venerdì 4 marzo 2022

Il poliziotto (Ha-shoter) – Nadav Lapid

vita da poliziotti israeliani, non vediamo palestinesi, sappiamo che hanno ammazzato dei palestinesi, come succede sempre, ma sappiamo anche che, a parte le scartoffie, non succederà niente.

sono polizioti gentili con le compagne, ma assassini, si sa.

nella seconda parte entrano in gioco ungruppo di ribelli, sempre israeliani, che per protestare contro l'ineguale distribuzione della ricchezza nel paese prendono in ostaggio dei riccastri, con la stessa ingenuità dei ragazzi ribelli di Nocturama.

alla fine uno dei poliziotti teste di cuoio sembra soffrire per quello che ha fatto, forse è umano anche lui.

un film strano, ma merita la visione - Ismaele


 

 

 

Se dunque questo film possiede qualche merito, ritengo che il principale possa essere quello di raccontarci Israele per ciò che è, e non ciò che il suo establishment vuole rappresentare. Dunque non uno Stato in guerra contro il mondo arabo per la propria sopravvivenza, ma un Paese violento con i propri concittadini, in cui la disparità sociale è il problema più urgente, ed nel quale la questione palestinese è un riflesso di questa politica antidemocratica.

Lapid restituisce, nella plumbea asetticità dei personaggi e della vicenda narrata, un clima distonicamente orwelliano, cioè di assoluta negazione dei principi e dei valori dai quali nacque l’utopia di uno stato israeliano. Non c’è nessun buono, ma non c’è neppure nessun cattivo, tutti si comportano da soldati, eseguono ordini secondo l’ideologia che hanno sposato e con la quale sono uniti in maniera indissolubile; entrambi i gruppi vivono in guerra contro un nemico invisibile.

«Nel film i conflitti sociali e di classe – ha affermato il regista – diventano questioni di vita. Mi sono focalizzato sui loro conflitti personali e non sulla violenza nelle strade. Ho preferito quindi rappresentare il conflitto di classe, volevo denunciare la situazione ed esporre le identità dei personaggi e le persone in generale».

Notava l’ottima Cristina Piccino, davvero ottima in assoluto ma in forma smagliante durante le giornate di Locarno, sul Manifesto del 10 agosto, che il film lascia un’ “impressione di un qualcosa di autoassolutorio, nel racconto di questa società che si guarda dentro e si scopre malata e violenta”. Impressione della quale mi sento sommessamente di dissentire, dal momento che la terribile situazione messa in scena da Lapid, un rapimento con ostaggi ed una esecuzione a freddo, restituisce la sensazione di una società sull’orlo dell’autodistruzione, in cui le sue parti paiono totalmente scollegate da un tracciato razionale, ma sorde si sfidano incapaci di parlarsi.

 

In questa contrapposizione bipolare, strutturata attorno ai due gruppi contrapposti, speculari in ogni valore, ma simili nella struttura del potere interno al gruppo, rischia di passare in second’ordine, così è stato per la gran parte della critica che si è trovata a ‘dover dire’ di questa pellicola, il ruolo dei milionari che, a ben guardare, scivolano nella narrazione come fantasmi, pur essendo il punto dolente dell’intero impianto sociale israeliano, nonché focus polemico del film. “Hashoter”, fra le molte cose, ci dice che nel caos dello Stato israeliano i principali responsabili delle ingiustizie godono della condiscendenza di tutto il sistema, mette in luce come il neo-liberista che detiene il potere sia in grado di mettere in discussione i concetti di libertà personale, di occupare unilateralmente e militarmente territori che non gli spetterebbero da alcun accordo internazionale, di gettare i suoi cittadini in una condizione economica precaria e feroce, ma mai è in grado di mettere in discussione la propria natura oppressiva ed incurante dei diritti fondamentali dell’uomo: cioè la libertà e la dignità.

«Volevamo rappresentare persone intrappolate nella loro esistenza, prigionieri del posto in cui sono. Mi sono chiesto: riusciranno a salvarsi dalla loro identità?» ha detto il regista nell’incontro con il pubblico; questa frase mi ha fatto pensare a come i soli prigionieri messi in scena dal film, i milionari rapiti dal gruppo terroristico, siano i soli che apparentemente non subiscono in alcun modo la situazione, la loro realtà, a prescindere dall’esito del blitz del gruppo di teste di cuoio, sarà l’unica a non essere scalfita in alcuna delle proprie certezze.

Fatti tutti questi discorsi, che passano tangenziali attorno alla pellicola, che dalla stessa sono innescati come un ordigno del quale non si conosce il timing della deflagrazione, è il caso di segnalare il fatto che a chi scrive il film in questione non ha convinto fino in fondo da un punto di vista cinematografico. Pur se basato su di una struttura interessante ed ottimamente calato nella realtà sociale e politica che mette in scena, “Hashoter” è un film modesto, lacunoso e slabbrato, quasi insopportabile nella sua prima metà e tendente al soporifero.

Un film controverso e troppo schematico che lascia il proprio compimento allo spettatore, chiamato a documentarsi sulle reali condizioni di Israele…

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"Le Policier" est moins un film de cinéma qu’un exercice dialectique un peu grossier, moins malin qu’il n’y paraît. Peuplé de personnages-étiquettes, il propose un panorama (potentiellement passionnant) des dysfonctionnements de la société israélienne. La première partie fonctionne bien : mise en scène sèche et précise, sous-texte alarmant délivré avec d’habiles détours (les policiers obnubilés par leur "image"). Mais ce qui s’annonçait comme une oeuvre forte et pertinente se décompose sur place lorsque Lapid change de point de vue, des flics aux révolutionnaires : le propos n’est plus suggéré, mais asséné à coups de considérations inutilement étirées et mortelles d’ennui. A trop théoriser, "Le Policier" laisse un goût (amer) d’inachevé, celle d’une oeuvre bancale qui aura raté son coche, peinant à atteindre la dimension "électrochoc" du film-réquisitoire à la Haneke (l’un de ses possibles modèles).

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Es en los tramos finales de la película donde se puede ver la calidad humana de cada personaje y ocurre cuando los dos grupos se enfrentan. Policías de élite por un lado y grupo extremista por el otro (ver la acción final en el segundo video). Allí, a través de la acción, se verá quien es quien. Es en este tramo del filme donde queda clara la toma de posición del director. Mientras los jóvenes mantienen secuestrados a varios miembros de dos ricas familias israelíes, los tratan con rigor, pero no los agreden o golpean. Cuando uno de los jóvenes dispara y mata sin querer a uno de los hombres secuestrados, entra en una crisis profunda. Se siente conmovido por lo que hizo. Todo lo contrario a lo que sentirán los policías cuando arremetan, con violencia obscena y terminen asesinando a casi todos los secuestradores. El desprecio absoluto que este grupo represivo de élite muestra por los jóvenes baleados, sin prestarles la más mínima ayuda aún cuando uno de ellos da muestra de estar vivo aunque malherido, resignifica todo el sentido del supuesto humanismo que los policías creen poseer. Queda definida también el tipo de sociedad que se ha ido conformando bajo la prédica del sionismo, donde la identidad racial, religiosa y cultural trata de esconder las profundas desigualdades sociales e ideológicas.

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Racchiusi all'interno di caste ben definite, incapaci di confrontarsi con una realtà al di fuori e di esprimersi attraverso una voce personale, poliziotti e militanti trovano un punto d'unione solamente nella possibilità espressiva della violenza. Oltre la sottile linea di demarcazione che divide il bene dal male, il lecito dall'illecito la pistola diventa il simbolo del riconoscimento e della militanza, l'elemento attraverso cui definire se stessi e la forza della proprie idee, fallendo miseramente la ricerca e la definizione di un io autonomo. In questo modo, osservato attraverso la lente d'ingrandimento di una ricostruzione intimista, il film mette in evidenza la sconcertante realtà di un paese che esprime chiaramente il suo dissenso nel rendere liberi gli uomini che lo abitano. Un drammatico senso del realismo che, nell'utilizzo di un linguaggio cinematografico schematicamente rigido nella sua struttura, rischia però di rimanere intrappolato in una formalità avara di passione e partecipazione.

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