però...
chi è un po' vecchio si ricorda di Nino Manfredi, di Franco e Ciccio, delle musiche di Fiorenzo Carpi e gli scappa di fare confronti.
buona visione del film di Matteo Garrone, intanto - Ismaele
...Il Pinocchio di Garrone
è come una biglia immobile su una tavola pendente e che seppur pende da un lato
impedisce alla biglia di cadere da un lato o da un altro. Spieghiamo meglio… I
toni della favola ci sono ma non troppo, quelli più cupi e dark si intravedono
ma restano nel buio. Cosa è successo? È Garrone che ha rincorso questa storia
per così troppo tempo da non avere lucida la strada da percorrere? Doveva
aspettare ancora prima di portarla al cinema? O la produzione gli ha richiesto
un film che andasse in una precisa direzione pur avendo un regista bravo in
tutt’altro? Una cosa è certa, questo Pinocchio in ogni caso ha
ora un compito, quello di fare riscoprire una storia italiana che fa parte
della nostra memoria e che va rispolverata per le nuove generazioni. Brutto non
è il film, ma Garrone avrebbe potuto fare molto meglio. Il regista ha
dimostrato in più di un’occasione di sapere raccontare il mondo delle
fiabe, Il racconto dei racconti è una chiara prova ma
anche L’imbalsamatore o Dogman lo sono se pur
nerissime. In questa favola qualcosa però non va. È la maledizione di un
classico universale? La risposta la daranno gli spettatori anche se Garrone ha
messo le mani avanti: “il mio cinema è spesso associato a toni cupi o
violenti, ma in questo caso ho voluto fare un film adatto a tutti, grandi e
piccini, mantenendo lo spirito del testo originale e inglobando aspetti ironici
e leggeri”…
…in questa atmosfera, dominata sì dal favoloso – con animali che
interagiscono con uomini, uomini che si trasformano in animali (i classici
bambini trasformati in asini del Paese dei Balocchi), presenze sovrannaturali e
vere e proprie magie – ma che comprende anche il
realismo verista della vita dura della campagna e della costa,
che si gioca tutta la vicenda, narrativa e poetica di Pinocchio. Alle bastonate
seguono le lezioni morali. E alle buone intenzioni ancora gli errori, le
ingenuità, le disavventure e i (rari) gesti di umanità. Tutto raccontato con
ritmo, anche visivo, in una tensione che precipita nella scena del ritrovamento
di Geppetto nel ventre del pesce-cane. Nel romanzo è qui che Pinocchio
dimostra, anche nell’eloquio più complesso, una nuova maturità. Nel film questo
stesso atteggiamento è tradotto nel piglio deciso, coraggioso e generoso, con
cui prepara la fuga insieme al babbo. È l’ultimo snodo.
Ma a differenza di Collodi, che mal sopportava la
metamorfosi finale, imposta quasi dal genere stesso del romanzo
di formazione, Garrone rende la trasformazione di Pinocchio da burattino a
bambino come un traguardo. È il termine di un
percorso di consapevolezza che deriva, più che dalle lezioni del Grillo
Parlante, dall’esperienza della cattiveria ma anche della bontà del genere
umano.
Il moralismo antipatico del finale del libro diventa nel
film, insomma, una lezione di attualità.
Come Pinocchio, tutti cascano negli stessi errori, tanti si fidano dei vari
Gatti e delle varie Volpi che popolano ancora questo mondo, molti scelgono di ignorare e di convincersi che sia un bene farlo:
risultato, una stupidità collettiva. Esiste una soluzione, in
assenza nel mondo reale di Fate Turchine e Grilli parlanti? Certo: lo studio,
il lavoro e la responsabilità. Dirlo nel 1881 era uno scrupolo pedagogico.
Mostrarlo nel 2019 sembra una raccomandazione rivoluzionaria.
…nelle
omissioni si può leggere un significato tutt’altro che banale o secondario. Di
più: è possibile rintracciarvi una smentita ufficiale e poderosa dell’opera
stessa di Collodi, un suo ribaltamento. L’ideologia borghese presente nel testo
viene difatti prima depotenziata e quindi smontata da un lavoro certosino a
favore sempre degli ultimi della classe, che non sono obbligati a seguire la
morale corrente per dover trovare un proprio posto in società ma devono semmai
imparare l’aiuto, la rispondenza dell’altro, il ruolo della collettività. Se il
burattino di Collodi doveva maturare per divenire un buon borghese da inserire
in una società giovane e colma di speranze (l’Italia unita aveva dopotutto poco
più di un decennio, se si considera anche la liberazione di Romv dal giogo
Vaticano), il Paese raccontato da Garrone è oramai corrotto, malsano, dominato
dalle ingiustizie – Pinocchio sta per essere incarcerato non “nonostante” sia
innocente, ma proprio “perché” innocente. Nell’eliminare il capitolo in cui
Pinocchio impara a fare il cane da guardia e quello in cui salva il
cane-poliziotto, Garrone sta suggerendo allo spettatore una nuova prospettiva
politica nella lettura del romanzo. Non è un caso, dopotutto, che anche sulle
reiterate bugie del burattino, riscontrabili dall’allungamento parossistico del
naso, il film glissi senza farsi troppi problemi. Non è la maturazione di un
bambino da bugiardo a sincero e ubbidiente a interessare Garrone, ma la sua
crescita emotiva: Pinocchio può ottenere dalla Fata Turchina la carne e le ossa
quando l’affetto per il padre lo spinge a fare qualsiasi cosa per garantirgli
un bicchiere di latte. Un bildungsroman non
solo meno ricattatorio verso l’infante, ma che sottolinea anche un orgoglio di
classe (Pinocchio non si fa più abbindolare dal Gatto e dalla Volpe, ma ottiene
i soldi lavorando i campi)…
…Pinocchio è un film che non spicca per
eccellenze particolari a esclusione di quella visiva, quasi impensabile per una
produzione italiana moderna (non tanto per i costi quanto per la scarsa volontà
di puntare a progetti simili), mancando l’occasione di imporsi in maniera più
autorale. La mano di Garrone si sente, ma anche il freno che si è imposto per
non intaccare l’opera originale, dando vita a una trasposizione forse un po'
vuota, ma sicuramente perfetta per i puristi, totalmente asservita alla messa
in scena.
…aspetto
visivo non basta da solo a promuovere un film che ha già in primis il duro
compito di eludere la struttura di un plot fin troppo famoso e l’amore per il
testo originale di Collodi non riesce a fare la differenza, risultando fin
troppo freddo e scontato per un pubblico più adulto e
cinefilo. Probabilmente da un regista importante come Matteo Garrone è
lecito aspettarsi sempre qualcosa di più, anche perché ci ha abituato da anni a
pellicole nettamente più crude e anticonformiste che hanno saputo scuotere il
pubblico nostrano e guadagnandosi il rispetto e la meritata notorietà anche nel
resto del mondo. Pinocchio di Matteo Garrone però,
contrariamente a quanto ci si poteva attendere, è una piacevole favola per
tutta la famiglia che, seppur non aggiungendo nulla di nuovo, è fatta della
stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e riuscirà a toccare i cuori degli
spettatori e a far riflettere.
…Le parti più belle e convincenti del film, le più sontuose
esteticamente, sono quelle dove Garrone porta in scena il circo di felliniana memoria. Sono le marionette del teatrino di Mangiafoco (Gigi
Proietti) con la loro natura di freaks a rivelare il
substrato di fenomeno da baraccone che Pinocchio reca in sé, oppure il circo in
cui il Ciuchino-Pinocchio è portato a esibirsi dopo la sua trasformazione
animalesca. Un freak è anche il Grillo parlante (Davide
Marotta) e poi i Conigli mannari dall’evidente accento napoletano, tutti
personaggi dediti a portare un po’ di anomalia in questo film ripulito in ogni
suo punto, girato con mano sicura e dotato di una fotografia più che elegante.
L’estetica ha ancora una volta mostrato la sua forza persuasiva in Garrone
celebrando il proprio trionfo in modo simile al cinema del suo rivale-compagno
Paolo Sorrentino. Il protagonista alla fine non è tanto il burattino ribelle,
quanto piuttosto l’Italia con il suo mare e le sue spiagge, i suoi villaggi, i
palazzi e le ville, le fortificazioni, un paese miserrimo eppure bellissimo, in
cui la natura fa da contorno agli uomini e alle loro difficili vite. Un
Paradiso terrestre, o un Presepe oleografico, dove anche un anomalo, com’è il
burattino di Collodi, può trovare lo spazio giusto per la sua avventura picaresca.
Pinocchio per Garrone non ha commesso nessuna colpa, non deve espiare nessun
peccato, neppure d’aver abbandonato la scuola, d’essere stato cattivo e
disubbidiente con il suo papà, e con la Fatina dai capelli turchini, che è una
madonnina soccorrevole, più convincente nella versione bambina (Alida Baldari
Calabria) che non in quella di donna adulta (Marine Vacth)...
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