vita da poliziotti israeliani, non vediamo palestinesi, sappiamo che hanno ammazzato dei palestinesi, come succede sempre, ma sappiamo anche che, a parte le scartoffie, non succederà niente.
sono polizioti gentili con le compagne, ma assassini, si sa.
nella seconda parte entrano in gioco ungruppo di ribelli, sempre israeliani, che per protestare contro l'ineguale distribuzione della ricchezza nel paese prendono in ostaggio dei riccastri, con la stessa ingenuità dei ragazzi ribelli di Nocturama.
alla fine uno dei poliziotti teste di cuoio sembra soffrire per quello che ha fatto, forse è umano anche lui.
un film strano, ma merita la visione - Ismaele
…Se dunque questo film possiede qualche merito, ritengo che il
principale possa essere quello di raccontarci Israele per ciò che è, e non ciò
che il suo establishment vuole rappresentare. Dunque non uno Stato in guerra contro
il mondo arabo per la propria sopravvivenza, ma un Paese violento con i propri
concittadini, in cui la disparità sociale è il problema più urgente, ed nel
quale la questione palestinese è un riflesso di questa politica
antidemocratica.
Lapid restituisce, nella plumbea asetticità dei personaggi e
della vicenda narrata, un clima distonicamente orwelliano, cioè di assoluta
negazione dei principi e dei valori dai quali nacque l’utopia di uno stato
israeliano. Non c’è nessun buono, ma non c’è neppure nessun cattivo, tutti si
comportano da soldati, eseguono ordini secondo l’ideologia che hanno sposato e
con la quale sono uniti in maniera indissolubile; entrambi i gruppi vivono in
guerra contro un nemico invisibile.
«Nel film i conflitti sociali e di classe – ha affermato il
regista – diventano questioni di vita. Mi sono focalizzato sui loro conflitti
personali e non sulla violenza nelle strade. Ho preferito quindi rappresentare
il conflitto di classe, volevo denunciare la situazione ed esporre le identità dei
personaggi e le persone in generale».
Notava l’ottima Cristina Piccino, davvero ottima in
assoluto ma in forma smagliante durante le giornate di Locarno, sul Manifesto
del 10 agosto, che il film lascia un’ “impressione di un qualcosa di
autoassolutorio, nel racconto di questa società che si guarda dentro e si
scopre malata e violenta”. Impressione della quale mi sento sommessamente di
dissentire, dal momento che la terribile situazione messa in scena da Lapid, un
rapimento con ostaggi ed una esecuzione a freddo, restituisce la sensazione di
una società sull’orlo dell’autodistruzione, in cui le sue parti paiono
totalmente scollegate da un tracciato razionale, ma sorde si sfidano incapaci
di parlarsi.
In questa contrapposizione bipolare, strutturata attorno ai
due gruppi contrapposti, speculari in ogni valore, ma simili nella struttura
del potere interno al gruppo, rischia di passare in second’ordine, così è stato
per la gran parte della critica che si è trovata a ‘dover dire’ di questa
pellicola, il ruolo dei milionari che, a ben guardare, scivolano nella
narrazione come fantasmi, pur essendo il punto dolente dell’intero impianto
sociale israeliano, nonché focus polemico del film. “Hashoter”, fra le molte
cose, ci dice che nel caos dello Stato israeliano i principali responsabili
delle ingiustizie godono della condiscendenza di tutto il sistema, mette in
luce come il neo-liberista che detiene il potere sia in grado di mettere in
discussione i concetti di libertà personale, di occupare unilateralmente e militarmente
territori che non gli spetterebbero da alcun accordo internazionale, di gettare
i suoi cittadini in una condizione economica precaria e feroce, ma mai è in
grado di mettere in discussione la propria natura oppressiva ed incurante dei
diritti fondamentali dell’uomo: cioè la libertà e la dignità.
«Volevamo rappresentare persone intrappolate nella loro
esistenza, prigionieri del posto in cui sono. Mi sono chiesto: riusciranno a
salvarsi dalla loro identità?» ha detto il regista nell’incontro con il pubblico;
questa frase mi ha fatto pensare a come i soli prigionieri messi in scena dal
film, i milionari rapiti dal gruppo terroristico, siano i soli che
apparentemente non subiscono in alcun modo la situazione, la loro realtà, a
prescindere dall’esito del blitz del gruppo di teste di cuoio, sarà l’unica a
non essere scalfita in alcuna delle proprie certezze.
Fatti tutti questi discorsi, che passano tangenziali attorno
alla pellicola, che dalla stessa sono innescati come un ordigno del quale non
si conosce il timing della deflagrazione, è il caso di segnalare il fatto che a
chi scrive il film in questione non ha convinto fino in fondo da un punto di
vista cinematografico. Pur se basato su di una struttura interessante ed
ottimamente calato nella realtà sociale e politica che mette in scena,
“Hashoter” è un film modesto, lacunoso e slabbrato, quasi insopportabile nella
sua prima metà e tendente al soporifero.
Un film controverso e troppo schematico che lascia il proprio
compimento allo spettatore, chiamato a documentarsi sulle reali condizioni di
Israele…
"Le Policier" est moins un film de
cinéma qu’un exercice dialectique un peu grossier, moins malin qu’il n’y
paraît. Peuplé de personnages-étiquettes, il propose un panorama
(potentiellement passionnant) des dysfonctionnements de la société israélienne.
La première partie fonctionne bien : mise en scène sèche et précise,
sous-texte alarmant délivré avec d’habiles détours (les policiers obnubilés par
leur "image"). Mais ce qui s’annonçait comme une oeuvre forte et
pertinente se décompose sur place lorsque Lapid change de point de vue, des
flics aux révolutionnaires : le propos n’est plus suggéré, mais asséné à
coups de considérations inutilement étirées et mortelles d’ennui. A trop
théoriser, "Le Policier" laisse un goût (amer) d’inachevé, celle
d’une oeuvre bancale qui aura raté son coche, peinant à atteindre la dimension
"électrochoc" du film-réquisitoire à la Haneke (l’un de ses possibles
modèles).
…Es en los tramos finales de la película
donde se puede ver la calidad humana de cada personaje y ocurre cuando los dos
grupos se enfrentan. Policías de élite por un lado y grupo extremista por el
otro (ver la acción final en el segundo video). Allí, a través de la acción, se
verá quien es quien. Es en este tramo del filme donde queda clara la toma de
posición del director. Mientras los jóvenes mantienen secuestrados a varios
miembros de dos ricas familias israelíes, los tratan con rigor, pero no los
agreden o golpean. Cuando uno de los jóvenes dispara y mata sin querer a uno de
los hombres secuestrados, entra en una crisis profunda. Se siente conmovido por
lo que hizo. Todo lo contrario a lo que sentirán los policías cuando arremetan,
con violencia obscena y terminen asesinando a casi todos los secuestradores. El
desprecio absoluto que este grupo represivo de élite muestra por los jóvenes
baleados, sin prestarles la más mínima ayuda aún cuando uno de ellos da muestra
de estar vivo aunque malherido, resignifica todo el sentido del supuesto
humanismo que los policías creen poseer. Queda definida también el tipo de
sociedad que se ha ido conformando bajo la prédica del sionismo, donde la
identidad racial, religiosa y cultural trata de esconder las profundas
desigualdades sociales e ideológicas.
…Racchiusi all'interno di caste ben definite, incapaci
di confrontarsi con una realtà al di fuori e di esprimersi attraverso una voce
personale, poliziotti e militanti trovano un punto d'unione solamente nella
possibilità espressiva della violenza. Oltre la sottile linea di demarcazione
che divide il bene dal male, il lecito dall'illecito la pistola diventa il
simbolo del riconoscimento e della militanza, l'elemento attraverso cui
definire se stessi e la forza della proprie idee, fallendo miseramente la
ricerca e la definizione di un io autonomo. In questo modo, osservato
attraverso la lente d'ingrandimento di una ricostruzione intimista, il film
mette in evidenza la sconcertante realtà di un paese che esprime chiaramente il
suo dissenso nel rendere liberi gli uomini che lo abitano. Un drammatico senso
del realismo che, nell'utilizzo di un linguaggio cinematografico
schematicamente rigido nella sua struttura, rischia però di rimanere
intrappolato in una formalità avara di passione e partecipazione.
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