sceneggiatura che non annoia, il potere economico e la delinquenza entrano in contatto e il sistema economico criminale governa il mondo, senza contrappesi.
l'unico pericolo nasce dall'interno, scontro fra criminali in giacca e cravatta.
bravi attori per una storia convincente.
buona (criminale) visione - Ismaele
…Il contesto nel quale i protagonisti si muovono è
tratteggiato in maniera davvero molto realistica. Qui vale l’esperienza personale di Zampino
e fa la differenza. Il regista dipinge bene un mondo che conosce: le trame, gli
intrighi, le ambizioni, anche fuori tempo massimo, mentre il sistema
investigativo e giudiziario arranca. Traccia una visione d’insieme vivida e
convincente, ma allo stesso tempo lascia intuire più di quanto non esponga…
…Tre quarti di thriller sommati a un quarto di sfumature
drammatiche, il tutto unito a un’interpretazione venata d’istrionismo teatrale
come quella di Massimo Popolizio, incredibilmente convincente e misurato, nel
dipingere il dottor Petrucci, manager rampante della Royal S.p.A.,
multinazionale petrolifera con affari che vanno dall’est Europa a numerosi
distributori sparsi lungo la penisola. È proprio in uno di questi che dovrebbe
insediarsi Michele, Vinicio Marchioni, vecchio amico di famiglia che vuole
lasciarsi alle spalle un passato da carcerato iniziando una nuova attività
assieme alla moglie Rita. Alla fine quando tutto sembra andare per il verso
giusto e la vita di Riccardo, come quella di Michele, sembrano essere dirette
verso il più classico dei lieto fine, sarà un’indagine della finanza a bloccare
la carriera di un manager d’assalto che si scopre privo di scrupoli e per il
quale mai domanda più adatta è stata coniata ovvero: “si nasce cattivi… o lo si può diventare?” A questo
interrogativo cerca di rispondere Michael Zampino, regista italo francese che
al suo secondo lungometraggio, dopo L’erede – The Heir,
cofirmato assieme all’autore Ugo Chiti, non vuole variare genere; se nella
pellicola del 2011 erano i drammi famigliari e di vicinato a farla da padrone,
questa volta è il mondo degli affari e degli scrupoli che ognuno dovrebbe farsi,
che vengono esplorati. Pellicola molto interessante con due prestazioni
magistrali, Popolizio e Marchioni, e una trama che sa passare dal dramma
personale al thriller, nel breve volgere di un’inquadratura.
…Michael
Zampino tratteggia con lucida durezza il lato oscuro di un settore che conosce
molto bene, da ex lavoratore dell’industria petrolifera. In Governance – Il prezzo del potere, si respira infatti
la stessa aria malsana del cinema di Francesco Rosi e
di quei suoi personaggi marci e consapevoli dell’essere un ingranaggio di un
intero sistema corrotto. Su tutti, spicca proprio Popolizio, che dà vita a
un personaggio dai tratti shakespeariani, capace di essere al tempo stesso
crudele manovratore di persone e denaro e apprensivo padre di famiglia, feroce
arrivista e credibile leader aziendale. Un personaggio complesso e ricco di
sfaccettature, sulla scia dei sontuosi ritratti umani di Michael Mann.
A fargli da contraltare è un altrettanto
efficace Marchioni, che rappresenta l’altra faccia della medaglia, quella della
povertà e del precariato che cerca disperatamente di guadagnarsi un posto al
sole, anche a costo di cedere alla tentazione del malaffare e di sfruttare le
proprie altolocate conoscenze.
Grazie a una solida scrittura, Governance – Il prezzo del potere riesce
insinuarsi nei più reconditi anfratti del potere, mostrandoci quanto il nostro
Paese sia avvelenato da un’atavica tendenza alla prevaricazione, e come ogni
mobilitazione popolare, come la sempre più urgente svolta ecosostenibile, debba
scontrarsi con il feroce istinto di sopravvivenza di un intero sistema. La
bassezza umana e morale dei protagonisti emerge soprattutto nei rapporti con le
donne, le uniche persone che sembrano essere immuni all’arroganza e
all’ambizione di Renzo e Michele. In mezzo a una sconfinata oscurità, la luce
che si contrappone è così rappresentata da una figlia ben consapevole degli
affari sporchi del padre (Marial Bajma-Riva),
dalla preparazione e dalla vitalità di Viviane e soprattutto dall’abnegazione e
dall’amore della verità dell’Ispettrice Ricciardi (un’ottima Sonia Barbadoro), l’unica a non arrendersi agli
intrighi e ai complotti.
A essere paradossalmente sacrificata dalla
pregevole caratterizzazione dei personaggi principali e secondari è proprio
l’analisi del settore energetico in cui si muovono i protagonisti, che rimane
sempre una cornice e quasi mai il soggetto. A differenza del recente Cattive
acque di Todd
Haynes, in perfetto equilibrio fra introspezione e cinema d’inchiesta, l’opera di
Zampino si concentra sugli interstizi, sulle contraddizioni, sul silenzioso
squallore che ci circonda, lasciando allo spettatore il compito di unire i
puntini. L’inevitabile conclusione di questo desolante quadro è un finale cupo
e amaro, che nega e al tempo stesso conferma quanto visto in precedenza,
suggerendoci che il male a volte può assumere la forma di un’araba fenice,
pronta a risorgere dalle proprie ceneri e riprendere il cammino da dove l’aveva
interrotto…
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