sabato 26 giugno 2021

Minari - Lee Isaac Chung

gli Usa sono un paese fuori dalla storia. 

in gara per gli Oscar, concorrente per la statuetta come miglior film straniero, c'era Minari.

il punto è che il regista è nato negli Usa, sia pure da genitori emigrati dalla Corea. 

ed è anche un film sull'American Dream.

bisognerebbe chiudere quelli dell'Oscar nella clinica di McMurphy (qui) e vedere se rinsaviscono.

Minari è una storia di emigrati nel paese dove tutti, o quasi, hanno un antenato non Usa, ed è una storia edificante, nella quale pur tra mille difficoltà, quella famiglia ce la farà.

buon film, ma troppo sopravvalutato.

buona visione - Ismaele


 

 

 

 

Minari aspira a saldare durante il suo stesso svolgimento le fratture che presenta: toglie continuamente ai suoi personaggi – l’ictus della nonna, la fine del matrimonio, l’incendio della fattoria – per fargli comprendere la necessità dell’abbandono al fluviale flusso del divenire senza arroccamenti di sorta (le lacrime della madre per le acciughe mangiate dopo tanto tempo, il soffio al cuore di David trattato come una malattia invalidante).
Questa specie di fenomenologia finale basata sul principio causa-effetto disperde i tanti spunti disseminati nel corso del film che, a netto di qualche escursione nel folklore religioso – il personaggio di Paul – aveva saputo entrare con dolcezza nel cuore di una famiglia d’emigrati. I semi del minari sono stati piantati biologicamente ma purtroppo raccolti industrialmente.

da qui

 

Chung rappresenta con grande empatia le contraddizioni interiori e le emozioni represse che animano i personaggi, a cominciare dai due coniugi, interpretati in modo superlativo da Han Ye-ri e Steven Yeun (già notevole in Burning di Lee Chang-dong, e primo attore asioamericano a ottenere una candidatura all’Oscar per il miglior attore). Se Monica si sforza di contenere la rabbia e l’impulso di tornare coi figli in California, covando il dubbio che il marito abbia anteposto le proprie aspirazioni al bene della famiglia, Jacob patisce un conflitto che lo stesso Yeun ha paragonato alla biblica lotta di Giacobbe con l’angelo: di fronte a una realtà che fatica a piegare ai suoi desideri, il suo sogno imprenditoriale assume presto i caratteri dell’ossessione, ma è alimentato anche dal senso del dovere che l’uomo avverte su di sé in quanto pater familias, convinto che i figli debbano vederlo avere successo in qualcosa per avere stima di lui. All’etica individualistica del padre, interessato soprattutto a una realizzazione da ottenere attraverso l’indipendenza, nonostante i rischi della precarietà, si contrappone così la visione materna, maggiormente orientata alla condivisione di affetti stabili, in un dissidio che si ripercuote anche sull’educazione dei figli…

da qui

 

…A esacerbare ancora di più la situazione è l’arrivo della nonna, personaggio anomalo, scardinato dal suo luogo natio per poter supportare la figlia e avvicinarsi un po’ di più ai nipoti. Le difficoltà più grandi si verificano con il piccolo David: la distanza culturale che sussiste tra la nonna e David è in qualche modo emblematica. Appartengono a due mondi diversi, due luoghi diversi, due concezioni di vita diverse. David è più attratto dall’idea esistenziale del padre ma, con il tempo, impara a comprendere la nonna e il suo modo un po’ rozzo di affrontare la quotidianità statunitense e diventa quindi la sintesi attraverso cui costruire un futuro insieme. Ecco la che la sfera intima e privata diventano l’assunto su cui si poggia l’intero film che, alla fine, è un’analisi sulle dinamiche complesse di integrazione nei fenomeni migratori e delle possibili soluzioni a tali problematiche. Perché oltre a una riflessione sulla perversa corsa al successo di reaganiana memoria e oltre a raccontare il modo in cui una famiglia, in un contesto difficile, prova a rimanere compatta, Minari è un film sul complesso processo migratorio e di integrazione. Da questo punto di vista, il film di Lee Isaac Chung raccoglie la sfida tutta contemporanea di affrontare un tema caldo, soprattutto per gli USA post-Trump, approcciandolo in maniera differente rispetto al solito, mutando il punto di vista e la prospettiva…

da qui 


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