sabato 20 marzo 2021

Equus – Sidney Lumet

un ragazzo cresce solo, con un padre incapace e una madre alienata dalla religione. Alan si costruisce un suo dio, il cavallo, ed è amore, fino a quando non succede il dramma. 

il dottore cerca di entrare nella psiche del ragazzo e di "curarla", scoprendo cosa si nasconde dietro il suo drammatico gesto.

il suo sentirsi inadeguato nella vita, sotto lo sguardo dei suoi dei, provoca il dramma per cui è in cura.

la sfida del dottore, le sue difficoltà, lo scontro/incontro con Alan, lo scavare nel passato e nella testa del ragazzo sono una corsa verso il senso delle cose e della vita di Alan, ma non solo.

un film davvero grande, che non si dimentica.

buona, imperdibile, visione - Ismaele

 

 

One of the most intense and thought-provoking movies ever made. A psychologist encounters a teenager who has created his own abnormal religion of horse-worship and unbridled passion. The jaded psychologist, acted powerfully by Richard Burton, already having doubts as to his work of 'normalizing' youths, reaches an intense state of self-doubt as he both respects, fears and psychologically manipulates the sick but vibrant youth who had a bloody eruption of passionate guilt that ended in violence. An unforgettable masterpiece.

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Molto complesso questo film di Lumet, ricco di simbologie in cui è facile perdersi. Lumet comunque riesce a risaltare nella giusta luce quella che probabilmente la tematica centrale del film e che si collega in qualche elemento e con un'estrema diversità di stile, molto teatrale, nel Family life di Loach. Rispetto al film del cineasta inglese che punta molto sul contesto sociale, Lumet si concentra maggiormente sugli effetti sulla psiche di un ragazzo schiacciato da genitori iperprotettivi, dall'autoritarismo paterno e l'ossessione religiosa della madre. Un ragazzo solo che costruisce un mondo parallelo al reale dove riesce a raggiungere vere estasi dionisiache, dove riesce ad avere quello sprazzo di libertà negato. In questo contesto si capisce la frustrazione di un medico curante costretto suo malgrado a ricondurlo verso quella normalità piccolo borghese del mondo reale, castrandolo a sua volta e consapevole di guarirlo più per il bene della società civile, rispetto ai bisogni del ragazzo stesso. Una coppia di attori formidabili (Burton e Firth), per un film complesso ma affascinante, che a tratti riesce a liberarsi della sua struttura molto teatrale per offrire squarci onirici di suggestiva bellezza.

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la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!

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Film che mette a confronto un giovane psicopatico e un esperto psichiatra. Caso difficile per il dottore (un grande Burton), che conclude una serie di riflessioni che mettono in crisi la sua stessa identità: chi è normale? chi malato? Chi guarisce e chi cura? E se la follia non fosse altro che la ribellione alla normalità? Si affrontano molti temi riguardo all'origine della nevrosi (e non solo) e Equus è un idolo - affascinante per lo stesso Dysart - creato dal giovane per sopravvivere alle ferite e contattare il sé più profondo.

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My instinctive reaction was to close my eyes: I didn't want to see it. Forcing myself to look, I could see, of course, that the horses weren't really being blinded (animal lovers please note). But the illusion is so real that the act becomes an actual crime, a horror, rather than the dramatic offstage cry for help that Shaffer intended. I left “Equus” in a curious mood: I could hardly wait until they make it back into a play.

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