una clinica per il suicidio, in Svizzera, un business che ha i suoi clienti, e i suoi perché.
il problema è che la morte sta anche fuori e comincia a lavorare duro, altro che i ritmi lenti da sanatorio svizzero.
commedia nera senza tabù, c'è anche da ridere, se no che commedia è?
mi fa ricordato Il ladro di anime, un romanzo tedesco ambientato in un ospedale nella neve.
buona funebre visione - Ismaele
…In un
bianco e nero perfetto, rappresentazione anche visiva delle vite senza alcun
più colore degli aspiranti suicidi, Kill me please affronta in chiave di
commedia grottesca e nerissima l'inossidabile tema del diritto o no a decider
di morire. Ora, fermo restando che un suicidio come si deve, insomma
"gestito" da soli, è tranne che in rarissimi casi pressochè
impossibile da impedire, è giusto che possa trasformarsi in un "suicidio
con l'aiutino" o, per dare i giusti nomi alle cose, un omicidio concordato
con un'istituzione? Troppi hanno parlato di eutanasia per Kill me please. Non
sono affatto d'accordo. Il film di Barco ci parla del mal di vivere e non di
situazioni irreversibili di "non-vita". Ci parla di gente che non
riesce più a dare un senso alla propria esistenza e non di vite che
oggettivamente non hanno senso. Kill me please è un film sulla depressione, sul
disamore per la propria vita, sull'assoluta mancanza di motivi per andare
avanti. E' un film sul desiderio della morte perchè vista come unico stimolo
rimasto in vita, in una vita però che di stimoli avrebbe da offrirne altri
centomila. Non è un caso che L'UNICA paziente che subisce una sorta di
accanimento terapeutico (la ragazza delle punture) sia anche L'UNICA che decide
di andar via perchè si rende conto che esser vivi è una fortuna da preservare.
Film sull'eutanasia quindi? All'opposto…
…Girato in un glaciale bianco e nero che richiama
algide atmosfere, rigoroso nei movimenti di camera, il film – a detta anche
dello stesso Olias Barco – ha cercato di avvicinarsi ai personaggi e alla loro
storia con un atteggiamento quasi documentaristico (ne sono un esempio le
dichiarazioni rilasciate dai pazienti come “biglietto da visita” per il proprio
ricovero nella clinica). Interamente contestualizzato nell’ambito della
clinica, Kill Me Please riproduce un ambiente che sembra richiamare la
tradizione giallistica letteraria di inizio Novecento (Agatha Christie su
tutti): lo spazio chiuso nel quale avviene l’azione oltre a rappresentare la
trasposizione fisica più efficace nel descrivere l’approccio alla vita dei
protagonisti gioca con la trasformazione del sogno in incubo. La prigione
dorata nella quale i pazienti si fanno rinchiudere in attesa di morire,
circondanti dagli alberi e dolcemente cullati dalla placida vita di una villa
isolata, si trasforma in una vera e propria casa degli orrori dalla quale è
pressoché impossibile fuggire, un non-luogo dove trionfa la follia e –
ovviamente – la morte.
Viaggio nell’assurdo e nel macabro, Kill Me Please e il suo feroce cinismo nei confronti della società
sono una boccata di aria fresca, un affresco impertinente sulla prolissità, la
ridondanza e l’arroganza degli uomini che sono pronti a comprare anche
l’intervento della morte.
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