film fresco, ingenuo, sincero, urgente, necessario, impegnato, dentro i tempi e prima dei tempi che stanno per arrivare, con attori giovani e bravi, film non pacificato, ribelle, inquieto, critico e autocritico, girato da un giovane regista che diventerà un maestro.
mondi in crisi, mondi morenti, mondi che verranno, l'amore che nasce, che nutre, che fa soffrire, l'amicizia, gli ideali, le ideologie, la libertà, la liberazione dalla famiglia, dal passato, e il rassegnato ritorno a casa, troverete tutto.
non perdetevelo, recuperatelo, compratelo, scaricatelo, non privatevi di questo piccolo giovane capolavoro - Ismaele
“Il fiume, no! Il
fiume, basta! Bisogna dimenticarselo, il fiume… Ci dicono di salutarlo, ci
ordinano di salutarlo!… Verranno qui con delle macchine, verranno qui con le
loro draghe. Ci saranno degli uomini diversi e il rumore dei motori… Chi ci
penserà a tirarli su perché non gelino, i pioppi? Non resterà più niente. Non
ci sarà più l’estate, non ci sarà più l’inverno… Anche per te è finita. Fatti
da parte! Tirati indietro! Affondala, quella tua barca! Eh sì, parlo anche per
te! Non pescheremo più il luccio insieme. E neanche le carpe, pescheremo. E le
anatre non passeranno, non ritorneranno più dentro il mirino del mio fucile. E
basta, le folaghe… Basta, il volo delle oche selvatiche… Amici miei, vedete?
Qui finisce la vita e comincia la sopravvivenza. Perciò addio, Stagno Lombardo,
ciao. Ciao, fucile. Ciao, fiume. E ciao, Puck.”
…Prima della
rivoluzione prende il suo titolo da una frase del politico francese
Talleyrand (1754-1838), posta ironicamente in epigrafe al film: «Chi non ha
vissuto negli anni prima della Rivoluzione non può capire cosa sia la dolcezza
del vivere». Il protagonista infatti si dibatte in una crisi, esistenziale più
che politica, per cui la vita facile che conduce gli sembra un peso
insostenibile, o comunque qualcosa che si paga a caro prezzo, col sacrificio
della parte migliore di sé. Sembra sia soprattutto il clima culturale del tempo
a far indicare al regista col nome di “rivoluzione” quello che è soprattutto
una scelta, un cambiamento di vita atteso, inseguito ma mai raggiunto perché
mai perseguito con autentica convinzione. In questo rifiuto della “dolcezza del
vivere”, il film si pone anche come l’anti-Dolce vita, film di poco
precedente (1960). Se Fellini, sempre al di qua della morale, ha una
inesauribile disponibilità a farsi trascinare dal flusso vitale, in cui alla
fine tutto sembra riconciliarsi spontaneamente in un attimo magico, Bertolucci
manca completamente dell’atavica arte italiana di adagiarsi nel compromesso,
sentendo delle contraddizioni tutto il dramma e la responsabilità morale, il
che basta forse a spiegare perché anche la sua stessa città sembri averlo
dimenticato e lì non vi sia oggi nulla che parli di un uomo, in un certo senso,
così poco italiano…
…Prima della rivoluzione è
soprattutto un film sul tempo, quello immutabile di Fabrizio e la sua
condizione di borghese “costretto a vivere sempre prima della rivoluzione”
antitesi di quello del resto del mondo pronto alle trasformazioni. Fabrizio
vorrebbe crescere insieme ai suoi coetanei, ma è consapevole che sarà difficile
per lui fare quel salto verso il cambiamento, incarnato dalla storia con
l’infelice zia Gina, che a sua volta è già consapevole di aver perso tempo e
che non vuole amare Fabrizio per non condannarlo ad un futuro che sa di
passato. Un racconto drammatico che ricorda i sentimenti che escono anche dal
quasi contemporaneo I basilischi della Wertmuller dove
l’immutabilità del tempo è ancora più marcata e i suoi protagonisti sono ancora
più impotenti verso di essa. Assistere rassegnati al cambiamento, ma sentirsi
sempre pronti a scappare e a vivere la rivoluzione, come ancora oggi ci insegna
Bertolucci dalla sua “sedia elettrica”. Prima della
rivoluzione rappresenta un esempio di quel cinema
giovane che nei primi anni ’60 anticipò in qualche modo le tematiche del ’68
insieme a I pugni in tasca di Bellocchio, un tempo passato
ma ancora attuale.
…Faccia pulita, vestito intonso, corporatura
longilinea, figlio di borghesi, corteggiatore del marxismo e della grande
ideologia socialista. Ma non si corteggia solo con le parole. Fabrizio si
sposta con goffaggine verso gli estremi, ma rimane bloccato nel mezzo di un
epoca, nel mezzo delle scelte politiche, nel mezzo di una vita sentimentale.
Nel mezzo di un’epoca perché guarda alla Resistenza partigiana e ne assapora la
grandezza ed attende l’immancabile rigurgito rivoluzionario di un secolo
provando a teorizzarlo. Nel mezzo delle scelte politiche perché pur vaneggiando
di lotte di classe, riorganizzazioni della società, redistribuzione delle
ricchezza, rimane comunque radicato nel suo mondo liberale che sa come gestire
le risorse e soprattutto, come utilizzare a proprio favore i cambiamenti
repentini di una società. Nel mezzo di una vita sentimentale perché assapora un
frutto proibito, consumando velocemente una storia con la zia Gina – una
milanese con qualche problema psicologico – ma poi ritorna nel suo recinto per
sposare la ragazza perbene.
Il
coraggio stilistico e quello di un regista-pugile che non si sottrae alla lotta
con i dubbi, si affievolisce nella figura di Fabrizio che non sceglie, ma
accetta la corsa di quel fiume che divide a metà la sua Parma. La poesia di
scontra con una fotografia senza orpelli, le teorizzazioni esistenziali con una
tecnica di montaggio che dimostra una grande linearità e chiarezza narrativa.
Per dirla con le parole dello stesso Bertolucci nella
rivista “Cineforum” n°73 del 1968, “(…) non occorre
organizzare nulla perché, a partire dal momento in cui si monta un piano dopo
l’altro, ecco che si incontrano delle metafore.”.
Il
film potrebbe apparire un esercizio intellettualistico di un regista che
ha sempre avuto una sedia comoda da cui guardare il mondo. Ma forse, uscendo
dall’innegabile coinvolgimento dello stesso Bertolucci,
che non ci permette di leggere l’opera senza visualizzarlo, sono affascinata da
chi riesce ad assumere una pericolosa posizione obliqua rispetto a tempi e
consuetudini. Nel film c’è una scena in cui Agostino, l’amico suicida di
Fabrizio, mente libera e tormentata, su una bicicletta non pedala in modo
lineare, ma abbozza delle acrobazie e dei moti insoliti delle ruote. I film
come Prima della Rivoluzione o I Pugni
In Tasca di Bellocchio (uscito un anno
dopo), sono come quella bicicletta che prova a darsi altre traiettorie. Hanno
la capacità di mettere in discussione il presente, di collezionare all’istante
antipatie e sguardi biechi, di essere dirompenti.
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