.
La sintomatologia infettiva si manifesta dapprima in una ripetizione ossessiva d’una parola, come se la persona volesse sincerarsi del suo reale significato, quindi il suo discorso diventa incoerente e insensato, così come accade poi al comportamento, che si fa violento e autolesionistico, sino a che questa, infine, si riduce ad uno zombie aggressivo. McDonald si rifà alla lezione romeriana, a quel processo di metaforizzazione del non morto, allegoria dell’alienazione di massa causata da una deformazione mostruosa della società, attraverso il consumismo, il conformismo e soprattutto la deriva incontrollata dei mass media.
La sola possibilità di resistenza sembra essere rappresentata da un libero e rigoroso dispiegamento della creatività, da una lingua insubordinata, capace di uscire dalle maglie degli automatismi comunicativi. Sovvertire gli abituali ordini simbolici per sfuggire alle catene della comunicazione di massa, stravolgere la semantica col fine di dar nuovo valore alle parole per evitare di rimanerne infetti.
Di questo film ricordo solo qualche minuto. Poi mi sono addormentato (non per colpa del film, però). Dopo quel che hai scritto, devo riprovare a vederlo. Assolutamente!!
RispondiEliminaa volte non si entra subito nel film, per qualche motivo, e però qualche volta si recupera, non c'è l'esame vicino:)
EliminaAddirittura piccolo capolavoro, hai capito l'Ismaele... ;)
RispondiEliminaper alcuni versi lo è, se prendiamo il pacchetto completo per me è solo un buon film, ottimo per il genere. Ad avercene
per il capolavoro c'è una dimensione oggettiva e una soggettiva.
Eliminase un film ti prende e piano piano ti porta da lui ci avviciniamo al capolavoro.
per la dimensione oggettiva non sono titolato, mica sono un critico laureato, per fortuna :)