Aurora sta per morire e scopriamo, dalle parole di Ventura, che "ela tihna uma fazenda em Africa", e il riparte, tornando indietro.
come in Chocolat, di Claire Denis, il passato coloniale è un macigno che è lì, francesi, belgi, portoghesi non possono fingere che non ci sia stato, non possono non farne i conti, sia a livello storico che personale.
è terribile il rapporto con gli indigeni, sembrano loro gli ospiti, sono i servi e gli schiavi.
e la vita in colonia, per i bianchi, era strana, un altro spazio tempo.
nel film si parla poco, ma si capisce tutto, certo, i simboli aggiungono molto, ma già a una prima visione è un film che merita, e molto.
provare per credere - Ismaele
…Come
in Chocolat di Claire Denis, la colonia è più uno State
of Mind che un luogo
socialmente e culturalmente connotato. Uno spazio esotico in senso stretto,
“estraneo” e irriducibile; uno sfondo vago e generico in cui gli occidentali
deambulano come spettri, presenze transeunti come caduche sono le passioni che
vivono, le sole, tuttavia, capaci di animarli. Altro che le presunte
stregonerie voodoo della migrante africana Santa: i veri “demoni” sono i
bianchi-morti:
Tra i
volti africani di nero abbronzato, il colore bianco della pelle evoca davvero
qualcosa di simile alla morte. Io stesso, nel 1891, quando dopo aver passato
mesi e mesi assieme a gente di colore, scorsi di nuovo nei pressi della Bénoué
i primi europei, trovai la pelle bianca antinaturale di fronte alla fragrante
pienezza della nera. Possiamo davvero biasimare gli autoctoni perché
considerano l’uomo bianco come una cosa contro natura, una creatura
soprannaturale o demoniaca? (Curt von Morgen, À travers le Cameroun du sud au nord,
citato da uno dei personaggi occidentali di Chocolat).
Il
cinema è l’incubo che abbiamo sempre sognato di vivere. Ed è forse questo il
vero tabù – nome del monte africano che fa da sfondo alla storia d’amore – che
Gomes ha osato cristallizzare, con il pudore e la saggezza di chi ha già
raggiunto la vetta.
“Capolavoro”
e/o “film dell’anno”, tertium non datur.
…Il regista non si è fermato però ad un’esposizione letterale
dei fatti, in Paradiso il Racconto fa rima con Ricordo, e da
qui si diffonde una bruma sottile che si infiltra nei tessuti descrittivi, li
inzuppa rendendoli magici e li emancipa dalla pesantezza dialogica (il mutismo
sporco dal quale affiorano rumori lontani è il corrispettivo della dimensione
mnemonica); costantemente in equilibrio tra tumulti del cuore (consueti sì, di
rara verità altrettanto) e folate oniriche indomabili (la surrealtà della band
in cui suona Ventura; il mostro catturato da Mario; il cuoco-stregone; la presenza
del coccodrillo, recipiente di simboli e di significati) Tabu trova totale sublimazione nell’atto di
rievocare: la reminescenza, che possiede un piacevole sapore markeriano, È il film, cartina tornasole di una
nostalgia che si rende capace di essere vissuta, sentita, e che si fa
accompagnare nel tragitto (verso il nostro occhio) da una cornice visiva
impeccabile, un flusso di immagini decorate da una voglia di ricerca tradotta
in una quantità di dettagli mai pedanti e sempre appaganti...
…En síntesis, un filme excelente, un
experimento que mezcla dos épocas del cine con destreza, un filme doloroso,
triste, romántico, hermoso, una obra maestra imperdible…
…”Sabía que esta película, que se iba a
llamar primero “Aurora” –cuenta el director- y luego Tabú,
iba a tener que abordar esa idea de extinción. Había un personaje que deseaba
morir, pero también se hablaba de una sociedad extinta, la sociedad colonial.
Pero también deseaba dialogar con un cine extinto, el cine clásico, deseaba
hablar sobre el mundo colonial, tanto el real como el creado por el cine. No
quería filmar el África real actual, no tenía el derecho. Lo que deseaba era
trabajar sobre esa mitología del África del tiempo colonial”…
…De la manipulation sonore
à la lecture déchirante de ces lettres d’amour qui deviennent des lettres
d’adieu, dans l’éclairage nouveau qu’apporte ce paradis sur cet autre paradis
perdu, dans sa peinture cruelle et passionnée d’un amour destructeur et dont la
portée va bien au-delà du simple couple à l’écran pour contaminer tout un univers,
le film de Miguel Gomes représente autant une déclaration
d’amour au cinéma (présent aussi bien dans la multiplication de références
explicites ou pas que directement à l’écran, dans une salle) que la
représentation idéale d’une passion prohibée. Et c’est magnifique.
...Não
mais abandonaremos a narração do Sr. Ventura, ou só temporariamente, nos
segmentos “epistolares” do filme, quando a voz da Aurora de Laura Soveral
reaparece para dizer o texto das cartas (é por uma carta que o filme acaba,
depois dela o silêncio, o fim de tudo: Murnau, com certeza, mas Tabu não
exclui, et pour cause, um sombreado de Amor de Perdição, Oliveira e Camilo). E
pela narração de Ventura, como num sonho a preto e branco de super 8, recria-se
uma colónia portuguesa em África, no sopé do fictício Monte Tabu, no princípio
dos anos 60, com os primeiros indícios da agitação independentista em fundo
(paraíso/paraíso perdido: o filme inventará o seu próprio link com a guerra
colonial)…
…Visuellement sublime, TABU tient
de la fascination. Miguel Gomes, qui instruit une structure narrative
singulière, use d’une approche esthétique sensationnelle qui ne peut qu’exciter
l’attention du spectateur. Il fait de et avec son film un poème des impressions.
Chocolat non l'ho visto, merita? :)
RispondiEliminaClaire Denis è davvero brava, e "Chocolat", pur essendo il primo suo film, è già un'opera buonissima.
RispondiEliminaalla tua domanda rispondo che merita davvero, e aggiungo che ti piacerà.
mi dirai
Di lei ho visto solo quel film con Gallo, Cannibal Love mi pare si chiami, non mi era piaciuto per niente al tempo!
RispondiEliminaho visto quattro film di Claire Denis, sono tutti nel blog, e quello che citi tu ha il voto più basso su imdb.
RispondiEliminasecondo me sei stato sfigato, ti sei perso il meglio:)