un ragazzo cresce solo, con un padre incapace e una madre alienata dalla religione. Alan si costruisce un suo dio, il cavallo, ed è amore, fino a quando non succede il dramma.
il dottore cerca di entrare nella psiche del ragazzo e di "curarla", scoprendo cosa si nasconde dietro il suo drammatico gesto.
il suo sentirsi inadeguato nella vita, sotto lo sguardo dei suoi dei, provoca il dramma per cui è in cura.
la sfida del dottore, le sue difficoltà, lo scontro/incontro con Alan, lo scavare nel passato e nella testa del ragazzo sono una corsa verso il senso delle cose e della vita di Alan, ma non solo.
un film davvero grande, che non si dimentica.
buona, imperdibile, visione - Ismaele
One
of the most intense and thought-provoking movies ever made. A psychologist
encounters a teenager who has created his own abnormal religion of
horse-worship and unbridled passion. The jaded psychologist, acted powerfully
by Richard Burton, already having doubts as to his work of 'normalizing'
youths, reaches an intense state of self-doubt as he both respects, fears and
psychologically manipulates the sick but vibrant youth who had a bloody
eruption of passionate guilt that ended in violence. An unforgettable
masterpiece.
Molto complesso questo film di Lumet, ricco di
simbologie in cui è facile perdersi. Lumet comunque riesce a risaltare nella giusta
luce quella che probabilmente la tematica centrale del film e che si collega in
qualche elemento e con un'estrema diversità di stile, molto teatrale, nel
Family life di Loach. Rispetto al film del cineasta inglese che punta molto sul
contesto sociale, Lumet si concentra maggiormente sugli effetti sulla psiche di
un ragazzo schiacciato da genitori iperprotettivi, dall'autoritarismo paterno e
l'ossessione religiosa della madre. Un ragazzo solo che costruisce un mondo
parallelo al reale dove riesce a raggiungere vere estasi dionisiache, dove
riesce ad avere quello sprazzo di libertà negato. In questo contesto si capisce
la frustrazione di un medico curante costretto suo malgrado a ricondurlo verso
quella normalità piccolo borghese del mondo reale, castrandolo a sua volta e
consapevole di guarirlo più per il bene della società civile, rispetto ai
bisogni del ragazzo stesso. Una coppia di attori formidabili (Burton e Firth),
per un film complesso ma affascinante, che a tratti riesce a liberarsi della
sua struttura molto teatrale per offrire squarci onirici di suggestiva bellezza.
…la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi
a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera
teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora
disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di
nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello
che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che
si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti,
privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli
a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in
adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta
la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non
è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta
la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di
vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto
a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né
di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti
pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire
dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che
allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto
freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro
sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei
confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova
osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma
diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli
di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso
degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di
tutti gli horror visti finora. Provare per credere!
Film che mette a confronto un giovane
psicopatico e un esperto psichiatra. Caso difficile per il dottore (un grande
Burton), che conclude una serie di riflessioni che mettono in crisi la sua
stessa identità: chi è normale? chi malato? Chi guarisce e chi cura? E se la
follia non fosse altro che la ribellione alla normalità? Si affrontano molti
temi riguardo all'origine della nevrosi (e non solo) e Equus è un idolo -
affascinante per lo stesso Dysart - creato dal giovane per sopravvivere alle
ferite e contattare il sé più profondo.
…My instinctive reaction was to close my
eyes: I didn't want to see it. Forcing myself to look, I could see, of course,
that the horses weren't really being blinded (animal lovers please note). But
the illusion is so real that the act becomes an actual crime, a horror, rather
than the dramatic offstage cry for help that Shaffer intended. I left “Equus”
in a curious mood: I could hardly wait until they make it back into a play.
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