domenica 30 giugno 2024

Q (Il serpente alato) – Larry Cohen

Quetzalcoatl è una creatura mitica azteca, (ri)appare a New York, e fa le sue vittime.

riesce a capirlo un delinquentello e la polizia, con David Carradine, va sulle sue tracce.

un film sottovalutato, secondo me.

buona (Quetzalcoatl) visione - Ismaele

 

 

“Q” returns to the basic formula, in which a prehistoric creature terrorizes the city. In this case, the creature is a Quetzalcoatl, a mythical Aztec monster with wings and four claws. It apparently has been brought back into existence in connection with some shady human sacrifices at the Museum of Natural History (although this particular subplot is very muddled). It lives in a nest at the top of the Chrysler Building, lays eggs, and terrorizes helpless New Yorkers, who are not sure if this is a real monster or another crazy circulation stunt by Rupert Murdoch. 

Rex Reed was right, though, about the Method performance by Michael Moriarty. In the middle of this exploitation movie, there's Moriarty, rolling his eyes, improvising dialogue, and acting creepy. He's fun to watch, especially in the scene where he names his terms for leading the cops to the lizard. The cast also includes David Carradine, Richard Roundtree, and Candy Clark, good actors all, but you have to be awfully good not to be upstaged by the death throes of a dying Quetzalcoatl. 

Still to be answered: How did one Quetzalcoatl get pregnant?

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qualche aspetto positivo il film ce l' ha ancora : lo spunto è interessante , il ritmo non è malvagio , le inquadrature aeree della metropoli americana sono affascinanti , ci sono alcune coraggiose sequenze splatterose e soprattutto c' è un buon cast principale . Ma più che il poliziotto arguto ed ironico interpretato dal bravo David Carradine , il vero protagonsta è lo sfigato Michael Moriarty , nei panni di un piccolo criminale con il quoziente intellettivo di una medusa ! Nel contorno si riconoscono poi le facce note di Richard Roundtree e di Candy Clark . La pellicola è scritta , diretta e prodotta da Larry Cohen , autore spesso rozzo e trashoso ma abile a tirare fuori film decenti dallo scarso budget a disposizione . Secondo me , nonostante le tante ingenuità, la sufficienza la merita ancora adesso e quindi gli affibbio un 6 ....

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sabato 29 giugno 2024

Hit man - Richard Linklater

il film ha una sceneggiatura che è un crescendo lungo tutto il film, sviluppandosi in direzioni che non sempre ti aspetti (meno male!).

il prof Gary si trasforma in Ron, per arrotondare e per provare a cambiare vita.

il suo compito è quello di evitare omicidi su commissione, arrestando in anticipo il mandante. 

fino a un incontro che cambia la vita (ah l'amour l'amour...), Ron incontra Madison, è intesa a prima vista, in fondo vogliono le stesse cose, anche se non sempre in modo legale.

attori tutti bravissimi, come il regista, d'altronde.

un film che non delude, promesso.

buona (innamorata) visione - Ismaele



 

…Hit Man è un film scritto benissimo, con dialoghi taglienti e cadenzati al secondo, perché basterebbe infilare una battuta al momento sbagliato per far crollare il tutto. E non succede. Ed è un lavoro che riflette sul concetto di identità. Di chi si è veramente, motivo che investe anche le caratteristiche del film stesso, (volutamente) impossibile da inquadrare o classificare. Senza spoilerare nulla, perché sarebbe un delitto in piena regola, visto che questo è proprio il genere di film che non si gusta se si dovesse sapere mezza cosa in anticipo, possiamo limitarci ad arguire insieme che se un individuo, un placido docente universitario, considerato un mezzo sfigato dai suoi stessi studenti, improvvisamente si ritrova per i giochi del caso e della necessità a dover incarnare un killer freddo e spietato con il compito di incastrare i committenti, potrebbe, immagino, subire qualche sconquasso a livello personale, che nella narrazione si traduce nei misunderstanding che da sempre caratterizzano la commedia dai Menecmi di Plauto in avanti (anche se Plauto suppongo non li chiamasse misunderstanding. Forse). Per farvi capire, qua sotto vedete come il professore scende dal furgone che funge da centrale operativa per iniziare la sua carriera di credibile sicario. Ecco, nella distanza che intercorre tra Gary lo sfigato e Ron il superfigo, contemplando nella stessa distanza le conseguenze che si generano, sta tutto il film….

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Commedia degli omicidi, con una sceneggiatura da applausi, il film mette in scena il denominatore comune che esiste tra l'arte dell'esistenza e quella dello spettacolo, per il tramite di un Laurence Olivier del lavoro sotto copertura. Il risultato è un susseguirsi teso e divertente di colpi di scena e di duetti e triangoli eccellenti; una farsa degli equivoci solcata da una vena più scomoda e dark, che scorre ai confini estremi della morale e dell'educazione delle giovani menti.

Un film che appare leggero, ma, di nuovo, è solo un travestimento. Ci vuole un'esecuzione perfetta, infatti, per mascherare con naturalezza un'architettura complessa.

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Tra voice-over d'ordinanza e spezzoni di film cult - viene addirittura citato un cult nipponico per eccellenza come La farfalla sul mirino (1967) - il gioco di Richard Linklater è un divertissement di gran classe, aggiornamento farsesco di una vicenda realmente accaduta, qui traslitterata ad un intrattenimento sì a prova di grande pubblico ma ben più sagace della media. La love-story tra un finto sicario che agisce sotto-copertura per incastrare i mandanti di omicidi che devono ancora avvenire e una donna che intende assassinare il marito non nasce certamente sotto i migliori auspici, ma si evolve su linee inaspettate e sorprendenti, pronta sempre a spiazzare il pubblico. Una commedia romantica venata di action e di tensione, popolata da battute irresistibili e da gag frizzanti, dominata dall'alchimia che lega indissolubilmente i personaggi di Glen Powell e Adria Arjona.

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…Quintessenzialmente indie e gioiosamente inattuale, leggero e mai frivolo, Hit Man scavalca il biopic per svincolare la storia dal dato biografico: come Gary, il film passa dal divertimento della commedia al ritmo dell’action, adotta il côte romantico e attraversa il thriller con il sottofondo noir a ricordarci il contesto, sconfina nell’umorismo meno accomodante e non rinuncia a momenti malinconici. Non si tratta di un gioco intellettuale in cui la struttura rispecchia il personaggio, ma di un film clamoroso, sostenuto da una sceneggiatura magistrale per la perfetta costruzione narrativa e l’irresistibile precisione dei dialoghi (Billy Wilder ne sarebbe stato compiaciuto), scritta da Linklater con Glen Powell.

Attore – anche produttore, uno e trino – già nel giro del regista – sono entrambi texani – dai tempi di un film sottovalutato e magnifico come Tutti vogliono qualcosa!! che qui è francamente memorabile, credibile in ogni travestimento (compreso quello nerd: mica è facile per un sex symbol essere attendibile come sfigatello senza ricorrere a trucchi e magheggi), completamente consapevole del ruolo cucitogli addosso e anche dell’importanza di un film del genere nella sua carriera. È un po’ la prova definitiva del suo star power: cronologicamente è successivo a Top Gun: Maverick, ma per motivi di distribuzione arriva dopo l’imprevisto successo di Tutti tranne te che l’ha reso un reuccio della commedia commerciale capace di rinverdire il parterre hollywoodiano (è un momento decisivo per il settore, vedasi le ascese dei millennials Timothée Chalamet, Zendaya, Jeremy Allen White e Sydney Sweeney). Powell guida un cast intonatissimo, in cui si distinguono l’ammaliante Adria Arjona, la stand-up comedian Retta e Austin Amelio come poliziotto fuori di testa. Nel cinema degli Stati Uniti, Linklater conferma una doppia appartenenza: quella allo stato del Texas e quella allo stato di grazia.

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…Al formidabile duo Linklater-Powell andrebbe aggiunta anche la portoricana Adria Arjona, sensualissima e “pazza” nei panni di Madison. L’intesa tra i due è perfetta, attraversa tutte le sfumature possibili di una relazione a due (l’ironia, il sesso, l’idealizzazione, la bugia, l’omicidio) e raggiunge il culmine nella grandissima scena in cui Gary e Madison sono spiati dalla polizia e devono allestire un dialogo fasullo mentre le informazioni “vere” passano attraverso messaggi scritti sullo smartphone. Hit Man. Killer per caso procede spassoso, seguendo il ritmo e le variazioni di una partitura jazz. Ma in filigrana Linklater riflette sul concetto di identità, immaginazione, desiderio, mandando qua e là stilettate all’endemica violenza della società americana e al fallimento di ogni classificazione sociale e comportamentale. C’è dentro anche una riflessione sull’immaginario pop e cinematografico sulla figura del sicario. “I sicari non esistono, la gente ci crede perché li ha visti nella fiction” racconta il protagonista agli spettatori, dando il via a un continuo rimando di maschere e perversioni tutto consumato in una dimensione di finzione. Ecco. Se c’è un film straordinariamente lucido sulla reinvenzione della morale e sulle trasformazioni emotive, sentimentali e culturali degli esseri umani è questo.

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venerdì 28 giugno 2024

The Informant! – Steven Soderbergh

Matt Demon è un dirigente d'impresa che diventa informatore dell'FBI, il film mostra i rapporti degli agenti FBI con l'informatore, a volte comici, spesso serissimi.

Matt Demon è bravo, come sempre, gli agenti FBI di più.

non è un capolavoro, ma non delude.

buona (insider) visione - Ismaele

 

 

 

…“The Informant!” is fascinating in the way it reveals two levels of events, not always visible to each other or to the audience. A second viewing would be rewarding, knowing what we find out. Matt Damon's performance is deceptively bland. Whitacre comes from a world of true-blue Downstate people, without affectations, surrounded by some of the richest farmland in the world. His determination to wear the wire leads to situations where discovery seems inevitable, but he's seemingly so feckless that suspicion seems misplaced. What he's up to, is in some ways, so very simple. Even if it has the FBI guys banging their heads against the wall.

Mark Whitacre, released a little early after FBI agents called him “an American hero,” is now an executive in a high-tech start-up in California and still married to Ginger. Looking back on his adventure, he recently told his hometown paper, the Decatur Herald and Review, “It's like I was two people. I assume that's why they chose Matt Damon for the movie, because he plays those roles that have such psychological intensity. In the ‘Bourne' movies, he doesn't even know who he is.”

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The Informant! riesce comunque ad essere divertente in più di un momento, con quella sua leggerezza che pare arrivare dalle commedie della Hollywood dei tempi d’oro. Merito dei brillanti dialoghi di Burns ma anche della bella interpretazione di Matt Damon, ingrassato e invecchiato per la parte, che non sembra aver problemi a passare dai ruoli d’azione a quelli comici. Soderbergh, invece, questa volta non sembra aver trovato la giusta chiave registica, ma per sua fortuna (e degli spettatori) anche se il film zoppica un po’ la commedia funziona ugualmente.

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mercoledì 26 giugno 2024

Caduta libera (Free Fall) – Malek Akkad

un'impiegata onesta riesce a scoprire un imbroglio di proporzioni enormi.

e siccome i truffatori sono persone poco gentili, diciamo, un killer va a tapparle la bocca, ma ha fatto male i conti.

buona parte del film, forse a causa del budget, è girato in un ascensore.

buona (claustrofobica) visione, se avete tempo - Ismaele


  

 

 

Soggetto non originale ma film di una certa presa. Evidente propaganda femminista della donna che sa combattere come un uomo e la spunta contro un energumeno assassino di professione. Ridicoli questi aspetti subliminali che inseriscono sistematicamente nei film. Oggi inoltre, a differenza di un tempo, i "cattivi" tendono a cavarsela, se non a prevalere, perché quasi sempre sono quegli stessi criminali del mondo reale finanziario e multinazionale che i film stessi li finanziano e ne decidono i contenuti, subliminali e non. Fatte queste considerazioni, film che desta, soprattutto nella prima parte, qualche interesse, che però resta abbastanza deluso da un finale ambiguo e sfumato poco soddisfacente.

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martedì 25 giugno 2024

Nessuna verità (Body of Lies) – Ridley Scott

Ridley Scott gira un film di spie, doppi e tripli giochi, Leonardo DiCaprio è la spia efficiente in Iraq e in Giordania, sotto il comando, per quanto possibile, del suo superiore della CIA, collegato dagli USA.

il regista difficilmente delude, e per quanto il film non sia indimenticabile, si vede bene, l'avventura di assassini contro assassini.

buona (torturata) visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

 

Grazie al montaggio di Scalia, già autore di Black Hawk Down, il film si muove fra cento locations senza smarrirci e ci fa rimbalzare a buon ritmo nel dedalo di bugie, dove "i tuoi nemici si vestono come i tuoi amici e i tuoi amici come i tuoi nemici". Lo spettacolo è assicurato, rinnovato. Il film non dice, invece, quasi niente di nuovo sul fronte orientale, al punto che l'ambientazione passa in secondo piano, nonostante resti il motore delle ottusità sul campo di gioco. Certe ingenuità del personaggio di Di Caprio (mai dell'attore), certe insistenze sugli abiti ideologici di uno scontro prima di tutto d'interessi, certi passaggi narrativi quasi obbligati minano purtroppo il copione, come se di tutto l'esplosivo impiegato sul set qualche carica fosse rimasta in mano all'autore senza che se ne avvedesse, producendo qualche danno. Collaterale.

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The acting is convincing. DiCaprio makes Ferris almost believable in the midst of absurdities; the screenplay by William Monahan, based on the novel by David Ignatius, portrays him as a man who grows to reject the Iraq war and the role of the CIA in it. Crowe, who gained 50 pounds for his part (always dangerous for a beer drinker), is a remorselessly logical CIA operative. I particularly admired the work of Mark Strong as the suave Jordanian intelligence chief, who likes little cigars, shady nightclubs and pretty women, but is absolutely in command of his job.

The bottom line: "Body of Lies" contains enough you can believe, or almost believe, that you wish so much of it weren't sensationally implausible. No one man can withstand such physical ordeals as Ferris undergoes in this film, and I didn't even mention the attack by a pack of possibly rabid dogs. Increasing numbers of thrillers seem to center on heroes who are masochists surrounded by sadists, and I'm growing weary of the horror! Oh, the horror!

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domenica 23 giugno 2024

El Paraíso - Enrico Maria Artale

in una Roma che non è quella di Sorrentino, in una storia di droga che non è quella di Gomorra, in una Colombia che non è quella di Pablo Escobar, è ambientato il film di Enrico Maria Artale.

è una storia d'amore figlio-madre, dove Julio Cesar (Edoardo Pesce) si fa carico della madre, entrambi sono iperdipendenti, ma non dalla droga.

vivono ancora insieme, di sostengono a vicenda, di mestiere fanno gli spacciatori, il loro rapporto dura oltre la morte (di lei).

Edoardo fa il primo viaggio della sua vita, va in Colombia, per restituire al suo paese le ceneri della madre, che arriva, pare, da un villaggio che si chiama El Paraíso (lo stesso nome della loro barchetta).

e  Julio Cesar parte...

un film con una tristezza di fondo, film d'amore e di disperazione, senza effetti speciali, tranne uno, che scoprirete.

visibile in pochissime sale, una caccia al tesoro, insomma.

buona (paradisiaca) visione - Ismaele


 

 

Julio Cesar (Edoardo Pesce), vive con la madre tossicodipendente (Margarita Rosa de Francisco) nella periferia balneare di Roma. Insieme, i due lavorano per un spacciatore locale, occupandosi di recuperare i muli arrivati dalla Colombia. La relazione tra i due viene travolta dall’arrivo di Ines (Maria del Rosario) che spinge Julio a farsi domande sulla sua relazione con la madre e le sue aspirazioni di vita.

 

El Paraiso ci fa navigare tra le correnti della relazione umana più primitiva, il legame tra mamma e figlio, offrendo una finestra su un mondo dove questo legame diventa tossico: tossico in quanto marcato dall’abuso di sostanze, ma anche tossico nell'incapacità di un figlio a mollare ed emanciparsi dalla madre. 

D’altronde, l’involuzione della relazione con la madre lancia Julio in un percorso di ricerca delle proprie origini, che lo porta a viaggiare e scoprire nuove facette della sua persona, rendendo il personaggio ancora più identificabile per il pubblico.

 

Insomma, un racconto potente di relazioni umani tra madre e figlio, un'intensità leggera che coinvolge ognuno di noi a tratti. Una performance stellare di Edoardo Pesce complimentata da una bella alchimia con Margarita Rosa de Francisco. Il tutto implementato da una cinematografia colorata, visivamente molto piacevole e da una musica trascendente che ci trasporta nell’atmosfera calda dei bar salsa di Cali.

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A conti fatti, per il coraggio e l’intelligenza della proposta, El Paraíso meritava senza dubbio di uscire in sala, certo non a nove (nove) mesi dal passaggio con premi a Venezia 2023. Il premio serve, per la visibilità e per lanciare (o consolidare) una carriera; vanificarne i benefici, non è il massimo. Con il massimo rispetto per le strategie produttive e distributive – perché c’è chi fa il cinema e chi ne scrive e basta e bisogna conoscere la differenza – e con l’augurio che il tour promozionale in sala di regista e cast aiuti il film a trovare il suo pubblico – si dice così – El Paraíso meritava una possibilità diversa. Spetta alle sale smentire la fosca previsione.

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El Paraiso è un film pregno di sentimento sofferto e la musica e il completamento naturale della messa in scena, da potenza e fisicità alle immagini. El Paraiso è il nome di una piccola imbarcazione, che madre e figlio usano per le loro scorribande marine. Un film non solo tragico, ma anche molto intimo e teneramente delicato, un ritmo lento, ma funzionale alla storia. Comincia con un ballo e finisce con un altro ballo in capo al mondo a Cali in Colombia. Questo è un piccolo grande film poetico ed alla fine un caloroso applauso spontaneo della sala sancisce il successo popolare della pellicola, ottimo cinema che magicamente unisce dei perfetti sconosciuti nel giusto tributo al film, ai magnifici interpreti ed alla regia. Interpreti e personaggi Edoardo Pesce: Julio Cesar Margarita Rosa de Francisco: madre di Julio Cesar Maria Del Rosario Barreto Escobar: Ines Gabriel Montesi: Lucio.

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sabato 22 giugno 2024

L’Arte Della Gioia - Valeria Golino

La serie di Valeria Golino, tratta dal libro di Goliarda Sapienza, appare in anteprima, in due parti, al cinema.

Attrici bravissime e convincenti, svetta Tecla Insolia, protagonista della storia, Modesta è sempre al centro delle vicende che la riguardano, amata da tutti.

Pochi siamo andati al cinema, per dirvi di non perdervi la serie, quando apparirà in tv.

Un film (serie tv) che merita moltissimo.

Buona (gioiosa) visione - Ismaele 


ps: Modesta bambina si assomiglia ad Adriana, se vi ricordate L'Arminuta, simpatica e furba.


 

 

l'abilità della regista sta soprattutto nell'indirizzare le performance di un cast di attori eccezionale, potenziando al massimo l'ambiguità di Jasmine Trinca nei panni della badessa Eleonora e la petulanza dittatoriale di una monumentale Valeria Bruni Tedeschi nel personaggio della principessa Brandiforti. Fanno loro corona molti ruoli maschili memorabili (in questa storia che ha le donne al centro), soprattutto il giardiniere del convento (Giovanni Calcagno) e l'irresistibile gabellotto (Guido Caprino). Il migliore è Lollo Franco nel ruolo tragicomico del maggiordomo Antonio. E fra le interpreti femminili sono molto efficaci Alma Noce (Beatrice) e Alessia Debandi (Ilaria). I dialoghi non sono mai frasi ad effetto o gesta eclatanti e la regia non indugia, non sottolinea, sceglie di "buttare via" quelle che in uno sceneggiato tradizionale diventerebbero scene madri.

La Modesta di Golino è una ragazza selvaggia che si muove a quattro zampe e legge Baudelaire, una creatura vorace di conoscenza e di piacere, non vuole Dio ma la vita, ama sapere e sedurre, e fa fiorire chiunque incontra per poi abbandonare ognuno al suo destino, qualora diverga dal proprio. È un personaggio intimamente letterario che rimanda a Jane Eyre come a Barbablù, e che Golino rende accessibile al grande pubblico, senza inutili vezzi intellettuali.

Modesta è un vettore di libertà, Maudit ma mai autodistruttiva, concentrata come una freccia sulla realizzazione di sé a dispetto delle sue circostanze, anzi, facendole fruttare tutte, come in un fuiletton vecchio stile: è Angelica la marchesa degli angeli senza pretese di virtù; è una Giovanna d'Arco che invece di ardere sul rogo brucia tutto quello che si frappone fra lei e il suo futuro luminoso - tanto è il mondo stesso ad essere in fiamme. E sa mantenere anche una misura di carità, in un universo pieno di disabilità fisiche ed emotive che per lei non sono mai una scusa, ma possono essere un'opportunità di emancipazione. Ed è ipermoderna nella concezione dell'amore, quando dice che "si può amare un uomo, una donna, un cavallo".

Se della scrittura di Sapienza non ha l'anarchica sgrammaticatura o l'invenzione linguistica, Golino ne rivendica le ombre che ci vengono dietro e le infinite rifrazioni, scompone e ricompone per immagini ciò che in letteratura resta disarticolato, e si concede piccoli passi nel delirio solo nei riflessi, nelle inquadrature da finestre e finestrini (memorabile quella del giardiniere mentre Modesta si allontana dal convento), dietro a tende avvolgenti.

L'arte della gioia è una fiaba iniziatica dominata da più di una strega, ed è anche il resoconto di un secolo (Modesta nasce il primo giorno del '900) pieno di contraddizioni e di scoperte. Golino, come Modesta, unisce l'utile e il dilettevole, facendo della sua volontà di regista il prodotto del suo desiderio di autrice. E l'ironia della regista-sceneggiatrice, come la risata di Modesta, è il loro gesto di suprema rivendicazione femminile.

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In questo continuo chiaroscuro che determina in maniera lampante anche il percorso del personaggio centrale, ruolo di affascinante ambiguità che Tecla Insolia sa governare con sorprendente equilibrio, si fa preponderante il ricorso ai flashback (alcuni episodi decisivi della sua infanzia, come la violenza subita dal padre, la morte della capra, il primo approccio con l’amichetto Tuzzu, etc., arrivano in altrettanti momenti cruciali della sua seconda vita) e assume sempre più importanza l’insistito ma mai banalizzato riferimento all’ombra che, in più di un’occasione, accompagna l’incedere di Modesta (insieme a quella carrellata evocativa nel campo bordo strada dove, di volta in volta, si aggiungono i morti che la ragazza si lascia dietro di sé), che in quell’incendio iniziale perde la madre e la sorella maggiore, disabile, solamente le prime due di una lunga serie. 

Sicuramente audace nel saper restituire quel tumulto d’emancipazione che animava le pagine del libro, la serie – cosa peraltro mai nascosta dalla Golino anche durante la lavorazione – non vuole farsi trasposizione “fedele” per quello che riguarda l’intera dinamica di fatti e/o situazioni, piuttosto incarnare del romanzo la mutevolezza e lo squilibrio che ne caratterizzava l’indole, così sfumata, irregolare e anche per questo difficilmente collocabile in “un” genere…

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Stupendo: un film dal valore estetico e umano meraviglioso, quella firmato Valeria Golino e Gelormini. Il plauso cresce ancor di più se si pensa che si tratta di un prodotto concepito per la tv-  giustamente, vista l’estensione. Eppure anche al cinema l’impressione è augusta. Ho visto il film al cinema, nelle due puntate lunghe, ma mai noiose, da due ore e mezza l’una.

Come sempre, la Sicilia si conferma regina, italiana e forse mondiale, per l’immaginario estetico che offre: tanto sociale e psicologico, quanto artistico e paesaggistico.

Profondissimo lo scavo psicologico, autentico e sconcertante per quanto la realtà possa essere terribile. Infatti un’opera d’arte non ha bisogno, qui come purtroppo in tanti altri casi, di chissà quale creatività nell’inventare trame, se parla del possibile e reale ruolo del dolore morale.

Il gabelliere amante è il padre che la violentò. Ippolito è la sorella: entrambi, accomunati dalla disabilità, rivelano la splendida sensibilità umana della protagonista Modesta – dimostrata anche dalla rinascita del disabile Ippolito (una volta morta la sua terribile madre) che può vivere normalmente grazie a Modesta, capace di compiere un miracolo umano ed educativo, al netto della terribile e opportunista seduzione operata sul minorato mentale. La nobile è la madre, arrogante. La coazione a ripetere guida la protagonista…

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mercoledì 19 giugno 2024

Distretto 13: le brigate della morte - John Carpenter

in una simpatica giornata di sole accade di tutto.

una piccola stazione di polizia deve chiudere, in un quartiere poco raccomandabile.

il tenente Bishop ha il compito di seguire le operazioni di chiusura, ma una gang compie degli omicidi gratuiti, ma un sopravvissuto si rifugia in cerca d'aiuto in quella stazione di polizia, dove intanto si era fermato un cellulare pieno di condannati a morte, trasferiti da un carcere all'altro.

Napoleone Wilson, il più terribile galeotto, nell'assedio di quella gang troppo numerosa e fuori di testa, è un eroe.

quasi tutto il film è girato dentro lastazione di polizia, in un crescendo di violenza e tensione senza limiti.

chi si annoia è un uomo morto.

buona (mortale) visione - Ismaele


QUI o QUI  il film completo, in italiano

 

 

Si potrebbe parlare, come hanno fatto in molti, dell'influenza dei modelli western oppure delle tantissime citazioni disseminate nel testo (tra tutte: il regista firma il montaggio con lo pseudonimo di John T. Chance, che è il nome del personaggio di John Wayne nel film di Hawks), sebbene si finirebbe col tralasciare l'importanza di un film realmente seminale, che ha segnato la nascita di un mood cinematografico in bilico tra il poliziesco, il carcerario e l'avventuroso con infiltrazioni fantastiche. Una metropoli ai limiti del collasso, l'eroe negativo e già vinto (il condannato a morte Napoleone Wilson è protagonista come e anche più del tenente Bishop), la mancanza di qualsiasi forma di eroismo come la giusta carica di romanticismo perdente (l'intesa tra Wilson e la segretaria Leigh), non a caso, saranno gli ingredienti fondamentali di molti thriller urbani a venire. Con il suo carico di violenza prima iperrealista, l'esecuzione della bambina suscitò le ire della stampa americana, e poi sempre più rarefatta fino a raggiungere l'astrazione, la pellicola denota l'insolita capacità del regista di dare vita a situazioni che, pure al limite con l'allucinazione, riescono a mantenere uno stretto legame con la realtà. E forse sta proprio in quest'aspetto la sua carica più innovativa.

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...Dopo la fantascienza bizzarra e minimalista di DARK STAR, Carpenter cambia completamente registro e si cimenta in quello che molti considerano il suo vero esordio dietro la macchina da presa, nonché il suo capolavoro. Traendo spunto dal classico di Howard Hawks UN DOLLARO D'ONORE (uno dei film preferiti di Carpenter) e non senza scomodare l'horror-cult di Romero LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI, Carpenter gira un violento western metropolitano in cui e' già racchiusa tutta l'essenza del suo cinema: analisi e critica sociale, atmosfere claustofobiche e notturne, la figura dell'anti-eroe, colonna sonora elettronica. Il tutto condito da una spruzzatina di horror. Un vero preludio a quel 1997: FUGA DA NEW YORK che vedrà la luce cinque anni dopo. Bassissimo budget e cast di attori sconosciuti di cui si sentirà parlare molto poco in seguito, sono alcune delle ragioni che spesso DISTRETTO 13 viene inserito nel filone del cinema di exploitation, anche per via della disturbante scena dell'omicidio a sangue freddo della bambina da parte di Frank Doubleday, il Romero di 1997: FUGA DA NEW YORK. Uno script (un gruppo di persone assediate all'interno di una struttura) che diverrà una costante nei film di Carpenter e che ispirerà anche il francese Florent Emilio-Siri per il suo bel NIDO DI VESPE, nonché una gustosa parodia nella serie televisiva dell'ispettore Coliandro. Per qualcuno un film che oggigiorno potrebbe risultare datato. Per me invece e' come certi vini rossi, invecchiando migliora.

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A partire dalle note gravi e coinvolgenti della splendida colonna sonora, lo spettatore è coinvolto in questo magnifico pezzo di cinema che, come già detto ed evidenziato dallo stesso regista, è un grande omaggio a Un dollaro d'onore, uno dei più celebri film western del grande Howard Hawks ed interpretato da John Wayne. L'omaggio è talmente esplicito che Carpenter anzichè indicare se stesso come responsabile del montaggio ha citato il nome di John T. Chance, lo sceriffointerpretato in quel film da Wayne. Del film di Hawks rimangono altrettanti elementi: da evidenziare la sottile ironia che accompagna l'intera vicenda, le schermaglie tra i vari personaggi ed il profondo senso del dovere del protagonista (di fronte all'impiegata che propone di "sacrificare" l'uomo che ha condotto attorno alla caserma la banda di delinquenti, il Tenente Bishop non ha esitazioni circa l'indispensabilità di doversi ergere a paladino della legge senza scendere a compromessi, anche se questo dovesse costare la vita a tutti), il ruolo sempre più preponderante della componente femminile del gruppo, così come la bella Feathers era divenuta parte integrante del gruppo del film western, così Leight si dimostra combattiva ed indipendente. Inoltre è da evidenziare che così come la forza morale di Wayne in Un dollaro d'onore, fa da contr'altare e soprattutto "contagia" le debolezze dovute all'alcol per Dude (il personaggio interpretato da Dean Martin), anche in questo film, la figura di Napoleone viene in un certo senso attratta dal senso del dovere del tenente Bishop.

Oltre a tutte queste similitudini non si può non elogiare uno sviluppo della trama estremamente appassionante ed inquietante: a partire dall'agghiacciante scena dell'omicidio della bambina (ancora oggi un pugno nello stomaco), si passa ad un'ambientazione notturna, senza vie di fuga e di totale isolamento nonostante la grande metropoli sia tutt'intorno. Uno dei film più riusciti di Carpenter.

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martedì 18 giugno 2024

Chi ucciderà Charley Varrick? - Don Siegel

un aviatore acrobata, a corto di soldi, con la moglie e altri due complici, tenta una piccola rapina in una banca di campagna.

ma le cose non vanno per il verso giusto, si apre una spietata caccia ai ladri, la mafia non perdona.

in questa lotta fra ladri e mafiosi noi stiamo con i ladri, questo si sappia, e sopratutto con quel genio triste d'attore che è Walter Matthau.

buona (acrobatica) visione - Ismaele



QUI si può vedere il film completo, in italiano 

 

 

Chi ucciderà Charley Varrick? è infatti il noir perfetto, con sequenze magistrali (la rapina è tra le migliori della storia del cinema, succede di tutto senza dover ricorrere ai ralenti, di cui Siegel non ha mai avuto bisogno per essere epico o lirico), dialoghi pazzeschi (anche il doppiaggio italiano, con le sue libertà, non è male) e personaggi tutti memorabili: il paralitico ricettatore/informatore, la fotografa della mala, lo sceriffo, il mafioso cinese, l’entraîneuse e il direttore di banca istigato al suicidio dalle parole di Vernon in una formidabile scena tra le vacche di un recinto in aperta campagna. Musiche al solito eccezionali di Lalo Schifrin alla quarta collaborazione con Siegel (ce ne sarà una quinta, Telefon, nel 1977).

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Un piccolo classico questo film di Siegel. C'è un po'tutto il suo universo: l'ironia feroce, l'amicizia virile, l'uso della violenza visto come necessario quando non basta il solo cervello, una poco agevole distinzione tra buoni e cattivi(o meglio qui sono tutti cattivi ma qualcuno lo è piu' degli altri).Su tutti si staglia la figura di Charley Varrick alias Walter Matthau una volta tanto svincolato dai ruoli comici che divora letteralmente il film. La rapina iniziale in banca è un capolavoro di precisione il finale in cui Charley gabba tutti(polizia e mafia che cercava i soldi)un capolavoro di perfidia…

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Uno dei migliori film realizzati da Don Siegel, un noir teso e violento che non lascia mai tregua e respiro allo spettatore. La vicenda è un noir a venature thriller, di una cupezza degna di Fritz Lang. In Chi ucciderà Charley Varrick? notiamo, infatti, un'umanità speduta e senza speranza. I cosiddetti 'buoni' sono dei rapinatori che non si sono fatti scrupolo ad uccidere ma, dall'altro, troviamo una società corrotta e dominata dalla malavita in cui pare non possa esserci spazio per la giustizia e per la redenzione; una società in cui le forze dell'ordine sono poco più che comprimari in uno spettacolo in cui a farla da padrone è la mafia.

Matthau, che dà in prestito la sua abituale maschera spiritosa ad un thriller, è strepitoso nell'interpretare la figura di Charley Varrick, un criminale freddo e calcolatore dal cervello finissimo ma che è ancora in grado di provare dei sentimenti, ma spicca anche Joe Don Baker nel ruolo del sicario rozzo, razzista e violento che è l'incarnazione del male assoluto. Siegel dirige il tutto col suo solito straordinario talento, dando alla storia un piglio frenetico e violento.

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Credo si possa dire un film perfetto, che non ha una smagliatura durante tutta la sua durata. Tutto, dalla regia alle interpretazioni, è di alto livello. A conti fatti, poi, è uno dei film più ottimisti di Don Siegel, nonostante il suo pessimismo abbia comunque uno spazio notevole. Il microcosmo della piccola banca di provincia ne è un esempio: trasferimenti di ingenti somme in nero provenienti dalla malavita, complicità politiche, un direttore che, oltre che manutengolo dei criminali, è un inetto e un vigliacco. Il personaggio più

negativo è forse quello del gorilla, una specie di robot senza cuore e senza ombra di umanità. Lo stesso complice del protagonista è anch'egli un esempio di uomo senza scrupoli, dalla pistola facile, e interessato solo al denaro. In ogni caso non ho trovato quel pessimismo nero e quella crudeltà disperata che ho riscontrato in "Contratto per uccidere".
La sceneggiatura parla vagamente di una vita precedente del personaggio di Matthau assieme alla moglie, una vita che appare abbastanza felice e forse fuori dalla criminalità. Non viene chiarito il come siano giunti a mettere in piedi una rapina ad una banca, ma talune indeterminatezze sono pregi in seno a certi film. La prima volta che lo vidi, diversi anni fa, non capii l'episodio finale dell'incontro presso lo sfasciacarrozze, perché è proprio un guizzo di intelligenza e di improvvisazione da parte del protagonista.
Walter Matthau dà forse l'interpretazione migliore della sua carriera: momenti memorabili sono l'addio alla moglie morta, la gomma da masticare messa in bocca alla fine, e la sua espressione di quando la macchina va finalmente in moto (dove c'è persino una punta di umorismo).
Come dicevo, è un film perfetto, ma non ha per me quel fascino e non mi suscita quella profonda partecipazione di altre pellicole. I meriti oggettivi di un'opera, comunque, vanno sempre riconosciuti.

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lunedì 17 giugno 2024

Anna - Marco Amenta

Una storia comune, all'assalto della terra e della vita ci sono i soliti estrattivisti/(nuovi) colonialisti, rubano tutto quello che si può rubare, le leggi spesso le scrivono loro, di sicuro non vengono scritte contro di loro.

Loro sono le mafie e i fondi che investono miliardi di miliardi, con un solo obiettivo, il tasso di profitto, a qualunque costo.

E poi ci sono gli espropriati, soli, abbandonati, che cercano di resistere, a volte finiscono ammazzati, sopratutto a sud degli Usa, da noi ci sono i soldi, e i sicari del Capitale.

Anna è una donna che resiste, con tutte le difficoltà da affrontare, perché donna e perché sola.

La ragnatela che la deve umiliare ed espropriare sta per chiudersi, ma Anna non ci sta, un piccolo avvocato prova ad aiutarla.

il film non è perfetto, come tanti, ma riesce a farsi ricordare e a farci solidarizzare con Anna.

il film è solo in una ventina di sale, se le trovate :(

buona (resistente) visione - Ismaele


ps: 1 - questi mesi in Sardegna c'è l'assalto delle pale eoliche, una storia di rapina e distruzione di suolo e paesaggio. Dietro ci sono le mafie e i fondi che investono miliardi di miliardi, con un solo obiettivo, il tasso di profitto, a qualunque costo.

2 - qualche mese fa As bestas, un grande film spagnolo, raccontava una storia non troppo diversa, sui rapporti in una comunità dopo che intervengono i soliti estrattivisti/(nuovi) colonialisti.


 

 

È un film drammatico dal respiro ampio di utopia, questo Anna, che incanta, conquista e convince, facendosi perdonare picchi di eccessivo pathos (su tutte, la rabbia legittima della protagonista esplode in troppe scene madri, più misura avrebbe giovato). Una storia di resistenza contro il potere, insieme capitalistico e maschilista, che solo una donna è in grado di combattere.

La performance di Rose Aste, scelta dopo numerosi provini, è generosa e la regia è ben attenta a riprenderne ed esaltarne la bellezza della vita che si è scelta, a stretto contatto con la sua terra, il suo mare e i suoi animali. Un contatto simbiotico, ancestrale, che nessuna multinazionale potrebbe mai comprare.

Funziona la scelta di mantenere il dialetto sardo nella prevalenza dei dialoghi, per dare un'ulteriore spessore di autenticità al racconto. Racconto scritto dallo stesso regista, insieme ad Anna Mittone e Niccolò Stazzi, che si fa al contempo denuncia implicita dell'industrializzazione pesante, dell'allodola del turismo di lusso come ricatto occupazionale, del capitalismo spregiudicato che compra l'anima dei luoghi e spesso di chi vi abita da sempre…

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in quella presa di posizione, resa da Amenta nella forme di una battaglia postmoderna degna dei biblici Davide e Golia, intrisa di poesia e dolore nelle sue immagini ruvide, senza filtri, stringenti e camera a mano, non c’è solo il controllo della terra, la dicotomia tradizione-innovazione e la modernità che avanza contro il tempo che si ferma, c’è il difendere i propri ideali, il lottare per ciò per cui si crede al prezzo (caro) di sangue, sudore e urla, lo spingersi fino al limite ultimo umano e possibile e il non lasciare che in nessun modo alcuno, la propria anima possa essere sporcata – corrotta – dall’agire cieco e vile.

Ma soprattutto c’è la storia e con essa il rispetto di vincoli figli di un altro tempo storico, fatti solo di onore, fotografie e strette di mano. Un’opera, Anna, che come solo il grande cinema sa fare, trasla il particolare della propria, piccola, narrazione, all’universalità della vita e del mondo, scaldando il cuore degli spettatori. Una lezione di vita, un monito per tempi altri: un’esperienza cinematografica da non perdere!

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L'intrigue s'inscrit à la croisée des chemins entre une mise en scène néoréaliste à saisir les enjeux sociopolitiques contemporains et la force combative d'une femme seule contre une organisation mondiale néocoloniale délétère, entre le cinéma de Roberto Rossellini et celui de Ken Loach. Si l'intrigue n'a rien de révolutionnaire et l'on devine très vite le dénouement attendu, la singularité du film repose sur la singularité du personnage féminin aussi rude que sauvage pour affirmer une énergie qui repousse l'étiquette de la femme victime. L'actrice Rose Aste dans l'un de ses premiers rôles conséquents dans un film au cinéma est particulièrement convaincante à partager les enjeux de ses luttes sans jamais pour autant tomber dans les facilités psychologiques…

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In Anna, la fascinazione nei confronti della protagonista è totalizzante. Rose Aste è costantemente al centro della scena. L'obiettivo le si incolla addosso e la segue mentre, scatenata e sensuale, balla in discoteca, si apparta con uno sconosciuto o governa le sue capre. Tra grida rabbiose e ostinati silenzi, il ritratto di una donna fuori dai canoni, in lotta per affermare se stessa contro tutto e tutti, ha la meglio sugli altri ingredienti. Di conseguenza, il film è costruito a sua immagine e somiglianza, con una fotografia chiaroscurale e una macchina da presa che si muove costantemente nel tentativo di catturare ogni frammento del suo oggetto del desiderio attraverso lunghi e scarmigliati piani sequenza. L'assenza di colonna sonora extradiegetica ribadisce il tentativo di creare un ritratto in purezza, liberandosi di orpelli e costrutti per arrivare a sbirciare l'anima di Anna. Il tutto anche a costo di sacrificare la sceneggiatura mettendone in luce, a tratti, i limiti.

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sabato 15 giugno 2024

Affliction – Paul Schrader

come dice il titolo è film di "afflitti", infelici, addolorati.

Wade (uno straordinario Nick Nolte) è un padre infelice, un figlio infelice, un lavoratore infelice, come tutti in quel posto infelice.

chi si salva è il fratello Rolfe (Willem Dafoe), che è fuggito in un posto meno tossico.

un film che non fa ridere, un capolavoro da non perdere.

buona (afflitta) visione - Ismaele

 


QUI il film completo, in italiano 


 

 

…Paul Schrader è un demiurgo che non nasconde il proprio risentimento per un'umanità sconfitta e senza cuore. Wade è uomo piccino, sacrificabile, che nelle mani del dio vendicatore può fungere da monito e restituirgli  figli dediti all'alcool, alla droga, alle liti e alla sterile e un po' arcaica osservanza dei dogmi di una religione vuota.

Mascherato dal giallo di un'indagine poliziesca a cui Wade partecipa senza diritto ma con gran passione, il colore di "Affliction" è il bianco di una società che non ha nulla del candore dell'Eden, un bianco macchiato dal fumo acre di un falò purificatore, dal sangue degli omicidi e dal colore della pazzia se quest'ultima ne avesse effettivamente uno.

Paul Schrader, cinquantunenne e combattivo, non ha ancora perdonato i suoi simili e non concede loro alternativa alla perdita, alla solitudine, al rimorso. L'umanità in fondo non se lo merita e la vecchiaia, che attenua il dolore e la rabbia, è ancora abbastanza lontana perché il grande autore conceda, finalmente, ai suoi uomini l'assoluzione dalle colpe.

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Affliction è il capolavoro di Paul Schrader. Uno dei film più belli e importanti non solo nella carriera di questo grande autore, ma anche nell’intero ambito cinematografico americano degli anni Novanta. Schrader adatta il romanzo “Tempesta” di Russell Banks, e caratterizza alla perfezione l’ennesimo personaggio maschile della sua filmografia. Wade Whitehouse (Nolte) è lo sceriffo di una piccola comunità, divorziato e con una figlia piccola che non lo ama. Disilluso, stanco e tormentato da un padre (Coburn) violento e alcolizzato che continua a vessarlo come faceva quando era piccolo. Quando un sindacalista rimane accidentalmente ucciso durante una battuta di caccia, Wade, su suggerimento del fratello Rolfe (Dafoe, narratore della storia) comincia a credere che non si tratti di un incidente ma di un omicidio, ma le cose andranno male. Affliction è quasi una tragedia greca con elementi da thriller, un film dove gli eventi si susseguono implacabili verso una spirale di autodistruzione che appare inevitabile. Il bianco candido della neve del New Hampshire, sempre costante, fa da contraltare ad una storia cupa e senza speranza. Tra tutti i personaggi di Schrader, Wade è il più tragico di tutti. Perché a differenza degli altri, per lui non ci sarà redenzione, non ci sarà salvezza. L’interpretazione di Nick Nolte è monumentale, ai limiti del sovrumano, in un ruolo di dolente sofferenza. Gli fa da spalla un altrettanto strepitoso James Coburn (giustamente premiato con l’Oscar) nella parte del vecchio e patriarcale genitore. Grandissimo film, senza se e senza ma.

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…En Días de Furia el suceso potencialmente criminal termina en un segundo plano ante el desarrollo de personajes y sobre todo la relación del protagonista con su padre alcohólico y tiránico, Glen (James Coburn), una persona con nula sensibilidad afectiva que golpeaba a sus hijos y su esposa, Sally (Joanna Noyes), a la cual Wade encuentra muerta de hipotermia ya que el marido no hizo reparar la caldera del hogar de este matrimonio de ancianos. Si en pantalla la crueldad se nos aparece como una enfermedad del vínculo cercano pero distante, siempre proclive a sabotear los pocos chispazos de felicidad, la familiaridad bucólica toma la forma de un sinónimo de abusos, arbitrariedades, impunidad, claustrofobia, vigilancia, sadismo, codicia, desconfianza, arcanos, compulsiones y una más que evidente locura que suele barrerse debajo de la alfombra y en otras ocasiones se exhibe a la vista de todos sin que haya mayores consecuencias al respecto, naturalización grotesca mediante. Utilizando el blanco y negro para las especulaciones detectivescas del oficial de policía truncado, el video granulado símil Super-8 para los flashbacks en torno a la niñez pesadillesca de los hermanos Whitehouse y el color tradicional para la pesquisa en el presente y el drama de la convivencia de Wade consigo mismo, por un lado, y con Margie y Glen, por el otro lado, Schrader obtiene actuaciones magníficas de Nolte y Coburn, dos bestias sagradas del cine norteamericano, y juega a sus anchas con dos de sus latiguillos temáticos preferidos, esa automutilación representada en el calvario de la muela, pieza dental que el esbirro de la ley termina sacándose con una pinza, y el deseo irrevocable en pos de reconstruir su identidad mancillada desde la parentela, por ello lucha por obtener la custodia de su hija y le propone casamiento a Fogg en plan de darle una “segunda oportunidad” al amor bajo un régimen de coexistencia. La propuesta, ubicada entre el neo film noir y la tragedia griega, es una de las más amargas del cineasta porque priva de refugio a nuestro adalid de las causas perdidas…

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venerdì 14 giugno 2024

Dragged Across Concrete - Poliziotti al limite - S. Craig Zahler

una rapina doppia, e mille altre cose.

un film ricco di dettagli non trascurati, con ottimi attori, e un grande regista, gira pochi film, e tutti memorabili.

uno di quei film che se non lo vedi non sai cosa perdi, un gioiellino da non trascurare, con una sceneggiatura perfetta.

buona, anzi ottima, visione - Ismaele 

 

 

 

Quasi perfetto, questo film. Il tempo è volato nel gustare l'atmosfera creata dal regista. Poca la musica, anche quella ottima, ma sono le scene ferme ad emozionare di più. Le battute tra i due scafati poliziotti, gli appostamenti, il toast sgranocchiato nel silenzio dell'abitacolo , le magnifiche pause che ci/li fanno pensare. I riferimenti alla società di oggi sono semplicemente obiettivi, non c'entrano i razzismi, i fascismi. Una rapina.  A che cosa servono quei soldi? A curare mia moglie. A cambiare casa e scappare da quel rione di merda. A conquistare la donna che amo. A giocare con la Playstation. Magari in un loft superlusso. 

Una madre. Perchè tornare a lavorare dopo i tre mesi di congedo per maternità? Non voglio, non voglio andarci. Spostare i soldi dei ricchi  da una parte all'altra del mondo. Che mi frega? Voglio stare con il mio bambino. Ma vai, dice il marito, tu guadagni più di me. Vai a lavorare, cara.

E ci va, in quella banca. Accolta dai colleghi stronzi, che bello, ci sei mancata. 

Stringe con la mano,  nella tasca della giacca, la scarpina di lana del suo cucciolo, quella povera madre confusa,  quella scarpina che ha tolto mezz'ora prima da quel tenero piedino rosa, morbido, liscio, cicciottello,  che profuma di latte e amore, di futuro eterno, di fede.

Ci va, in banca.  Poteva starsene a casa. E mandare a fanculo il suo uomo.

Amo questo regista per questo filmone e lo devo seguire a tutti i costi. La scelta di Gibson e Vaughn è stata vincente.

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Dragged Across Concrete si muove disinvoltamente fra generi e sottogeneri, spaziando dal buddy cop movie al più classico crime, per poi passare al caper movie prima di sfociare nell’ultimo cruento atto, che vede degenerare nel modo più brutale possibile tutte le vicende personali introdotte in precedenza. Fra fiumi di sangue, viscere in bella vista, arti mozzati e crani spappolati c’è tutto il necessario per fare fuggire a gambe levate gli spettatori più impressionabili, ma Zahler riesce a nel difficile compito di conferire costantemente al film un tocco sorprendentemente umano, sia nel rapporto fra i due poliziotti sia in quello nato strada facendo fra lo stesso Ridgeman e il personaggio dell’ottimo Tory Kittles, basato sulla necessità di cooperare e al tempo stesso sulla reciproca sfiducia.

In un crescendo di emozioni e di svolte inatteseDragged Across Concrete si congeda con il più nichilista dei possibili finali, che completa perfettamente il tema portato avanti da Zahler per tutto il film, ovvero la lotta per la vita di un gruppo di predatori a caccia dello stesso boccone fatto di lingotti d’oro, costellata da pessime decisioni, tragiche fatalità e la totale assenza di etica e giustizia.

La cupa e avvolgente fotografia di Benji Bakshi e la colonna sonora curata prevalentemente dallo stesso Zahler, che a differenza delle precedenti pellicole lascia che la musica faccia da accompagnamento emotivo al racconto, donano profondità e intensità al film, facendo di Dragged Across Concrete un instant cult per stomaci forti da recuperare al più presto, nella speranza di un’accettabile distribuzione nelle sale italiane. La conferma del talento visivo e narrativo di un cineasta poliedrico e con una propria personale e inconfondibile impronta, destinato a emozionarci e sconvolgerci ancora per molti anni a venire.

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…Una sfida che S. Craig Zahler gioca in casa. Infatti, seguendo il motto secondo il quale squadra che vince non si cambia, conferma il cast di fedelissimi della pellicola precedente (Vince Vaughn presente come coprotagonista, Jennifer Carpenter in un ruolo da comprimaria, Udo Kier e Don Johnson in cammei), allargandosi mediante la collocazione di una ciliegina sulla torta, ovvero Mel Gibson in versione tutto d’un pezzo, nuovamente poliziotto come ai (bei) tempi di Arma letale, con la differenza tra i ruoli che risulta direttamente proporzionale al punto della sua carriera in cui sono capitati.

Un gruppo affiatato, che S. Craig Zahler gestisce al pari della pellicola stessa - tra regia, sceneggiatura e anche la colonna sonora di stampo jazz - continuando a stupire. Una volta di più, dimostra la sua ecletticità, la predisposizione per girare e fondere materiale diverso - questa volta tra noir, poliziesco e heist movie, senza tralasciare altre contaminazioni – attuando anche dei depistaggi di gran classe, così come poi lo è la struttura circolare, crudele e onesta per come suddivide i partecipanti tra vincitori e vinti.

Coriaceo e tosto, letteralmente trascinato sul cemento.

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…A Zahler piace di gran lunga stupire. Dragged Across Concrete è un’opera a tutto tondo, che difficilmente si riesce a catalogare in un genere predefinito. Chi si aspetta lo splatter, ad esempio, rimarrà deluso. Lo stesso valga per chi pensa a un film d’azione, a un heist movie in piena regola, a una commedia grottesca o a un dramma a sfondo sociale. Il film è tutto ciò dal momento che attinge a piene mani da modelli eccellenti: gli echi di Il principe della cittàNashvilleQuel pomeriggio di un giorno da caniPiombo roventeHana BiTaxi DriverIl mucchio selvaggio e persino Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante si sentono frame dopo frame. Sequenza dopo sequenza, quello del regista appare come un continuo gioco di rimandi e citazioni che trasforma il suo lavoro minuto dopo minuto. Non mancano le battute sagaci o le situazioni al limite dell’assurdo ma più che alla risata si punta al pastiche e al guilty pleasure. Il western sembra essere la linea di fondo seguita: rapina in banca nel selvaggio West di una grande metropoli, i banditi armati, i fuorilegge dal cuore d’oro, gli sceriffi corrotti e l’oro, tanto oro su cui mettere le mani. Non mancano nemmeno le tre sepolture, ad avvalorare la tesi. È possibile però anche pensare a un continuo rimando al mondo del videogioco ma si tratta di una sorta di illusione provocata proprio dalla presenza dei videogiochi nella sottotrama inerente al personaggio di Henry.

Ma cosa muove gli scalmanati protagonisti? La famiglia, come nella più tradizionale messa in scena scorsesiana. Brett desidera proteggere la sua dai nuovi nemici (i neri che popolano il suo quartiere) e garantire serenità alla moglie Melanie, malata gravemente. Anthony vuole sposarsi con la fidanzata e ripagare quell’anello che ha comprato. Henry anela a un futuro migliore per la madre prostituta ed eroinomane (l’amore per la figura materna si evince anche nell’ultima conversazione con l’amico Biscuit) e il fratello paralitico. Vecchi sentimenti dunque che si mescolano alle chimere dell’epoca moderna, in cui il ricatto e l’umiliazione passano per un video virale o in cui il nemico è l’altro: non basta la parola per fidarsi, occorrono i fatti. Le promesse non sono più tali e ogni prospettiva si rovescia: chi avrebbe dovuto difendere attacca e chi avrebbe dovuto attaccare difende. Diversi, poi, i riferimenti critici agli Stati Uniti dell’epoca Trump, le battute scorrette nei confronti degli immigrati (italiani compresi) e una sana e consapevole disillusione.

Grazie a protagonisti in parte (Dio salvi Mel Gibson) e a comprimari d’eccezione (da Udo Kier losco commerciante a Don Johnson tenente fino a Jennifer Carpenter impiegata di banca), Dragged Across Concrete si rivela un vero divertissement autoriale da non prendere sottogamba.

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…El más que admirable y meticuloso desempeño de Zahler pasa por su paciencia narrativa, el desarrollo de personajes frustrados a nivel existencial, el cariño por esos resortes clásicos del cine de género, un genial soundtrack soulero y jazzero y una bienvenida crueldad que no deja nada en pie -como en la realidad- porque el trasfondo ético no es tan importante como los objetivos de cada protagonista, logrando la proeza de construir intercambios entre seres de carne y hueso multidimensionales que se enfrentan contra verdaderas máquinas de matar -allí recae sobre todo el amor por los componentes más extremos del horror y el suspenso- cuya efervescencia constituye un verdadero soplo de aire fresco en las tristes comarcas mainstream e indie de la actualidad a escala global. De hecho, llama mucho la atención el nivel de autonomía y/ o libertad del que goza el cineasta, un autor con todas las letras que se da el enorme lujo de articular el desarrollo principal -en un metraje tan extenso como necesario y gratificante- con excelentes detalles paralelos como la presencia de esos cómplices amorales de Vogelmann (Primo Allon y Matthew MacCaull) que roban supermercados y a tontos varios para pagar el camión blindado del robo o esa empleada bancaria llamada Kelly Summer (Jennifer Carpenter) que termina asesinada de una manera espantosa justo el día en que regresa a su trabajo después de una licencia por maternidad.

 

Al igual que como ocurría en Bone Tomahawk y Brawl in Cell Block 99, el realizador en Dragged Across Concrete va atizando el fuego retórico para el nerviosismo, la algarabía homicida y el desconcierto todo terreno de un desenlace que hoy por hoy llega a posteriori de un largo y fascinante acecho a la distancia por parte de Brett y Anthony, quienes siguen a sus antagonistas en un automóvil con el propósito de mexicanearlos en la coyuntura más oportuna posible, desembocando en unos 50 minutos finales que rankean en punta entre lo mejor y más enérgico que haya dado en mucho tiempo el séptimo arte en lo que a policiales hardcore se refiere, en términos prácticos una andanada de enfrentamientos -en sintonía con los duelos del Lejano Oeste y muy lejos del fetiche contemporáneo con la dialéctica semi documentalista- entre todas las partes involucradas alrededor de un único escenario en donde Zahler logra edificar una constante sensación de claustrofobia a partir de espacios abiertos que no lo son porque cada uno de los tiradores está preso de su propia ambición y voracidad, en las que la desesperación social/ económica/ profesional de fondo una y otra vez se traduce en la osadía de continuar avanzando hacia el botín -o por el contrario, jamás soltarlo- vía un juego de intereses opuestos sobre un mismo tesoro que los embarra más y más en el fango del “no retorno” y los va eliminando uno a uno en consonancia con su ego.

 

Más allá de la eficacia en lo que respecta al andamiaje concreto del cine de género, el opus de Zahler asimismo resulta exitoso en materia del jugoso entramado político gracias a que destroza en simultáneo a los fascistas, denunciando la autovictimización patética de la derecha y su adopción del discurso satírico y nihilista de la izquierda del pasado, y a los seudo progresistas de nuestros días, una serie de infradotados que la van de comprometidos a nivel comunal sin embargo a decir verdad son tan inofensivos, cobardes y cándidos en su presuntuosa seguridad que cada vez que hablan ponen en evidencia su ignorancia y su táctica no asumida de repetir fórmulas y latiguillos reduccionistas en vez de tomarse el trabajo de pensar por cuenta propia. El director no sólo reincide de maravillas -en lo que atañe a su trabajo previo- con Vince Vaughn, Don Johnson y Jennifer Carpenter, sino que se planta como alguien que por fin entiende y aprovecha lo que puede ofrecer -y lo que significa- Mel Gibson, en la vida real un tremendo demente racista aunque en pantalla una figura con un magnetismo derechoso innegable que calza perfecto como adalid de una furia intra/ extra institucional que no se siente cómoda rodeada del fariseísmo omnipresente del Estado y la industria cultural, leyendo lo ocurrido y sus acciones en términos de porcentajes improvisados en torno a la probabilidad de salir con vida de esta gran jungla de cemento…

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