mercoledì 10 marzo 2021

Kill Me Please - Olias Barco

una clinica per il suicidio, in Svizzera, un business che ha i suoi clienti, e i suoi perché.

il problema è che la morte sta anche fuori e comincia a lavorare duro, altro che i ritmi lenti da sanatorio svizzero.

commedia nera senza tabù, c'è anche da ridere, se no che commedia è?

mi fa ricordato Il ladro di anime, un romanzo tedesco ambientato in un ospedale nella neve.

buona funebre visione - Ismaele


 

 

In un bianco e nero perfetto, rappresentazione anche visiva delle vite senza alcun più colore degli aspiranti suicidi, Kill me please affronta in chiave di commedia grottesca e nerissima l'inossidabile tema del diritto o no a decider di morire. Ora, fermo restando che un suicidio come si deve, insomma "gestito" da soli, è tranne che in rarissimi casi pressochè impossibile da impedire, è giusto che possa trasformarsi in un "suicidio con l'aiutino" o, per dare i giusti nomi alle cose, un omicidio concordato con un'istituzione? Troppi hanno parlato di eutanasia per Kill me please. Non sono affatto d'accordo. Il film di Barco ci parla del mal di vivere e non di situazioni irreversibili di "non-vita". Ci parla di gente che non riesce più a dare un senso alla propria esistenza e non di vite che oggettivamente non hanno senso. Kill me please è un film sulla depressione, sul disamore per la propria vita, sull'assoluta mancanza di motivi per andare avanti. E' un film sul desiderio della morte perchè vista come unico stimolo rimasto in vita, in una vita però che di stimoli avrebbe da offrirne altri centomila. Non è un caso che L'UNICA paziente che subisce una sorta di accanimento terapeutico (la ragazza delle punture) sia anche L'UNICA che decide di andar via perchè si rende conto che esser vivi è una fortuna da preservare. Film sull'eutanasia quindi? All'opposto…

da qui

 

Girato in un glaciale bianco e nero che richiama algide atmosfere, rigoroso nei movimenti di camera, il film – a detta anche dello stesso Olias Barco – ha cercato di avvicinarsi ai personaggi e alla loro storia con un atteggiamento quasi documentaristico (ne sono un esempio le dichiarazioni rilasciate dai pazienti come “biglietto da visita” per il proprio ricovero nella clinica). Interamente contestualizzato nell’ambito della clinica, Kill Me Please riproduce un ambiente che sembra richiamare la tradizione giallistica letteraria di inizio Novecento (Agatha Christie su tutti): lo spazio chiuso nel quale avviene l’azione oltre a rappresentare la trasposizione fisica più efficace nel descrivere l’approccio alla vita dei protagonisti gioca con la trasformazione del sogno in incubo. La prigione dorata nella quale i pazienti si fanno rinchiudere in attesa di morire, circondanti dagli alberi e dolcemente cullati dalla placida vita di una villa isolata, si trasforma in una vera e propria casa degli orrori dalla quale è pressoché impossibile fuggire, un non-luogo dove trionfa la follia e – ovviamente – la morte.
Viaggio nell’assurdo e nel macabro, Kill Me Please e il suo feroce cinismo nei confronti della società sono una boccata di aria fresca, un affresco impertinente sulla prolissità, la ridondanza e l’arroganza degli uomini che sono pronti a comprare anche l’intervento della morte.

da qui


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