In attesa
della riapertura dei cinema, su Raiplay si trovano disponibili 11 titoli del
regista in versione integrale e restaurata, sotto il titolo “Effetto
Truffaut”. È un’ottima occasione per accostarsi per la prima
volta al regista francese che è entrato di diritto nell’olimpo dei classici,
oppure per riscoprirlo anche attraverso alcuni dei suoi film meno noti, ma non
per questo meno belli, come Tirate sul pianista o La
calda amante. Una raccomandazione per i neofiti: cominciate da I
400 colpi, con Jean Pierre Léaud nel ruolo del giovanissimo protagonista; è
il suo primo film e anche il ritratto preciso della sua adolescenza, tanto che
i genitori smisero di parlargli. Senza quello è impossibile capire davvero
tutti i protagonisti dei suoi film successivi («credo di aver filmato sempre lo
stesso personaggio principale, ma di aver chiesto a tutti di recitare come
Léaud»), che in un modo o nell’altro sono sempre degli asociali che lottano per
essere accettati: non essendo loro riconosciuto neppure il diritto di esistere,
si sentono perennemente in colpa («l’infanzia è atroce, ci si sente sempre in
colpa»). Autore apparentemente “facile” perché alieno da intellettualismi, è
invece difficile da comprendere profondamente in modo razionale: solo unendo i
suoi film come le tessere di un puzzle si ottiene finalmente un’immagine
completa che è in grado di illuminarli uno per uno. Ma lo spettatore
presupposto da Truffaut non è un animale razionale. Se Mario Mattoli girò una
serie di pellicole sotto l’etichetta I film che parlano al vostro
cuore (1941-42), quelli di Truffaut sono i film che parlano al vostro
inconscio (e sono parlati dal suo): «il mio sogno è la persuasione occulta.
Vorrei che la gente vedesse certe inquadrature che non ci sono, ripensasse al
proprio passato, facesse un tuffo nel passato. Vorrei provocare associazioni
d’idee, far nascere combinazioni, favorire incontri più o meno studiati»
Le 18 parole
che seguono vogliono essere altrettanti indizi e un piccolo aiuto per mettere
insieme il vostro “puzzle Truffaut”.
(Avvertenza:
tutti i virgolettati sono parole del regista, tratte da F. Truffaut, Tutte
le interviste sul cinema, a cura di A. Gillain, Gremese, 1990)
Amore
Per Truffaut
tutti i film sono film d’amore: «l’amore è il soggetto dei soggetti. Occupa un
tale spazio nella vita (…) che se mi si provasse, statistiche alla mano, che
nove film su dieci sono film sull’amore, direi che non basta. Un uomo di
sessant’anni e una ragazzina di quindici, è Lolita. Una donna di
quaranta e un ragazzo di venti, è Adolphe. Un ragazzo e una ragazza
di quindici, è Giulietta e Romeo…»
Antoine
Doinel
Alter-ego
del regista, interpretato da Jean Pierre Léaud, compare in quattro film più un
episodio. Il pubblico lo amò nei film in cui è adolescente e giovane (I 400
colpi e Baci rubati), meno nei film della maturità (Non drammatizziamo,
è solo questione di corna, L’amore fugge). «In questa storia [L’amore
fugge] non tutto è piacevole. Nel caso di Doinel le limitazioni sono enormi
per il fatto che lui è una specie di emarginato senza che se ne renda conto…
L’ho fatto evolvere quasi ai margini della società. (…) In lui ci sono
pochissime cose positive… una sorta di solitudine, popolata ovviamente di
presenze femminili, ma non ci sono contatti con gli uomini. Noi viviamo
un’epoca di contestazione in cui le persone bene integrate con la società la
criticano e vogliono uscirne; lui fa sempre uno sforzo per entrarci, senza
riuscirci, in lui c’è uno sforzo di comunicazione». Morale: quello che la gente
è disposta a perdonare a un adolescente, lo accetta con difficoltà in un uomo
adulto.
Asociali
(personaggi)
«[I
protagonisti dei miei film] innanzi tutto sono personaggi asociali. La fatica
del film in lavorazione è di imporli alla gente. Bisogna presentare prove,
convincere; è un lavoro che si basa sulla simpatia».
Bambini
Truffaut è
famoso per essere il “regista dei bambini”, già dal suo film d’esordio; tutti i
suoi film dedicati ai bambini ebbero un grande successo. Allergico a qualsiasi
forma di impegno politico, fu invece sempre attivo nella difesa dell’infanzia,
sia sostenendo delle associazioni, sia agendo in prima persona. Il suo pensiero
è riassunto dal discorso, decisamente autobiografico, che il maestro (vedi alla
voce Lavorare) de Gli anni in tasca fa ai suoi
allievi alla fine dell’anno scolastico: «volevo dirvi che è perché conservo un
brutto ricordo della mia gioventù e non mi piace il modo in cui ci si occupa
dei bambini, che ho scelto questo mestiere: l’insegnante. La vita non è facile,
è dura, ed è importante che voi impariate a indurirvi per poterla affrontare.
Attenzione, non intendo nel senso di indurirvi il cuore, ma nel senso di
temprarvi. Per una sorta di strano equilibrio, coloro che hanno vissuto una
giovinezza difficile sono meglio corazzati per affrontare la vita adulta
rispetto a coloro che sono stati molto protetti o molto amati. È una specie di
legge di compensazione. Un giorno avrete dei figli e spero che li amerete e che
essi vi ameranno. A dire il vero, vi ameranno se voi li amerete. Altrimenti
riverseranno il loro amore o il loro affetto, la loro tenerezza, su altre
persone o su altre cose. Perché la vita è fatta in modo tale che non si può
fare a meno di amare ed essere amati». N.B.: nel Ragazzo
selvaggio è Truffaut stesso a recitare nel ruolo del dottor Itard, che
cerca di educare il ragazzo del titolo alla vita civile.
Canzoni
Mathilde, il
personaggio interpretato da Fanny Ardant, in La signora della porta
accanto: «Ascolto le canzoni perché dicono la verità. Più sono stupide
e più sono vere. E poi non sono stupide… Che dicono? Dicono “Non devi lasciarmi”,
“Senza di te in me non c’è vita”, “Senza di te io sono una casa vuota”, o
“Lascia che io divenga l’ombra della tua ombra”, oppure “Senza amore non siamo
niente”» (vedi alla voce Amore).
Cultura
«Dentro di
me c’è un po’ di polemica e diffidenza su ciò che oggi potremmo chiamare il
discorso culturale. (…) Secondo me, è culturale ciò che ci aiuta a vivere.
Ecco, è in considerazione di questo che ho scritto quel dialogo molto preciso
sulle canzoni (vedi alla voce).
Donne
Una delle
ultime battute dell’ultimo film di Truffaut, Finalmente domenica (una
commedia gialla), per inciso pronunciata da un pluriomicida reo
confesso, potrebbe essere l’auto-epitaffio del regista: «non ho rimorsi. Non ho
mai fatto parte della società degli uomini: tutto quello che ho fatto è per le
donne, perché mi è sempre piaciuto guardarle, toccarle, respirarle, godere di
loro e farle godere. Le donne sono magiche e allora anch’io sono diventato un
mago» (vedi alla voce Madre, direbbe Freud).
Fino in
fondo (andare)
«Per il
pubblico niente da più soddisfazione dello spettacolo di un personaggio che va
fino in fondo». In realtà dava soddisfazione a lui, che però non era proprio lo
spettatore tipo, e il cui sforzo come regista consisteva proprio nel far
accettare al pubblico i suoi personaggi asociali (vedi alla
voce). Infatti parla con toni quasi offesi del grande successo di L’ultimo
metrò: «era la prima volta che presentavo personaggi così poco
approfonditi, personaggi che non consideravo molto forti e mi allontanavano
così tanto da un personaggio come quello di Adèle H. Nell’Ultimo metrò nessuno
va in fondo a sé stesso. Deneuve e Depardieu incarnano gli antieroi, personaggi
di compromesso, perché sotto l’Occupazione si viveva appunto di compromessi.
Sono rimasto sbalordito dal potenziale di simpatia di cui ha dato prova il
pubblico nei riguardi di questi personaggi».
Giocare
«Io mi
classifico in quella categoria di registi per i quali il cinema è il
prolungamento della giovinezza, quello dei bambini che, mandati a divertirsi in
un angolo, rifacevano il mondo con i giocattoli e in età adulta continuavano a
giocare con i film. È quello che io chiamo “il cinema della stanza in fondo”,
con il rifiuto della vita così com’è del mondo al suo stato naturale e, per
reazione, con il bisogno di ricreare qualcosa che abbia un po’ della favola».
Lavorare
Non è una
cosa seria. Quando nei suoi film c’è una scena comica, è quasi sempre legata al
lavoro del protagonista maschile. In Baci rubati il
protagonista è un detective talmente negato da passare da un comico fallimento
all’altro, fino a farsi licenziare. Passerà a riparare apparecchi televisivi e
la sua ex prenderà a martellate quello di famiglia per avere una scusa per
riallacciare. In Mica scema la ragazza è un sociologo
imbranato e privo di senso della realtà che finirà in carcere al posto della
ragazza che crede di redimere. In La signora della porta accanto è
un collaudatore di navi giocattolo, così come in L’uomo che amava le
donne (che nella raccolta di Raiplay non c’è, ma che è forse il più
truffautiano dei film di Truffaut: imperdibile. Procuratevelo altrimenti).
Per Truffaut
l’unico lavoro serio è allevare i bambini, e quello lo fanno le donne (vedi
alla voce), o educarli, e quello dell’insegnante è il solo lavoro maschile
presentato con vero rispetto (vedi alla voce Bambini).
Leggere
«Mia nonna
materna amava molto i libri. È stata lei che ha cominciato a leggermi dei libri
e a insegnarmi a leggere. (…) In seguito, ho vissuto con mia madre che non
sopportava i rumori e m’impediva di muovermi e parlare per ore e ore. Allora io
leggevo: era la sola occupazione a cui potessi dedicarmi senza disturbare»
«Ci sono
cose di cui non ero cosciente facendo il film [L’uomo che amava le donne]
ma che adesso mi sono chiare; per esempio c’è competizione tra l’amore e il
libro. Giuro che la cosa è inconscia e non lo volevo affatto. C’è antagonismo
tra le relazioni che Bertrand Morane ha con le donne e le relazioni che ha con
i libri, come se fosse impossibile mescolare le due cose». In questo film, una
delle amanti butta dalla finestra il libro che il protagonista sta leggendo,
anziché ascoltarla.
«La mia
occupazione preferita: … e la lettura» (dalle risposte di Truffaut al Questionario di
Proust). Per l’interpretazione dei tre puntini, autocensura del regista stesso,
vedi il paragrafo precedente.
Liturgici
(film)
«Tra i film
che ho fatto, uno su due è romantico, l’altro si sforza di distruggere questo
romanticismo. È una specie di contraddizione affettiva. Molto spesso un nuovo
film è la risposta violenta al precedente. (…) Non credo di compiacermene,
perché ci sono cose che vorrei francamente liquidare una volta per tutte e che
invece non liquido. (…) Mi secca non riuscire a mostrare l’amore se non in modo
religioso. La gente vuole sempre suddividere i miei film opponendo le
sceneggiature originali agli adattamenti; la mia divisione personale sarebbe
tra commedie drammatiche e film liturgici». Inutile dire che i suoi film più
personali (e più belli, secondo me) sono proprio quelli “liturgici”.
Madre
Assente dal
suo cinema come lo fu nella sua prima infanzia, quando c’è fa danni, come
in Le due inglesi, dove separa per sempre i due innamorati. Si
cerca di ovviare alla sua mancanza innamorandosi di ragazze con genitori
simpatici (Baci rubati).
Madre 2
«Io
classifico i miei libri per autore, ma vorrei riservare un reparto della mia
biblioteca ai libri sulle madri. È il miglior libro di ogni scrittore. Guardi
Simenon, Peyrefitte, Bataille, Pagnol. Se non ci fosse stato che un solo
soggetto, sarebbe stato quello: la madre. Forse per me è ancora troppo presto».
In realtà nei suoi film, pur non essendoci quasi mai, è al tempo stesso
onnipresente.
Morte
Non c’è
quasi film di Truffaut senza un morto. Inevitabile per un regista che credeva
che il cinema fosse la vita portata alle sue estreme conseguenze. Al tempo
stesso, affermava: «lo spettacolo lotta contro la morte».
Morti
«Più si va
avanti e più ci conviene dimenticare i nostri morti, perché dimenticandoli
dimentichiamo la nostra stessa morte. Proust ha detto: “Non è perché gli altri
sono morti che il nostro affetto per loro si affievolisce, e perché moriamo noi
stessi…”. Sì, il vero distacco sta lì, in questa necessità, per sopravvivere,
di accettare il provvisorio» (vedi alla voce). Tutti i protagonisti
dei film di Truffaut sono in lotta con il provvisorio e reclamano eternità;
sono anche tutti casi estremi, che portano fino in fondo (vedi
alla voce) la loro ossessione, ma forse il più estremo di tutti è il
protagonista della Camera verde (non a caso interpretato
proprio da Truffaut) che ai suoi morti dedica addirittura una cappella e vota
la propria vita a ricordarli.
Provvisorio
(accettazione del) ovvero:
l’amore fugge
Alla fine
di Baci rubati, quando i due protagonisti sono finalmente insieme e
felici, seduti su di una panchina in un parco, si avvicina un uomo che ha
seguito la ragazza per tutto il film e le dichiara il suo amore affermando che
solo lui le darebbe un amore definitivo, mentre quello di Antoine è solo
provvisorio. Truffaut diceva di lui: «per me quell’uomo è un pazzo, ma come
tutti i pazzi dice cose importanti. Dice che i sentimenti sono provvisori e
tutti tradiscono tutti. È pazzo perché lui crede di essere definitivo». E
ancora: «con il passare degli anni, credo che quest’ultima scena di Baci
rubati, che è stata realizzata con molta innocenza, senza neanche sapere
cosa volesse dire, sia la chiave di quasi tutte le storie che racconto».
Pupattole
«Il cinema
francese ha un certo numero di giovani attrici d’età inferiore ai trent’anni la
cui inattendibilità trovo avvilente; queste Mylène, Pascale, Dany non sono né
“vere” ragazze, né “vere” donne, ma delle bamboline, delle pupattole, delle
pin-up. Si ha l’impressione che siano state create dal cinema per il cinema e
che non esisterebbero se il cinema non esistesse». E infatti le attrici che
potrete ammirare in questo ciclo di film si chiamano, per esempio, Fanny Ardant
(«questa ragazza è come le tre Brontë messe insieme!»), Jeanne Moreau («con lei
non si ha voglia di fare un personaggio che si comporterà meschinamente. Si
sente in lei una tale energia!»), Catherine Deneuve («amo il modo in cui sembra
proiettare sullo schermo una doppia vita, quella apparente e quella segreta. Si
ha l’impressione che conservi alcuni pensieri solo per sé stessa e la sua vita
interiore sia importante almeno quanto quella esteriore») e molte altre, tutte
diverse ma mai pupattole, sempre donne (vedi alla voce).
Zibellino
(colore)
Colore di
calze femminili preferito da Truffaut, “il regista che amava le gambe”.
«C’è una
scena che non sono mai riuscito a girare, né nella Calda amante né
in Tirate sul pianista. Qui Marie Dubois chiede ad Aznavour di
comprarle un paio di calze. Poi, vedendo Aznavour che va a comprare queste
calze, ho capito che era completamente sbagliato, e ho dovuto tagliare la
scena. Si vedeva quest’uomo arrivare in un negozio, chiedere le calze alle
commesse, e questo le faceva sorridere. Era una scena da niente, ma era
difficilissima da fare. Comunque era fallita. Quando ho fatto La calda
amante mi sono detto: stavolta deve riuscire. Allora Françoise Dorléac
dice a Dessailly: “Non dimenticare di portarmi un paio di calze”. Questa volta
ho inserito la scena di sera e ho aggiunto il particolare che, quando lui
arriva, il negozio sta per chiudere. La commessa abbassa la saracinesca, ma lo
fa entrare lo stesso. Dopo, la scena era la stessa. Ho filmato le due commesse
che sorridono tra loro, Desailly imbarazzato di comprare le calze. Era ancora
brutta. Ho tagliato. Ma la prossima volta ci riuscirò. È una questione di
principio».
Questa scena
finalmente riuscita non fu mai girata. Tanti film non furono mai girati.
Truffaut morì prematuramente a 52 anni, quando credeva di essere ad appena due
terzi della sua carriera, per un tumore al cervello. Secondo i calcoli che
aveva fatto, almeno 10 film mancano, e mancheranno per sempre, all’appello.
I film disponibili su Raiplay sono: I 400
colpi (1959), Tirate sul
pianista (1960), Jules e Jim (1962), La calda amante (1964), Baci rubati (1968), Le due inglesi (1971), Mica
scema la ragazza (1972), L’amore fugge (1979), Ultimo
metrò (1980), La
signora della porta accanto (1981), Finalmente
domenica (1983).
https://volerelaluna.it/cultura/2021/04/27/tutto-truffaut-in-18-parole/
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