domenica 9 giugno 2024

Twixt – Francis Ford Coppola

un film del 2011, massacrato dalla critica (4,7 su Imdb).

eppure è un film che non ti aspetti, una specie di horror, che però è anche un'altra cosa.

lo scrittore protagonista vive scrivendo storie inutili, e alla fine dovrà fare i conti con un lutto mai sopito (come pure Francis Ford Coppola).

visto due volte di seguito, fatti prendere per mano da Francis Ford Coppola, un film che merita.

buona (spettrale) visione - Ismaele

 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

Se l'incipit dello scrittore che si trova catturato in un loop senza soluzione di continuità tra realtà ed incubo ricorda abbastanza Il seme della follia di Carpenter, il film poi prosegue in altre direzioni rispolverando tutto l'armamentario dello stile gotico: alberghi abbandonati, botole che nascondono orrori inenarrabili, luci di candela che rischiarano il buio, così come il sangue che colora di rosso scarlatto il grigiore che avvolge la parte onirica del film che si sovrappone a quella vissuta realmente.
Ma forse il vero incubo è quello girato a colori, quello in grigio è un rifugio estremo.
Sono molto più pericolosi i vampiri della vita reale che quelli relegati nelle pagine di un libro e all'interno di leggende a cui non crede ormai più nessuno.
A proposito di recuperi dal passato: Coppola qui recupera un imbolsito Val Kilmer che è efficacissimo nel ruolo dello scrittore alcolizzato e notevole è anche il Bruce Dern caricato a pallettoni che interpreta lo sceriffo.
Infine un tocco di sottile ironia: la moglie petulante che assilla lo scrittore tramite Skype chiedendogli soldi in continuazione è interpretata dalla rediviva Joanne Whalley, un tempo moglie di Val Kilmer.
Psicanalisi della loro crisi di coppia?
Twixt è chiaramente lontano dai capolavori di Coppola ma è un divertissiment che funge da perfetto intrattenimento nella sua medietà.
Tra una parodia twilighitiana ( i supposti vampiri emo accampati in riva la fiume), un uso dimostrativo del 3-D e una citazione burtoniana non è solo un mero esercizio di stile come da più parti bollato.
A suo modo è sperimentale : un ibrido di metacinema e di metaromanzo.

da qui

 

John Baltimore sta vivendo una crisi, tanto sul versante professionale quanto su quello umano;  l’uno condiziona l’altro, e viceversa, costringendolo così alla frustrazione. Si sente involgarito dalla banalità come scrittore, e allo stesso tempo come uomo; vittima di una coazione a ripetere che gli impedisce  di mancare la verità, sia dal punto di vista creativo che esistenziale. Soltanto riuscendo ad andare “oltre lo specchio”, entrando in un mondo di immagini chiare ed essenziali, la vita può tornare ad autenticarsi, e ciò che appare come un problema si schiarirebbe, mostrandosi per quello che realmente è, solamente confusione. Per poter inaugurare una sensibilità diversa è dunque necessaria una dilatazione prospettica, compiere un passaggio in un nuovo regime spazio-temporale.
Dal punto di vista diegetico questo coincide con lo sfondamento della dimensione onirico-allucinatoria: Baltimore, smarrite le traiettorie, si trova ad avanzare per una “selva oscura”; qui a fargli da Virgilio è lo spettro dannato e dolente di Edgar Allan Poe che gli infonde stralci della sua Filosofia della composizione: per Poe, prima di tutto c’è la costruzione dell’effetto. Una costruzione che va intesa sia come individuazione strategica del programma narrativo, sia come atto dialogico fra il narratore e il lettore: una dialogicità implicita e differita, certo, ma ineliminabile, perché nell’azione progettuale ogni mossa e decisione viene presa come se fosse la battuta di un dialogo. Dunque individuare innanzitutto non una forma dell’oggetto ma un suo effetto, ed elaborare quindi la forma che quell’effetto di conseguenza è in grado di produrre. L’oggetto di ogni progetto sta tutto negli effetti che esso sarà in grado di produrre.

È lo stesso Coppola ad applicare il precetto; è in questa chiave che va interpretato l’impiego del 3D. La dilatazione prospettica è risposta alla necessità di un’altra estensione del visibile nella quale sperimentare ciò che determinate situazioni limite gli suggerivano. È messa in atto una risemantizzazione della vista: l’occhio deve non solo elaborare un aumento di dati sensibili, ma anche di sviluppare la capacità di comporre l’eterogeneità dei dati. Ma all’inizio è stordimento, lo stesso che è vissuto da Baltimore. Proprio quando la ricchezza delle immagini si fa più netta, queste appaiono invece più enigmatiche. È vertigine: ogni personaggio appare attraverso l’accenno del proprio gesto, e ogni elemento del paesaggio come sospeso.

Ma l’horror (che Coppola, come suo solito, scuote con fiammeggianti fluorescenze romantico-sentimentali), oltre che a produrre emozioni forti nell’occhio, è materializzazione di incubi. E quello che affligge il protagonista è lo stesso che tormenta il regista: il  non aver fatto nulla per evitare la morte del proprio figlio (le dinamiche causanti la morte della figlia del protagonista sono le stesse che hanno ucciso Gian Carlo, il figlio del regista). Coppola, e Baltimore per lui, deve cercare di scavare nel passato per scacciare tutti i fantasmi che lo abitano; individuare il dolore primario, profondo e personale per riuscire a esorcizzarlo. Ma perché si possa avviare un processo di riparazione occorre che la perdita sia totale, e come tale percepita. Il lavoro del lutto inizia solo quando l’oggetto è perduto e il soggetto ne realizza e accetta le conseguenze. E a Coppola infatti sono occorsi 25 anni…

da qui

 

 

Ne scaturisce un film disomogeneo, di gusto bizzarro e sperimentale, la cui estetica fatta di desaturazioni e di green screen ricorda (fin troppo) quella milleriana di Sin City e The Spirit.
I suoi pregi vanno però altrettanto riconosciuti, a partire dall’atmosfera straniata, surreale, vicina a quella di 
Twin Peaks: la straordinaria voce narrante di Tom Waits, dalle sonorità grezze e quasi rancide, colloca istantaneamente la vicenda nella tipica periferia americana, teatro di orrori nascosti. Ma ad apparire rilevante è soprattutto la componente autobiografica. Al di là delle occasionali autocitazioni (da Rusty il selvaggio Dracula di Bram Stoker), l’intera storia rappresenta un viaggio doloroso che il regista statunitense compie in cerca della propria redenzione personale.
Come il protagonista, vinto dal senso di colpa, anche Coppola deve infatti perdonarsi e superare un lutto ventennale: quello per il figlio Gian Carlo, morto tragicamente nel 1986 durante una gita in barca.

da qui

 

 

Il genio di un autore e' spesso dolorosamente castrato dalla oggettiva impossibilita' di esprimere con completa liberta' le proprie emozioni, le proprie ansie, le proprie aspettative e convinzioni, vittime della mannaia senza scrupoli di produttori irriducibilmente attratti solo dal business. Alla soglia dei settantacinque anni il grande Francis Ford Coppola si considera finalmente un regista per necessita' e non per mestiere, e dal 2007 e' tornato, tra un'annata di vino e l'altra, a dirigere piccoli (ma spesso grandi dal punto di vista artistico) film non facilmente catalogabili o classificabili, figli dell'emozione e della vena creativa che abitano ancora in lui. Twixt, strambo horror emozionante sia visivamente sia dal punto di vista del soggetto, e' il fratello minore, ma solo anagraficamente, dello splendido "Tetro" di un paio di anni fa (mi rifiuto di menzionarlo col bruttissimo e convenzionale titolo italiano), del quale riprende e coltiva con ancor maggiore seduzione le splendide curatissime scenografie, dove anche stavolta il color porpora insanguina uno sfondo stellato in bianco e nero, nell'ambito del sogno piu' seducente e spaventoso che ognuno di noi possa pensare di vivere durante un proprio tormentato sonno ispiratore.
La vicenda singolare e a tratti anche molto buffa di uno scrittore di romanzi horror/gotici di terz'ordine che, convocato a presentare la sua ultima opera in un paesino che non ha nemmeno una libreria (infatti dovra' ricevere i pochi lettori su un banchetto posto tra le corsie di un supermercato/ferramenta), si imbattera' in un caso di omicidio di una ragazza, in uno sceriffo che adora i suoi romanzacci e gli propone di scriverne uno assieme sui tragici fatti che negli anni '50 insanguinarono il borgo a causa di una strage di innocenti, in una setta satanica che bivacca nei pressi di un lago e finisce per prendersi tutte le responsabilita' dell'omicidio, nel fantasma angosciato di una ragazza vittima della strage, nei misteri di un campanile a sette facciate con sette orologi per nulla in sincronia e dall'aspetto sinistramente molto hitchcokiano, si incastra con la seduzione di un sogno ampiamente rivelatore, con il celebre adorato scrittore Edgar Allan Poe che aiuta il protagonista a risolvere il mistero e a trovare l'ispirazione per il libro che questi e' assolutamente obbligato a scrivere. Lambiccatissimo e sensuale, un B-movie spettacolare che sorprende per la comicita' e sensibilita' di situazioni mai viste in un horror: le gesta preparatorie/scaramantiche dell'autore prima di accingersi a iniziare la scrittura, con tanto di montaggio di un pratico tavolino portatile e i tentativi alcolici di far sopraggiungere l'ispirazione, con un incipit metereologico che prevede prima una nebbia fitta, poi l'assoluta assenza di nebbia - esilarante. E ancora il sofferto rimorso del protagonista per la perdita della figlia in un tragico incidente in motoscafo, che riporta drammaticamente alla tragica fine del primogenito di Coppola, morto nelle medesime tragiche circostanze. Per questo motivo dicevo che il cinema e' per Coppola un mezzo per sopravvivere ed esorcizzare certi traumi e fantasmi del passato, per esplicitare un senso di colpa che forse, una volta rappresentato, riesce in qualche modo a fargli trovare pace. 
Attori splendidi che ci piace moltissimo rivedere: Val Kilmer, il cui volto dilatato lo rende un clone, ma piu' simpatico, di John Travolta, Joanne Whalley, sua ex moglie nella vita e anche nel film, concorte affamata di soldi che minaccia di vendere un prezioso libro rarissimo del marito, Bruce Dern naturalmente, grande protagonista di molto buon cinema anni '70 e quell'impronunciabile Alden Ehrenreich che aveva gia' illuminato col suo bel volto da divo lo splendido Tetro, e Elle Fanning, il fantasma che ognuno vorrebbe avere alle proprie spalle, anche a costo di venir vampirizzati. Un'opera piccola ma geniale, imperdibile e degna delle piu' alte vette raggiunte in molte occasioni dal grande maestro italo-americano.

da qui

 

Chi ne parla come un film mediocre, confuso, nonsense o altro non ha capito nulla a mio modesto parere. "Twixt", con uno strepitoso Tom Waits a farvi da voce narrante, è una pellicola ingiustificatamente sottovalutata, massacrata a pié pari da pubblico e critica, e vittima di un oscurantismo globale che ha limitato alla stessa di godere della visione sul grande schermo. Macché: l'ultimo lungometraggio di Coppola è, a distanza di ben dodici anni dalla sua uscita in sala, attualmente inedito in Italia per cui viene vietata, dunque, la libertà di espressione ad una delle pellicole più inebrianti, sensazionali e agghiaccianti degli ultimi vent'anni, con dei punti altissimi della fotografia in bianco e nero da parte di Mihai Malamaire Jr, un ottimo utilizzo delle musiche di Dan Deacon ed Osvaldo Golijov, uno splendido e caratteristico montaggio di Kevin Bailey, Glen Scantlebury e Robert Schafer, ed una messa in scena talmente tanto precisa e curata da strapparsi i capelli. Un horror così, nonostante le volute imperfezioni ed una marginale ingenuità di scrittura in certi punti, ce lo sogniamo.

da qui  

 

 

Nessun commento:

Posta un commento